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Lì vicino, Mischa sedeva sul marciapiede dietro il furgoncino colorato e tirava pigramente le erbacce marroni che si erano fatte strada attraverso le fessure del marciapiede. La ragazza aveva dodici anni ed era spesso seria, diligentemente calma e deliziosamente letale. Indossava jeans e scarpe da ginnastica bianche e, ironia della sorte, una felpa azzurra con cappuccio con la scritta BROOKLYN serigrafata in lettere bianche sul davanti.
“Mischa”. La ragazza sollevò lo sguardo; i suoi occhi verdi erano opachi e inespressivi. Samara allungò un pugno e la ragazza aprì la mano. “È quasi ora”, le disse Samara in russo mentre lasciava cadere due oggetti sul palmo della mano: tappi per le orecchie elettronici, appositamente progettati per attutire una particolare frequenza.
Anche l'arma era insignificante, perfino brutta. La maggior parte delle persone difficilmente avrebbe creduto che un simile dispositivo fosse un'arma, e questo era un grande vantaggio. La frequenza veniva emessa da un ampio disco nero del diametro di un metro e uno spessore di diversi centimetri, che produceva onde sonore ultra-basse in un cono unidirezionale. Gli effetti più potenti si verificavano in un raggio di circa cento metri, ma gli effetti deleteri dell'arma si potevano sentire fino a trecento metri di distanza. Il disco era montato su una piattaforma girevole che non solo lo teneva in piedi come una parabola satellitare, ma gli permetteva di girare in qualsiasi direzione. La piattaforma era a sua volta saldata a un carrello d'acciaio con quattro spesse ruote, il quale conteneva anche il pacco batteria agli ioni di litio che alimentava l'arma. La sola batteria pesava trenta chili; tutto insieme, incluso il carrello dei dolly, l'arma ad ultrasuoni pesava quasi centocinquanta chili, motivo per cui tali armi venivano generalmente montate sulle navi o in cima a delle jeep.
Ma montare la loro arma su un veicolo l'avrebbe resa molto più difficile da trasportare e anche meno discreta, e per questo motivo erano necessari i quattro uomini nel furgone. Erano tutti mercenari altamente qualificati, ma per lei erano poco più che facchini. Se l'arma fosse stata più leggera, più manovrabile, Samara e Mischa avrebbero potuto gestire questa operazione da sole, ne era certa. Ma dovevano lavorare con quello che avevano, e data la sua potenza l'arma non avrebbe potuto essere più compatta.
Samara si era preoccupata della logistica, ma fino a quel momento non aveva incontrato alcun problema. Immediatamente dopo l'attacco dell'Avana, avevano caricato l'arma su una barca che li aveva portati a nord verso Key West. All'aeroporto si erano imbarcati rapidamente su un aereo cargo di medie dimensioni che li aveva portati a Kansas City. Tutto era stato organizzato diverse settimane prima. Ora non dovevano fare altro che attuare il piano.
Samara si aggirava con discrezione nell'angolo dell'isolato mentre la musica della banda diventava sempre più forte. Ormai poteva vederli dirigersi verso di lei. Il furgoncino era parcheggiato sul marciapiede fuori dalla drogheria, a qualche metro dal punto in cui i coni arancioni chiudevano la strada per la sfilata.
Samara aveva fatto tutte le ricerche. La scuola comunale di Springfield organizzava ogni anno una parata per il Giorno del Ringraziamento, guidata dalla loro banda, lungo un percorso tortuoso di due miglia che partiva da un parco locale, attraversava la città e si chiudeva ad anello. In prima fila nella parata c'era un giovane tamburino, con un cappello ridicolmente alto, che percuoteva il suo strumento con enfasi con un bastone. A seguirli c'era la squadra di football senza vittorie del piccolo college, e poi la squadra di cheerleader. Poi sarebbe arrivato il carro con il sindaco di Springfield e sua moglie seguiti dai loro i vigili del fuoco locali. A chiudere la parata c'erano i membri della facoltà e l'associazione atletica.
Era tutto così disgustosamente americano.
“Mischa”, ripeté Samara. La ragazza annuì seccamente e si infilò i tappi per le orecchie elettronici. Si alzò dal marciapiede e prese posizione vicino alla cabina del furgone, appoggiandosi alla portiera del guidatore per schermarsi parzialmente dalla frequenza.
