- -
- 100%
- +
♠♠♠
In quel nebbioso pomeriggio di ottobre avevamo un appuntamento con zia Valentine. Era una distrazione gradita che mi avrebbe permesso di sfuggire all’atmosfera pesante che si era creata in casa. Zia Valentine ci aspettava alla fermata del tram di Porte Jeune. Per riscaldarsi portava al collo una pelliccia di volpe dagli occhi di vetro che diffondeva una scia di canfora. Angèle non c’era.
Voleva farmi un regalo di mio gradimento. La mamma voleva trovarne uno per mia cugina. Scelsi un astuccio da cucito.
L’aroma delle castagne calde profumava l’aria del quartiere commerciale di Mulhouse. Sulla strada di ritorno, all’angolo della Rue du Sauvage, un uomo muoveva avanti e indietro sulla brace un’immensa padella di ferro. Poi, mentre le castagne arrostivano, preparava dei cartocci con fogli di giornale. Zia Valentine gli porse una moneta e ricevette in cambio delle caldarroste appena abbrustolite e impacchettate, tutte per me. Che pomeriggio meraviglioso! Mi ero completamente dimenticata l’umore tetro del papà.
Ci affrettammo a rientrare prima del tramonto. Ero entusiasta del mio regalo, il primo ricevuto da zia Valentine e per di più l’avevo scelto proprio io! “Mamma, anche il papà sarà contento del mio regalo, vero?”
“Sicuro, ma cerca di capire che è molto stanco. Hai visto che ultimamente non ha giocato con te? Non ce la fa neanche più a controllare i tuoi compiti! Sarebbe meglio che lo lasciassi tranquillo questa sera e andassi direttamente nella tua stanza a chiacchierare con Claudine”.
Mi precipitai pazza di gioia su per le scale del palazzo, come fossero un’unica rampa. Scartai con foga il regalo, poi gridai: “Guarda che cosa ho ricevuto papà!” Era seduto inerte sulla sua poltrona. Eppure diceva sempre che solo gli sfaticati e i morti restavano in ozio! Gli mostrai il regalo.
“Mm hum”.
“Guarda com’è carino, papà!”
“Mm hum”.
“Me lo ha comprato zia Valentine”.
“Ah sì?”
“L’ho scelto io, però”.
“Bene, bene”.
Un cenno della mamma mi fece comprendere che avrei fatto meglio a non insistere.
Allora andai dalla mia bambola per mostrarle l’incantevole astuccio da cucito ricoperto di stoffa a fiori: conteneva delle graziose forbicine e dei rocchetti di filo di tutti i colori. Lei, per lo meno, aveva l’aria interessata!
Una cappa di silenzio pesava sulla nostra casa. La mamma rinunciò al dialogo con un marito che aveva deciso di tacere. Immaginavo che la malattia del papà si fosse aggravata. La mia stanza mi sembrava stranamente vuota. Solo l’innocente bambola in miniatura seduta sulla mensola era sfuggita alla mia furia distruttiva. Messa così in bella vista, mi trasmetteva un accresciuto sentimento di sconforto: era un richiamo solenne e permanente alla mia coscienza. La mamma non mi aveva ancora permesso di spostarla. I giorni tristi si susseguivano come un corteo interminabile.
A scuola la signorina accettò con aria indifferente le mie dalie e le ripose in una vecchia brocca sul davanzale della finestra. Forse non le piacevano più? Prima, quando gliene offrivo un mazzolino, mi ringraziava con un sorriso e le sistemava in un grazioso vasetto. Adesso i miei fiori non le davano più la gioia di una volta. Doveva essere ammalata anche lei.
Un sole debole e pallido fece finalmente la sua comparsa dopo lunghi giorni grigi. Un timido raggio illuminava un pacchetto posato sulla tavola del salotto. La mamma me lo indicò nel togliermi la cartella. “Tuo padre ha ordinato un libro dagli Studenti Biblici a Strasburgo4 Ça, c’est une surprise . Che sorpresa! Ma noi non gliene parleremo, può darsi che desideri leggerlo in segreto”. Sottolineò le sue intenzioni portandosi un dito sulle labbra e, per farmi ben comprendere l’importanza di tacere sull’argomento, mormorò con aria complice: “Sst!”
4 Associazione Internazionale degli Studenti Biblici che nel 1931 assunse il nome di Associazione dei Testimoni di Geova.
