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Gunner ci pensò su. In tv aveva visto un notiziario su suo padre, il giorno prima. Era un servizio molto breve, ma c’erano la foto e il nome del padre, e un video di quando era più giovane e stava nell’esercito. Luke Stone, agente della Delta Force. Luke Stone, Special Response Team dell’FBI. Luke Stone e la sua squadra hanno salvato il governo degli Stati Uniti.
“Sono orgoglioso di te, papà. Anche se non sarai mai il campione mondiale.”
Suo padre rise. Fece un cenno in direzione del molo. “Okay; siamo pronti?”
Gunner annuì.
“Andiamo al largo, buttiamo l’ancora, vediamo se troviamo un po’ di persici spigola sulla bassa marea.”
Gunner annuì. Si allontanarono dal molo per spostarsi lentamente attraverso la zona in cui si doveva procedere a velocità ridottissima. Si preparò quando la barca prese velocità.
Gunner scrutava l’orizzonte davanti a loro. Era l’osservatore, e doveva tenere gli occhi bene aperti, come a suo padre piaceva dire. Erano usciti a pesca insieme tre volte quella primavera, ma non avevano preso niente. Quando si andava a pescare e non si prendeva niente, papà diceva che erano “in magra”. Adesso erano decisamente in magra.
Poco dopo Gunner vide degli spruzzi a mezza via del fianco di tribordo. C’erano delle sterne che si tuffavano, gettandosi in acqua come bombe.
“Ehi, guarda!”
Il padre annuì e sorrise.
“Persici spigola?”
Il padre scosse la testa. “Pesce serra.” E poi disse, “Aspetta.”
Accelerò e poco dopo schiumavano, correvano, sempre prendendo velocità, mentre la barca si metteva in piano e Gunner quasi veniva buttato all’indietro. Un attimo dopo andavano con calma per la forte rapida, la barca si immerse e si risistemarono sulle lunghe onde.
Gunner afferrò due lunghe canne da pesca con uncini singoli. Ne porse una al padre e poi lanciò la sua senza aspettare. Quasi istantaneamente si sentì strattonare forte. Adesso nella canna c’era un vigore selvaggio, che vibrava di vita. Una forza invisibile quasi gliela strappò dalle mani. Il filo si spezzò e si afflosciò. Il pesce serra si era liberato. Si girò per dirlo al padre, ma anche lui adesso era preso dalla canna, che era piegata in due.
Gunner prese una rete e si preparò. Il pesce serra – argentato e azzurro e verde e bianco e molto, molto arrabbiato, fu issato dall’acqua fin sull’abitacolo.
“Bel pesce.”
“Finalmente!”
Il pesce cadde di peso sul ponte, preso nella maglia verde della rete.
“Lo teniamo?”
“No. Ci ha liberato dalla magra, ma siamo qui per i persici spigola. I pesci serra sono forti, ma i persici spigola sono più grossi, e poi grigliati vengono meglio.”
Liberarono il pesce – Gunner osservò il padre agguantare il pesce che ancora si dimenava e contorceva e rimuovere l’uncino, con le dita a pochi centimetri da quei famelici denti. Suo padre gettò il pesce oltre la sponda, dove con una rapida frustata della coda si tuffò nelle profondità dell’oceano.
Non appena fu scomparso il telefono di suo padre prese a suonare. Lui sorrise e guardò il telefono. Poi lo mise da parte. Vibrava e vibrava. Dopo un po’ smise. Passarono dieci secondi prima che ricominciasse.
“Non rispondi?” disse Gunner.
Scosse la testa. “No. Anzi, lo spengo.”
Gunner sentì un’improvvisa paura nello stomaco. “Papà, ma devi rispondere. E se è un’emergenza? E se i cattivi stanno tornando?”
Suo padre lo fissò per un lungo secondo. Il telefono aveva smesso di vibrare. Poi ricominciò. Rispose.
“Stone,” disse.