Samara sganciò una radio dalla cintura. “Due minuti”, disse in russo. “Accendi”. Aveva insegnato lei stessa il russo alla sua squadra, pretendendo che parlassero solo quella lingua in pubblico.
Un vecchio con un maglione di pile si accigliò mentre le passava accanto; sentire qualcuno parlare russo a Springfield, nel Kansas, era strano quanto sentire uno Shar-Pei parlare cantonese. Samara si accigliò e si affrettò per la sua strada, fermandosi quando raggiunse l'angolo per assistere alla sfilata.
Sembrava che l'intera città si fosse radunata per l'evento: c'erano sedie da giardino allineate per diversi isolati, bambini che aspettavano con impazienza di raccogliere le caramelle che sarebbero state lanciate a piene mani.
Samara lanciò un'occhiata alla ragazza alle sue spalle. A volte si chiedeva se dentro di lei fosse rimasto qualche residuo dell'infanzia; se osservasse gli altri bambini desiderando ardentemente di essere al loro posto, o se le sembrassero degli estranei. Ma lo sguardo di Mischa era freddo e distante. Se c'era qualche dubbio dietro quegli occhi, era diventata esperta a nasconderlo.
La banda in marcia girò l'angolo portando con sé gli squilli di trombe e i rulli di tamburi, volgendo le spalle a Samara e al furgone. Seguivano, a piedi, dei ragazzi in maglietta: era la squadra di football del college che gettava caramelle tra la folla, risvegliando l'entusiasmo dei bambini che sfrecciavano in avanti e si accovacciavano per afferrarle come degli avvoltoi su una carcassa.
Qualcosa atterrò vicino ai piedi di Samara. Lei lo raccolse con cautela tra due dita. Era un Tootsie Roll. Non poté fare a meno di sorridere. Che tradizione incredibilmente bizzarra: i giovani del paese più ricco del mondo si accalcavano per accaparrarsi le caramelle più economiche, gettate pigramente sul marciapiede.
Samara si avvicinò a Mischa vicino alla cabina del furgone, volgendo le spalle alla parata e ai suoi avventori. Le porse la caramella. Un lampo di curiosità passò sul giovane viso di Mischa mentre la prendeva.
“Spasiba”, mormorò la ragazza. Grazie. Ma invece di scartarla e mangiarla, la infilò nella tasca dei jeans. Samara l'aveva addestrata bene; avrebbe ricevuto una ricompensa quando se la sarebbe meritata.
Samara portò di nuovo la radio alle labbra. “Inizio tra trenta secondi”. Ma non aspettò una risposta; si mise i tappi per le orecchie, una voce acuta ma dolce le sussurrò qualcosa all’orecchio. I quattro uomini nel vano di carico del furgone avrebbero attaccato da lì. Non avrebbero dovuto nemmeno tirare fuori l'arma o aprire lo sportello posteriore del veicolo. La frequenza ultrasonica era in grado di viaggiare attraverso l'acciaio, attraverso il vetro, anche attraverso i mattoni senza venire attutita in modo considerevole.
Samara incrociò le braccia e si mise in piedi accanto a Mischa, facendo mentalmente un conto alla rovescia. Non sentiva più la banda né l'applauso della folla: ogni suono era sovrastato dal rumore lamentoso dei tappi per le orecchie. Era strano vedere così tante cose ma non sentire nulla, era come fissare un televisore muto. Per un momento pensò a quell'assurdo paradosso: se un albero cade in mezzo alla foresta e non c'è nessuno intorno a sentirlo, emette comunque un suono? La loro arma non emise alcun suono. La frequenza era troppo bassa per essere percepita dall'orecchio umano. Ma avrebbe comunque avuto i suoi effetti devastanti.
Samara non sentì la musica né il frastuono generale della folla, e non sentì nemmeno le prime urla. Ma pochi istanti dopo che il suo conto alla rovescia raggiunse lo zero, vide i corpi cadere sull'asfalto. Vide i cittadini di Springfield, nel Kansas, in preda al panico, correre, calpestarsi l'un l'altro come i tanti bambini che si arrampicavano per cercare caramelle. Alcuni si contorcevano; diversi vomitavano. Gli strumenti caddero sull'asfalto con fragore insieme ai secchi pieni di caramelle. A non più di venticinque metri da lei, un giocatore di football cadde sputando sangue.