Il papà lavorava di mattino. Al suo rientro vide il libro ed esclamò: “Guarda questi, c’è da pensare che abbiano fretta! Ho scritto loro appena due giorni fa!”
Il pacchetto rimase chiuso per giorni e giorni. Lo sguardo della mamma mi intimava di aspettare pazientemente e in silenzio.
♠♠♠
Mi era proibito correre ad aprire quando qualcuno bussava alla porta. Spesso la mamma mi aveva raccomandato: “Sei una bambina ben educata. Non devi aprire a meno che non te lo dica io!” Non avevo nemmeno il permesso di rimanere nel corridoio, “perché è poco gentile mostrarsi curiosi e fissare gli ospiti”. La mamma non sapeva però che io avevo escogitato un rimedio eccezionale: dalla sua camera lo specchio del corridoio mi permetteva di tenere d’occhio quelli che si trovavano nel salotto o che vi passavano davanti. Con questo stratagemma potevo saziare la mia curiosità senza conseguenze!
Prima che la neve isolasse per lunghi mesi Bergenbach, zio Germain venne a trovarci un’ultima volta. Gli corsi incontro entusiasta di rivederlo. Uno sguardo eloquente di mia madre mi fece battere in ritirata, ma accese sia la mia curiosità che la mia diffidenza. Ecco che ricominciavano a complottare! Zio Germain era carico di pesi. Attraverso la cucina la mamma lo condusse alla chetichella sul balcone, dove lei depositava le provviste fino alle prime gelate. Sistemato il tutto, lei mi disse: “Divieto di uscire sul balcone! Ordine del papà!”
“Il papà non finisce mai di metterci dei limiti – mormorai – un giorno è permesso, il giorno dopo è proibito… Gli adulti cambiano continuamente opinione!”
Le noci e le meravigliose mele rosse di zio Germain diffusero nell’appartamento l’odore di Bergenbach. Iniziai a solleticare lo zio che si mise a ridere di gusto, tutto sorpreso. Improvvisamente, vidi dalla finestra un abete sistemato sul nostro balcone. “Che ci fa lì?”, mi domandai. Trovai la risposta da sola: i miei genitori avevano deciso di occuparsene personalmente per venire in aiuto a Gesù Bambino che era troppo impegnato. Ricordai infatti che l’anno precedente si era dimenticato uno dei miei regali, così lo aveva consegnato in seguito a casa dei Koch, dove sapeva che ero stata invitata. Ad ogni modo non mi spiegavo perché avessero fatto arrivare l’abete tanto in anticipo.
♠♠♠
Un giorno, annunciai ai miei genitori che, invece di andare in chiesa, sarei rimasta a casa con la mamma. Lei mi guardò sorpresa e il papà mi domandò con voce severa:
“E perché non ci andrai?”
“Perché non sono cattolica!”
Lui replicò in tono perentorio: “Fino a quando avrò voce in capitolo, sarò io a stabilirlo! Prendo io le decisioni che ti riguardano”. La mamma lo sostenne prontamente: “Simone, corri a vestirti e accompagna il papà!”
Sotto l’ombrello avanzammo contro il vento di tramontana e la pioggia fredda di novembre.
“È stata la mamma a dirti che non sei più cattolica?”
“Assolutamente no! Sono i miei compagni di scuola”.
“Parli di religione con loro?”
“Sì”.
“Allora la mamma te ne parla?”
“Sì. Ogni giorno mi legge un passo della Bibbia, sai, il libro del parroco”.
“E non fa nient’altro?”, domandò mio padre dubbioso.
“No. Di tanto in tanto rilegge le parole una o due volte, per aiutarmi a ricordare esattamente come sono riportate nella Bibbia cattolica”. Allora il papà tacque.
“Papà, è vero quello che dicono le mie amiche, che non sono più cattolica?”
“Sei cattolica e, credimi, farò in modo che tu rimanga tale!”
Durante la messa fui insolitamente irrequieta. Ovunque posassi lo sguardo, non notavo altro che ‘occhi che non potevano vedere e orecchie che non potevano udire’. Le statue dei santi e degli angeli mi suscitavano interrogativi: Dio proibiva gli idoli, eppure la sua casa ne era piena! Giunsi alla conclusione che Dio era come i miei genitori: “Non toccare la padella!”, ma loro lo facevano; “Non salire sullo sgabello!”, ma loro lo usavano regolarmente.
Nonostante il clima glaciale, al rientro il papà imboccò il cammino più lungo. “È per non essere disturbati da nessuno”, sostenne.