Fece una pausa e il suo viso si oscurò. “Ciao, Richard. Sì, il capo dello staff di Susan. Certo. Ho sentito parlare di te. Be’, senta. Lo sa che mi sto prendendo del tempo per me, no? Non ho nemmeno deciso se faccio ancora parte dello Special Response Team, o in qualsiasi modo si chiami adesso. Sì, lo capisco, ma c’è sempre qualcosa di urgente. Non capita mai che mi chiamino a casa per dirmi che non è urgente. Okay… okay. Se la presidente a questa riunione ci tiene davvero, mi può chiamare di persona. Sa dove trovarmi. Okay? Grazie.”
Quando riappese, Gunner lo osservò. Non sembrava che si stesse divertendo quanto si divertiva appena un minuto prima. Gunner sapeva che se chiamava la presidente, suo padre avrebbe fatto di corsa i bagagli per andarsene da qualche parte. Un’altra missione, magari altri cattivi da uccidere. E avrebbe lasciato lui e sua madre di nuovo a casa da soli.
“Papà, ti chiamerà la presidente?”
Il padre gli scompigliò i capelli. “Mostriciattolo, di certo spero di no. Adesso che dici? Andiamo a prendere qualche persico spigola.”
*Ore dopo, la presidente non aveva ancora chiamato.
Luke e Gunner avevano preso tre bei persici spigola, e Luke mostrò a Gunner come eviscerarli, pulirli e tagliarli in filetti. Non era una novità, ma è con la ripetizione che si apprende. Si era aggiunta anche Becca, che aveva portato una bottiglia di vino sul patio e un piatto di formaggio e cracker sulla tavola.
Luke stava accendendo la griglia quando suonò il telefono.
Guardò la sua famiglia. Erano raggelati al primo squillo. Lui e Becca si scambiarono uno sguardo. Lui non riusciva più a leggere i suoi occhi. Qualunque cosa dicessero, non si trattava di un sostegno. Rispose al telefono.
Una voce profonda, di uomo: “Agente Stone?”
“Sì.”
“La prego di attendere in linea la presidente degli Stati Uniti.”
Rimase lì ottuso, ad ascoltare il vuoto.
Si sentì un click e arrivò lei. “Luke?”
“Susan.”
La mente gli ritornò un’immagine della donna, a guidare tutto il Paese, e la maggior parte del mondo, cantando “God Bless America.” Era stato un momento fantastico, ma era tutto ciò che era – un momento. Ed era il tipo di cosa che i politici erano bravi a fare. Era praticamente un trucchetto da salotto.
“Luke, abbiamo per le mani una crisi.”
“Susan, abbiamo sempre una crisi per le mani.”
“In questo momento ci sono dentro fino al collo.”
Ottimo. Era da un po’ che non sentiva un’espressione del genere.
“Faremo una riunione. Qui a casa. Ho bisogno che venga anche lei.”
“Quand’è la riunione?”
Non esitò. “Tra un’ora.”
“Susan, con il traffico sono a due ore di distanza. In una giornata buona. Adesso la metà delle strade è ancora chiusa.”
“Non se ne starà in mezzo al traffico. Sta arrivando un elicottero. Sarà lì tra quattordici minuti.”
Luke guardò di nuovo la sua famiglia. Becca si era versata un bicchiere di vino e sedeva dandogli le spalle, fissando il sole del tardo pomeriggio che affondava nell’acqua. Gunner fissava il pesce sulla griglia.
“Okay,” disse Luke al telefono.
CAPITOLO SEI
18:45
Osservatorio navale degli Stati Uniti – Washington, DC
“Agente Stone, io sono Richard Monk, il capo dello staff della presidente. Abbiamo parlato al telefono, prima.”
Luke era sceso sull’elisuperficie dell’osservatorio navale da cinque minuti. Strinse la mano del tizio alto e in forma di poco meno di quarant’anni, probabilmente dell’età sua. L’uomo indossava una camicia azzurra con le maniche arrotolate sugli avambracci. La cravatta pendeva sbilenca. La parte alta del corpo era rigorosamente muscolosa, come in una pubblicità di Men’s Health. Lavorava duro e giocava duro – questo diceva il look di Richard Monk a chiunque avesse voglia prestare orecchio.
Percorsero il corridoio di marmo della Nuova Casa Bianca verso le ampie porte doppie in fondo. “Abbiamo adattato la nostra vecchia sala conferenze a sala operativa,” disse Monk. “Ci stiamo ancora lavorando, ma ce la faremo.”