C'era tanta bellezza in quel caos. L'intera esistenza di Samara si era basata sul regime, sul protocollo, sulla pratica, eppure lei era una delle poche a sapere quanto potesse essere inaffidabile tutto ciò non appena il caos prende il sopravvento. In quelle situazioni, contava solo l'istinto. È in quelle situazioni che si impara a conoscere sé stessi e si scopre ciò di cui si è capaci. Nel caos che si svolgeva in silenzio davanti ai suoi occhi, le famiglie calpestavano i propri cari. Mariti e mogli abbandonavano i loro partner per salvare sé stessi. Regnava la confusione più totale. La folla avrebbe finito per fare più danni di quanti non ne avrebbe fatti l'arma.
Ma non potevano indugiare. Fece un cenno a Mischa, che fece il giro della cabina e salì sul sedile del passeggero mentre Samara si metteva al volante e inseriva la chiave nel blocchetto di accensione. Ma non accese il motore. Sarebbero rimasti ancora un minuto, in modo tale che gli effetti dell'attacco fossero davvero devastanti; dopodiché avrebbero lasciato Springfield, facendo in modo che le autorità si domandassero quale fosse il significato dell'attacco in quell'insignificante cittadina nel Kansas.
CAPITOLO SETTE
Zero entrò al George Bush Center for Intelligence, il quartier generale della CIA situato nella cittadina di Langley, in Virginia. Attraversò il vasto pavimento di marmo accompagnato dal rumore dei suoi passi che echeggiavano mentre calpestava il grande emblema circolare, uno scudo e un'aquila in grigio e bianco, circondato dalle parole “Central Intelligence Agency, Stati Uniti d'America” e si diresse dritto verso gli ascensori.
Non c'era quasi nessuno ad eccezione di qualche guardia e di alcuni assistenti amministrativi che si occupavano della burocrazia. Era ancora piuttosto nervoso per essere stato chiamato proprio in quel momento in cui si trovava con le sue ragazze e sperava che il briefing sarebbe stato davvero breve.
Ma quella prospettiva gli sembrò poco probabile.
“Aspetta”, lo chiamò una voce familiare mentre Zero premeva il pulsante per il secondo piano, dove si sarebbe svolta la riunione. Allungò una mano per impedire alle porte di chiudersi, e un attimo dopo l'agente Todd Strickland entrò nell'ascensore insieme a lui. “Grazie, Zero”.
“Hanno chiamato anche te, eh?”
“Già”. Disse Strickland scuotendo la testa. “Ero appena arrivato all'ospedale”.
“Trascorri il Ringraziamento con i veterani?”
Strickland annuì con noncuranza, e Zero intuì che non fosse un argomento di cui era ansioso di parlare. Todd Strickland aveva soltanto trent'anni, aveva un collo largo e muscoloso, e portava ancora i capelli nel tipico taglio militare dei soldati dell'Esercito. I suoi occhi luminosi, i lineamenti da ragazzo e le guance ben rasate gli davano un aspetto giovane e gentile, ma Zero sapeva che dietro quell'aspetto innocente c'era un'immensa forza; Strickland era uno dei migliori Ranger che avesse mai conosciuto. Aveva trascorso quasi quattro anni della sua giovane vita a rintracciare gli insorti nei deserti del Medio Oriente, dormendo nella sabbia, arrampicandosi nelle caverne e razziando le basi militari. Era un combattente, eppure era riuscito a mantenere una compassione tanto forte quanto il suo senso del dovere.
“Di cosa si potrebbe trattare, hai qualche idea?” Chiese Zero mentre le porte dell'ascensore si aprivano.
“Se dovessi tirare a indovinare? Probabilmente l'attacco di ieri sera all'Avana”.
“C'è stato un attacco all'Avana ieri sera?”
Strickland ridacchiò leggermente. “Non guardi mai le notizie, vero?” Insieme percorsero un corridoio vuoto. Sembrava che quasi tutta Langley si stesse godendo la vacanza a casa con la famiglia, eccezion fatta per loro, naturalmente.
“Sono stato un po' occupato”, ammise Zero.
“A proposito, come stanno le ragazze?” Strickland non era estraneo a Maya o Sara; da quando la vita delle ragazze era stata minacciata da un assassino psicopatico, il giovane agente aveva fatto voto di tenerle d'occhio, indipendentemente dal fatto che Zero fosse presente o meno. Finora aveva mantenuto la parola.
“Stanno…” Stava per dire semplicemente “stanno bene”, ma si fermò. “Stanno crescendo. Che diamine, forse sono già cresciute”. Zero sospirò. “Sarò sincero”. Se veniamo spediti da qualche parte oggi, non so cosa fare con Sara. Non penso che stia abbastanza bene per essere lasciata sola”.