“Perché le tue compagne asseriscono che non sei cattolica? Che cosa glielo fa pensare?”
“È perché ho rifiutato di recitare una poesia con la mia bambola”.
“E questo, adesso, che cosa significa?” La sua voce era di nuovo tesa.
“Abbiamo dovuto recitare una poesia con sentimento, facendo muovere la nostra bambola come se parlasse. La signorina mi ha domandato di ripetere la terza strofa, la preghiera della bambola. Mi sono rifiutata”. Gli occhi del papà diventarono cupi e il suo viso assunse l’espressione inquisitoria che mi era familiare.
“È stata la mamma a dirtelo?”
“Oh no! Non ha mai sentito questa poesia”.
“E allora?”
“Semplicemente non potevo farlo”.
“Ma perché no?”, si fermò per guardarmi in faccia.
“Claudine non ha un cuore, è incapace di rivolgersi a Dio. Non va bene fingere di pregare. Claudine non può pregare, ‘ha delle orecchie che non possono udire e dei piedi che non possono camminare’. È solo una bambola, papà, e le bambole non pregano”. Questa risposta mise momentaneamente fine alle sue domande sospettose.
A casa fummo accolti da uno dei più appetitosi profumi. La mamma aveva preparato il piatto preferito del papà: crauti di Bergenbach e, per dessert, una torta di Linz, una specialità ai lamponi. Il papà mangiò di malavoglia; evidentemente era ancora ridotto male. Poi si alzò da tavola per andare a fumare e a bere il caffè nel salotto. Zita non cercò neppure di stendersi ai suoi piedi che lui spostava di continuo e nervosamente. Appena la mamma si sedette accanto a lui, il papà sbottò: “Insegni le tue idee a Simone a mia insaputa!” Questo era troppo, era necessario che prendessi le difese della mamma! Non sopportavo più l’atteggiamento insensato di mio padre!
“Non giocherò mai più con te. Ti rifiuti persino di credere alle mie parole. Non verrò più con te in chiesa!”, urlai e, battendo i piedi per dare più enfasi alle mie intenzioni, pronunciai chiaramente: “Non sono più cattolica!”
Il papà si rizzò in tutta la sua altezza, “rigido come la Giustizia”. Con voce inflessibile e un gesto imperioso in direzione della mia cameretta, impose: “Specie di piccola peste! Va’ immediatamente là dentro e calmati! Per oggi non voglio più vederti!”
Obbedii, ma, quando aprii la bocca per rispondere, lui gridò: “Non una parola di più o ti do una sculacciata!” Non si mosse fino a quando non sparii dalla sua vista. Ero molto in collera. Mi sedetti sul tappeto e, appoggiata contro il letto, scoppiai a piangere, non perché ero stata punita, ma perché non avevo potuto dirgli tutto quello che avevo nel cuore.
In salotto il tono della voce si alzò. Le parole si sovrapponevano così rapidamente che non riuscivo a capire tutto. Sentivo quello che diceva il papà quando passava davanti alla porta e, di tanto in tanto, mi giungevano frammenti del discorso della mamma.
“Adolphe, la tua irragionevolezza mi sbalordisce. Perché non leggi la Bibbia cattolica per verificare da te stesso?”
Le rispose in tono quasi sprezzante: “Guardate la signora ‘So-tutto-io’! Da quando leggi la Bibbia, ti credi una sapientona, non è così?” Ero furiosa! Mai avevo sentito un discorso simile!
La mamma insisté: “Rispondi solo a una domanda: perché i preti non insegnano quello che dice la Bibbia?” Sussultai dallo stupore.
“I preti ricevono una formazione che dura anni. Sono i guardiani della tradizione. Sanno quello che deve essere insegnato. Tu, chi sei tu in paragone? Hai abbandonato la scuola a dodici anni!” Che umiliazione! Com’era cambiato il papà! E io non avevo nemmeno il diritto di uscire dalla mia cameretta per esporgli la mia opinione! La mamma, con voce calma e determinata, decise infine di passare al contrattacco.
“Adolphe, leggo il francese bene quanto il tedesco. Quando trovo nella Bibbia queste parole di Gesù: ‘Non chiamate nessuno padre vostro sulla terra’ o: ‘Il Padre nei cieli è maggiore di me’ o ancora: ‘Voi siete amici miei se osservate i miei comandamenti’, sono veramente necessarie delle spiegazioni? Hai bisogno di qualcuno per capirle?”