Strickland fece una pausa mentre raggiungevano la porta della sala riunioni chiusa, oltre la quale si sarebbe tenuto il briefing. Ma indugiò e si infilò una mano nella tasca posteriore. “Stavo pensando alla stessa cosa”. Strickland consegnò a Zero un biglietto da visita.
Zero si fece cupo. “Che cos'è?” Il cartoncino era piuttosto semplice, color avorio, con in rilievo un sito Web e un numero di telefono e il nome “Seaside House Recovery Center”.
“È un posto a Virginia Beach”, spiegò Strickland, “dove le persone come lei possono andare a … curarsi. Ho trascorso alcune settimane lì, una volta. Sono brave persone. Possono aiutarla”.
Zero annuì lentamente, un po' sorpreso dal fatto che tutti sembravano aver pensato a quella soluzione ad eccezione di lui. Maya gli aveva già detto che Sara aveva bisogno di un aiuto professionale, ed evidentemente anche Todd lo pensava. Sapeva esattamente perché non ci avesse pensato lui; voleva riuscire ad aiutarla da solo. Voleva essere colui che l'aveva aiutata ad uscirne. Ma sapeva, in fondo, che lei aveva bisogno di più di quanto lui potesse offrirle.
“Spero di non essere stato indiscreto”, disse Todd. “Ma, ehm… Ho telefonato loro per assicurarmi che avessero posto. Mi hanno detto che c'è un posto per lei, quando vorrà”.
“Grazie”, mormorò Zero. Non sapeva cos'altro dire; certamente non era stato indiscreto, aveva semplicemente fatto qualcosa che Zero forse non si sarebbe mai convinto a fare. Infilò in tasca il biglietto da visita e indicò la porta. “Dopo di te”.
Aveva partecipato a decine di briefing in qualità di agente della CIA, ma ogni volta era un'esperienza nuova. Talvolta erano riunioni affollate e caotiche, piene di rappresentanti di agenzie cooperanti e videoconferenze con esperti in materia. Altre volte erano piccole, tranquille e riservate. E sebbene fosse certo che questa sarebbe stata una riunione tranquilla, fu comunque abbastanza sorpreso di trovare una sola persona seduta al tavolo, con un tablet di fronte a lei.
Anche Strickland sembrava perplesso, perché chiese: “Siamo in anticipo?”
“No”, disse Maria alzandosi. “Siete arrivati giusto in tempo. Accomodatevi”.
Zero e Todd si scambiarono un'occhiata e si sedettero uno di fronte all'altro di fianco a Maria, che era al capo di un lungo tavolo.
“Beh”, mormorò l'agente più giovane, “non è poi un benvenuto così accogliente”.
“Mi dispiace avervi chiamato in un giorno di festa”, iniziò. “Sapete che non lo avrei mai fatto se avessi avuto una scelta”. Nell'aggiungere quelle parole, si rivolgeva soprattutto Zero; Maria sapeva esattamente chi e cosa lo aspettava a casa. Dopotutto, era stata invitata anche lei. “Arriverò subito al dunque”, proseguì. “Ieri sera si è verificato un incidente sul lungomare settentrionale dell'Avana, e abbiamo forti ragioni per credere che si sia trattato di un attacco terroristico calcolato”.
Disse loro tutto ciò che sapeva; che oltre un centinaio di persone aveva manifestato una vasta gamma di sintomi e che il fatto che le persone che avevano subito gli effetti più gravi fossero tutte vicine suggeriva l'utilizzo di un'arma ad ultrasuoni posizionata vicino alla costa. Mentre parlava, la punta delle sue dita scivolava sul touch-screen del tablet, facendo scorrere le foto delle vittime scattate dai servizi di emergenza di Cuba. Alcuni di loro non riuscivano a stare in piedi; altri avevano sottili rivoli di sangue che colavano dalle orecchie. Alcuni erano stati portati via in barella.
“C'è stata una sola vittima”, concluse Maria, “una giovane donna americana in vacanza. Non è stata trovata l'arma, e perciò siamo stati coinvolti noi”.
Zero aveva già sentito parlare di questo tipo di arma ad ultrasuoni o di qualcosa del genere, ma ad eccezione delle minuscole granate soniche che Bixby aveva preparato, non aveva alcuna esperienza in merito. Dovette tuttavia riconoscere che, nonostante non ci fossero immagini dell'arma o degli assalitori, sembrava molto simile a un attacco terroristico, e ciò rendeva tutto ancora più confuso.
“Kent?” Disse Maria. “Che ne pensi?”
Lui scosse la testa. “Onestamente, sono un po' perplesso. Perché costruire o acquistare questo tipo di arma quando un singolo fucile d'assalto e alcune cartucce avrebbero fatto molti più danni?”
“Forse fare danni non era il loro primo obiettivo”, suggerì Strickland. “Forse era un messaggio. Per quanto ne sappiamo, i responsabili potrebbero essere cubani. Hanno preso di mira una zona turistica; forse sono nazionalisti e questa era una specie di protesta violenta”.
“È possibile”, ammise Maria. “Ma dobbiamo lavorare sui fatti e gli unici fatti che abbiamo in questo momento sono che tra le vittime c'erano alcuni cittadini italiani, che uno di loro è ora morto, e quest'arma è ancora in giro… e qui entrate in gioco voi”.
Zero e Strickland si scambiarono un'occhiata perplessa e poi guardarono nuovamente Maria. Per un minuto Zero aveva iniziato a pensare che questo potesse essere solo un briefing di intelligence, in cui li aggiornava in merito a quello che era successo a Cuba, ma le sue ultime parole avevano reso tutto più chiaro.
Non c'era alcun dubbio a riguardo; sarebbe stato rimandato sul campo.
“Aspetta un attimo”, disse Strickland. “Stai dicendo che qualcuno, da qualche parte nel mondo, ha un'arma a ultrasuoni portatile e molto potente, e cosa vorresti che facciamo? Dobbiamo andare a cercarla?”
“Capisco che non c'è molto su cui lavorare…” Rispose Maria.
“Non c’è assolutamente nulla su cui lavorare”.
Zero fu un po' sorpreso dall'atteggiamento di Strickland; in fondo era ancora un soldato e non aveva mai parlato così a un suo superiore, nemmeno a Maria. Ma lo capì, perché mentre Strickland esprimeva la sua indignazione, Zero si sentì pervadere da un'ondata di rabbia. Era quello il motivo per cui era stato allontanato dalla sua famiglia nel giorno del Ringraziamento? Gli dispiaceva per le vittime dell'attacco all'Avana, ma in genere veniva chiamato per fermare guerre nucleari ed evitare uccisioni di massa, non per andare a caccia di un'arma che aveva fatto una sola vittima.
“A dire il vero, abbiamo qualcosa”, disse Maria a Strickland. “Alcuni testimoni oculari al porto affermano di aver visto un gruppo di uomini, quattro o cinque, che indossavano una sorta di maschera protettiva o un elmetto e caricavano un 'oggetto dall'aspetto strano' su una barca immediatamente dopo l'attacco. Non hanno fornito molti dettagli, ma alcune persone hanno anche riferito di aver visto una donna con i capelli rosso vivo, forse caucasica, con loro”.
“Va bene, è già qualcosa”, concordò Strickland, sembrando desistere da ulteriori proteste. “Quindi andiamo all'Avana, troviamo la barca, scopriamo chi la possiede, dove stava andando, dove si trova ora e seguiamo la pista”.
Disse Maria. “Questo è quanto. Bixby sta lavorando su una tecnologia che ci dovrebbe aiutare. E non intendo essere invadente, ma il presidente Rutledge ha ci ha chiesto di agire il più presto possibile, quindi…”
“Possiamo parlare?” Zero sbottò all'improvviso, prima che Maria potesse dar loro ufficialmente l'ordine di agire. “In privato?”
“No”, rispose lei semplicemente.
“No?” Zero era senza parole.
Lei sospirò. “Mi dispiace, Kent. Ma so cosa vuoi dire e so che se lo facessi probabilmente mi arrenderei e proverei a rimuoverti dall'incarico. Ma è un ordine del presidente. Non mio, né del direttore Shaw…”
“E dov'è ora il direttore Shaw?” Chiese Zero animatamente. “A casa, non è vero? Si sta preparando per godersi il Ringraziamento con la sua famiglia?”
“Sì, Zero, proprio così”, rispose lei con fermezza. Non lo aveva mai chiamato Zero; dalla sua bocca, quel nome assumeva un tono di rimprovero. “Perché non è suo compito trovarsi qui. È il tuo. Proprio come non è mio compito mettermi nei guai per aiutarti ancora una volta. Il mio compito è di dirti dove devi andare e cosa deve fare”. Toccò due volte il tablet con un dito. “Devi andare qui. E fare ciò che ti ho detto”.