Applaudii silenziosamente. “Ben detto, mamma!”
“Ascolta, quando Gesù disse a suo Padre: ‘Rimetto il mio spirito nelle tue mani’, parlava forse a se stesso? E dov’è il terzo elemento della pretesa Trinità?”
“Taci, con i tuoi benedetti versetti biblici!” Come osava parlare così della Bibbia cattolica? Si precipitò furioso fuori di casa con Zita alle calcagna. Allora la mamma mi portò una fetta di torta e una tazza di tè.
“Che cosa fai di bello?”
“Niente di niente”, mormorai fra i denti.
“Non ti preoccupare. Continuerò a leggerti dei passi della Bibbia, ma è necessario che tu rispetti il papà. Non devi far altro che confrontare quello che leggo con quello che dice il parroco. Così potrai scegliere da sola”. Ritornò nel salotto: “E se adesso tu giocassi con la bambola?”
Ero molto infelice. Non avevo voglia di ubbidire al papà, anche se la mamma me lo aveva ordinato. Era un vero dilemma.
Un po’ più tardi, il papà rientrò ancora in collera. Sentenziò sdegnato: “Esaminerò l’opera di questi ‘Studenti Biblici’, questi ‘Geova’”. E, con una risata sarcastica, aggiunse: “Sono sicuro che il loro libro Creazione contenga un mucchio di stupidaggini”.
“Claudine, hai sentito che cosa ha detto il papà? Finalmente aprirà il libro che è arrivato per posta. Sai, a lui è sempre piaciuto leggere. Si interessa di molti argomenti, anche di astronomia. Prima di ammalarsi, mi prendeva spesso sulle sue ginocchia per mostrarmi delle illustrazioni. Claudine, sapevi che Saturno ha un anello? Vieni, lo studieremo insieme”.
Di notte, quando andavo in bagno, vedevo il papà leggere e fumare. L’indomani lo vedevo leggere e tossire! I suoi attacchi di tosse mattutini erano terribili. Forse anche lui aveva delle macchie ai polmoni? Siccome era pallido e di pessimo umore, ero sicura che il suo stato di salute si fosse aggravato, così gli stavo lontana. Avrei voluto diventare invisibile.
♠♠♠
A scuola il prete ci parlava spesso della Natività, il giorno in cui Dio era venuto al mondo in terra ebraica, nella prescelta cittadina di Betlemme. Nessuno aveva posto per ospitare Giuseppe e Maria in procinto di partorire, così i due avevano dovuto rifugiarsi in una stalla, dove il neonato Gesù era stato riscaldato dal fiato di un bue e di un asinello. “Ricordatevi che furono gli ebrei a uccidere Gesù, l’Iddio incarnato. Per di più accettarono che il suo sangue ricadesse su di loro e sui loro figli. Ecco perché sono stati maledetti per l’eternità”, affermava il parroco.
In casa l’odore abituale di encaustica era stato sopraffatto dal profumo di anisbredla, una specie di piccoli dolci alsaziani che la mamma stava sfornando. Li mise a raffreddare sopra il grande panno di lino bianco che ricopriva la tavola, accanto ad altri pasticcini tradizionali. Questi preparativi preannunciavano l’allegria che ben presto ci sarebbe stata in occasione delle feste di fine anno. Che splendido Natale sarebbe stato! Da quando aveva letto il libro Creazione il papà stava molto meglio. Aveva ritrovato l’appetito e anche la voglia di giocare con me.
La mamma mi chiamò nella sala da pranzo: “Vieni ad aiutarmi, per piacere”. Aveva piazzato l’abete a lato della nostra credenza intagliata. Posò sul divano la grande scatola che reggeva tra le mani, poi ne tolse il coperchio. Allora apparvero sotto i miei occhi tutte le bocce di vetro multicolori dell’anno precedente.
“Guarda, le hai conservate con tale cura che Gesù Bambino non dovrà portarne delle nuove!”
“Simone, abbiamo sempre festeggiato il Natale, ma devi sapere che non esiste un personaggio che porta i regali. In Alsazia credono in Gesù Bambino, nelle altre regioni francesi parlano di Babbo Natale. Ogni paese ha le proprie leggende. Bene, adesso guarda come si procede: non fare mai seguire due bocce dello stesso colore e fissa saldamente il piccolo candeliere sui rami”. Era molto piacevole, soprattutto perché la fragranza era quella della foresta di Berbenbach. Un debole raggio di sole si rifletteva sul vetro e faceva scintillare dolcemente i capelli d’angelo.