Zero fissò il piano del tavolo liscio e lucido. Aveva stupidamente pensato che lui e Maria potessero essere ancora amici dopo tutto quello che avevano passato. Ma alla fine, sarebbe finita così. Lei era il suo capo, e per la prima volta sentiva il peso della sua autorità su di lui.
La sensazione non gli piacque affatto, così come non gli piaceva che il presidente avesse chiesto esplicitamente che lui si occupasse di questo compito. Per quanto lo riguardava, era uno spreco delle sue capacità. Ma non disse nulla.
“Pensate alla situazione in cui ci troviamo”. Il tono di Maria si addolcì, ma non guardò direttamente nessuno dei due. “È in corso una guerra commerciale con la Cina. I nostri legami con la Russia sono quasi recisi. L'Ucraina non è contenta. Il Belgio e la Germania sono ancora in collera per quella che considerano un'operazione non autorizzata sul loro territorio. Nessuno si fida del nostro governo, né tantomeno della nostra gente. Non abbiamo nemmeno un vicepresidente”. Maria scosse la testa, e continuò: “Non possiamo permettere che ci sia un attacco sul suolo americano, anche se questa per il momento è solo una possibilità. Non se possiamo evitarlo”.
Zero voleva protestare. Voleva sottolineare che l'efficacia di due uomini più o meno qualificati, era irrisoria rispetto a uno sforzo congiunto delle forze dell'ordine. Poteva capire che non volessero che l'attacco avesse una forte risonanza pubblica, ma se volevano davvero trovare queste persone, se pensavano davvero che un attacco agli Stati Uniti fosse probabile, avrebbero potuto emanare un mandato di cattura, a partire dalle aree costiere di Florida, Louisiana, Texas, gli obiettivi più probabili considerando l'attacco dell'Avana. Chiedere al governo cubano di indagare sulla nave scomparsa. Lavorare insieme per proteggere i propri cittadini e chiunque altro possa essere ferito.
Zero stava per suggerirlo a voce alta, ma prima che ne avesse l'occasione, il cellulare di Maria suonò.
“Un attimo”, disse loro prima di rispondere: “Johansson”
Immediatamente il suo viso sbiancò e il suo sguardo incontrò quello di Zero. Aveva già visto quell'espressione prima, molte volte, troppe a dire il vero. Era uno sguardo di shock e orrore.
“Mandami tutto”, disse Maria al telefono, con voce tremante. Poi terminò la chiamata, e Zero sapeva già cosa stesse per riferire loro.
“C'è stato un attacco sul suolo americano”.
CAPITOLO OTTO
Di già? Zero era sbalordito dalla velocità con cui era arrivato un attacco successivo: aveva chiaramente sottovalutato la gravità della situazione.
Ma fu ancora più scioccato quando Maria disse loro dove si era verificato.
“L'attacco è avvenuto in una piccola città nel Midwest”. Maria scrutò lo schermo del tablet, leggendo rapidamente le informazioni che arrivavano in tempo reale. “Un posto chiamato Springfield, nel Kansas, ottocento cinquantuno abitanti”.
“Kansas?” Ripeté Zero. Se erano arrivati fino in Kansas dopo aver attaccato all'Avana, ciò significava che… “Devono aver viaggiato in aereo”.
“Il che significa che è un attacco pianificato”, aggiunse Strickland. Il giovane agente si alzò all'improvviso, come se ci fosse qualcosa che potesse fare in quel momento. “Ma perché? Cosa potrebbe esserci di significativo in un piccolo paesino nel Kansas?”
“Non ne ho idea”, mormorò Maria. Poi si portò una mano alla bocca. “Dio mio”. Guardò nuovamente Zero, con gli occhi spalancati. “Si stava svolgendo una parata. Con i ragazzi del college, famiglie e … bambini”.
Zero fece un respiro profondo, cercando di mantenere distaccata la sua sensibilità di padre ed ex professore dal suo ruolo di agente. “Vittime?”
“Non è chiaro”, riferì Maria, fissando il tablet. “È appena successo. La prima chiamata di emergenza si è verificata ventitré minuti fa. Ma…” aggiunse, poi s'interruppe. Fece un respiro profondo. “I resoconti dei primi soccorritori stimano sedici morti sulla scena. Probabilmente sono anche di più”.