“Il nostro parroco dice che il Natale è il compleanno di Gesù. Per questo in chiesa, accanto all’altare, si mette una mangiatoia con un bambolotto circondato da animali”.
“Il 25 dicembre non è la data di nascita di Gesù. E poi Gesù non è più un bambino. È cresciuto, come te. Poi è stato messo a morte, è risuscitato e ora regna in cielo”.
“Mamma, Zita ha voglia di dolcetti. Posso dargliene?”
“Sì, ma non più di uno”.
Avevamo praticamente finito di ornare l’abete, quando compresi la spiegazione della mamma.
“Ma perché si fa un albero di Natale, se non è il compleanno di Gesù? Quando è nato?”
“In autunno, non in inverno”.
“E l’abete? A che cosa serve?”
“Non ha niente a che fare con Gesù, è un’antica tradizione pagana”.
“Ma allora perché lo decoriamo?”
“Non volevo che tu fossi delusa”.
Mentre mi accingevo a sistemare sulla cima la punta dorata, riflettevo e mi ponevo molte domande.
“Mamma, pensi che a Dio piacciano gli alberi pagani?”
“Penso di no”.
Lasciai cadere la punta per terra, tolsi le bocce e le calpestai. Tutto il mio corpo tremava. La mamma, senza dire una parola, scopò i frammenti di vetro e rimise l’abete sul balcone.
Quella notte, sotto le coperte, ero sopraffatta dalla delusione e dalla collera. Gli adulti erano dei bugiardi! La cicogna che porta i bambini, Gesù che consegna i regali, l’albero di Natale che è di origine pagana… Pensavano fossero dei bei racconti, come quelli dei Grimm! Ma gli adulti non si rendevano conto che le loro storielle trasformavano la religione in leggenda? Ero sempre più furiosa.
La mamma cercò di giustificarsi: “È vero, ti abbiamo mentito. Le persone che non studiano la Bibbia, non vedono niente di male nel tramandare tradizioni pagane. La maggior parte non sa nemmeno che il Natale si festeggiava ancor prima dell’era cristiana e che era la festa del dio Sole dei Romani. Le tue reazioni sono giuste, bisogna seguire sempre la propria coscienza. D’ora in avanti cercheremo di scoprire insieme tutte le menzogne del nostro credo e di non seguirle più!”
Quelle parole mi risollevarono, ma qualcosa in me si era comunque incrinato. I miei genitori mi avevano mentito per sette lunghi anni e il prete continuava a farlo! Da quel giorno divenni ancora più diffidente, perché compresi che nessun adulto era perfetto: potevano ingannare, imbrogliare e mentire anche loro!
La neve aveva isolato Bergenbach, così trascorremmo le vacanze a casa. Saremmo ritornati alla fattoria in primavera. Ogni giorno il papà si divertiva con me e Zita. Lanciava delle palle di neve che la mia cagnetta cercava di afferrare. Alla fine di quelle meravigliose ferie mi disse: “Domani la mamma ti accompagnerà a scuola. In fin dei conti, i tuoi compagni avevano ragione: tu non sei, noi non siamo più cattolici! La tua mamma ha scoperto la verità, perché la Bibbia è la verità. Cercheremo di seguirla il più possibile!”
♠♠♠
La musica, le risate e i giochi tornarono ad allietare il nostro focolare domestico. Il papà era di buon umore e mi coccolava come meglio poteva. Aveva ritrovato tutta la gioia di vivere e sembrava essere sulla strada della guarigione, infatti aveva ricominciato a dipingere e a suonare il violino. Aveva anche smesso di fumare. Un giorno, per stuzzicarlo gli misi delle sigarette di cioccolato nell’astuccio e lo udii spiegare alla mamma: “Ho condannato i preti che fumano, quindi non devo fare lo stesso errore. Simone ha bisogno di un padre coerente”. Da quel momento non fumò mai più e i suoi terribili attacchi di tosse mattutini diventarono ben presto solo un brutto ricordo.
Una volta, pieno di entusiasmo, mi portò una bella stoffa a fiori che mi aveva promesso mesi prima, ma che sembrava avesse completamente dimenticato. La mamma mi confezionò un copriletto e un paio di tende nuove. Mentre cuciva, canticchiava. Siccome Jean, il ragazzo che abitava al piano di sotto, doveva venire a tappezzare la mia cameretta durante il nostro soggiorno a Bergenbach, il papà cercò di insegnarmi qualche nozione di colorimetria: come distinguere i colori “caldi” da quelli “freddi”; poi mi lasciò scegliere il colore della carta da parati. Subito scartai il blu. Non volevo ritrovarmi congelata!
Le mie compagne di scuola si rifiutavano di ascoltare le mie citazioni bibliche e anche il comportamento della mia insegnante rifletté il mutato atteggiamento generale nei confronti della mia famiglia. Non ero più la preferita della signorina. Mi ignorava il più possibile e solo raramente mi dava l’opportunità di rispondere in classe. Fortunatamente quell’ambiente gelido era compensato dall’atmosfera calorosa e tranquilla del nostro focolare. Sapevo che l’intolleranza non era una novità. La signorina ci parlava spesso dei cristiani ai tempi dei Romani. Se avevamo lavorato bene, ci premiava leggendoci dei brani dal celebre romanzo Quo vadis?, che parla delle prime persecuzioni, o raccontandoci le vicende di Fabiola, Nadine e Ben Hur.
Il papà possedeva una collezione di copie di tele famose. Fra queste c’era un dipinto italiano con scene di cristiani che avevano affrontato i leoni e avevano scelto di essere bruciati vivi, piuttosto di rinnegare la propria fede. Già dopo il primo anno di scuola mi ero proposta di imitare il loro coraggio. La gente attorno a me mostrava una forma di devozione, eppure nessuno voleva sentire parlare della Bibbia. Non riuscivo proprio a spiegarmelo! La decisione dei miei genitori di chiedere l’esonero dalle lezioni di catechismo aggravò ulteriormente la mia situazione: le mie compagne cominciarono a odiarmi. Le stesse ragazzine alle quali avevo distribuito il mio pane, i dolci e la cioccolata diventarono improvvisamente aggressive nei miei confronti. “Ma perché si comportano così?”, mi domandavo spesso. “Che cos’è cambiato?”
Durante l’ora di catechismo il direttore mi impartiva lezioni di educazione civica. Un giorno, all’uscita mi imbattei in alcune alunne che mi aspettavano nel cortile. Formarono un semicerchio le cui estremità bloccavano le due rampe delle scale. Ero in trappola! Intonarono in coro: “Pagana, pagana, tu sei una pagana!”
Una voce si levò: “Tu non vai più in chiesa!” Qualcun’altra urlò: “Non vieni neanche più al catechismo!” Una terza si sgolava: “Sei diventata comunista!” Ero in cima alle scale, completamente sola ad affrontarle! Gridai: “Sono cristiana!” Loro ribatterono irritate: “Allora dicci perché non vieni più al catechismo!”
Le letture bibliche con la mamma mi avevano insegnato che Dio è troppo grande per risiedere in edifici costruiti dall’uomo. Perciò indicai la chiesa e gridai: “Dio non può abitare là! Per di più è piena di idoli che ‘hanno occhi che non possono vedere e orecchie che non possono udire’, e il secondo comandamento proibisce di farsi idoli e…” Tacqui. Le bambine si erano a un tratto calmate. Nell’imponente villa di fronte una signora molto elegante aveva attirato la loro attenzione battendo le mani.
“Lasciatela andare! Non vedete che ha il viso di un demonio scappato dall’inferno? Allontanatevi da lei, è pericolosa!”
Una delle bambine gridò in preda al panico: “Svelte, svelte, corriamo!” Si scatenò un vero e proprio scompiglio. Anche Blanche, Madeleine e Andrée seguirono le altre e io mi ritrovai completamente sola. Voltandomi, mi accorsi che la signorina era rimasta all’ingresso: immobile, impassibile e silenziosa.
All’angolo della strada mi stava aspettando un gruppo più piccolo. Alcuni ragazzini mi circondarono minacciosi: “Sporca ebrea, sporca ebrea!”
Ero disorientata. Io non ero né l’una né l’altra, perché questi epiteti? Finalmente dei passanti dispersero le piccole furie.
Quel giorno leggemmo nei Vangeli il racconto delle persecuzioni, dell’odio e degli scherni subiti da Gesù. La mia fiducia nelle promesse della Bibbia era completa, perciò potevo sopportare tutte le angherie. Nondimeno avevo una domanda per i miei genitori: “Perché l’ingiuria ‘sporca ebrea’?” Il nostro macellaio era ebreo ed era una persona molto pulita, un commerciante onesto e gentile, stimato dalla mamma. Perché questo insulto mi toccava tanto?