“È fortunato a essere vivo, vero?” disse Luke.
La maschera di sicurezza sul viso dell’uomo vacillò, solo per un secondo. Annuì. “Io e la vice… Be’, all’epoca era vicepresidente. Io e la presidente e parte dello staff eravamo sulla costa occidentale quando il presidente Hayes l’ha riconvocata all’est. È stato molto improvviso. Io sono rimasto indietro, a Seattle, con pochi altri per mettere a posto le cose. Quando è accaduto quel che è accaduto a Mount Weather…”
Scosse la testa. “È troppo orribile. Però sì, avrei potuto rimanerci anch’io.”
Luke annuì. Giorni dopo il disastro stavano ancora estraendo corpi da Mount Weather. Trecento finora, e sarebbero aumentati. Tra di loro c’erano l’ex segretario di Stato, l’ex segretario dell’educazione, l’ex segretario degli interni, il capo della NASA e dozzine di altri rappresentanti e senatori degli Stati Uniti.
I vigili del fuoco avevano spento l’incendio sotterraneo principale solo ieri.
“Qual è la crisi per cui Susan mi ha fatto venire qui?” disse Luke.
Monk fece un cenno in direzione della fine del corridoio. “Ah, la presidente Hopkins è nella sala conferenze, insieme ad alcuni membri chiave dello staff. Penso che lascerò che siano loro a dirle che sta accadendo.”
Superarono le doppie porte ed entrarono nella stanza. Erano già sedute a una grande tavola ovale più di una dozzina di persone. Susan Hopkins, la presidente degli Stati Uniti, sedeva nel punto più lontano dalla porta. Era piccola, quasi dimessa, circondata da grossi uomini. Due agenti dei servizi segreti le stavano accanto, da una parte e dall’altra, in piedi. Altri tre erano in vari angoli della stanza.
Un uomo dall’aria nervosa era in piedi in testa al tavolo. Era alto, con una calvizie incipiente, un po’ grasso, portava gli occhiali e un completo della taglia sbagliata. Luke lo valutò in un paio di secondi. Quella non era la sua sede normale, e credeva di essere in guai seri. Sembrava che lo avessero già torchiato in tutti i modi.
Susan si alzò. “Prima di cominciare, voglio presentare a tutti l’agente Luke Stone, ex membro dello Special Response Team dell’FBI. Qualche giorno fa mi ha salvato la vita, ed è stato determinante per salvare la Repubblica per come la conosciamo. Non sto esagerando. Non credo di aver mai conosciuto prima un agente tanto preparato, esperto e coraggioso di fronte alle avversità. È un vanto per la nostra nazione, per le nostre forze armate e per la nostra intelligence il fatto che identifichiamo e addestriamo uomini e donne come l’agente Stone.”
Ora si alzarono tutti per applaudire. Alle orecchie di Luke l’applauso sembrava artefatto e formale. Queste persone dovevano applaudire. La presidente voleva che lo facessero. Alzò la mano, cercando di farle smettere. La situazione era assurda.
“Salve,” disse quando l’applauso terminò. “Scusate il ritardo.”
Luke sedette su un posto vuoto. L’uomo in piedi lo fissò direttamente. Adesso Luke non sapeva che cosa ci fosse in quegli occhi. Speranza? Forse. Sembrava un quarterback disperato sul punto di lanciargli addosso un Ave Maria.
“Luke,” disse Susan. “Questo è il dottor Wesley Drinan, direttore del Galveston National Laboratory all’università del Texas, medicina. Ci aggiornerà su una possibile violazione della sicurezza avvenuta al livello 4 di biosicurezza.”
“Ah,” disse Luke. “Benissimo.”
“Agente Stone, se ne intende di laboratori al livello 4 di biosicurezza?”
“Mi chiami pure Luke,” disse. “Li ho sentiti nominare. Magari mi può spiegare tutto velocemente, comunque.”
Drinan annuì. “Ma certo. Le faccio la presentazione di trenta secondi. I laboratori BSL-4 sono il più alto livello di sicurezza quando si trattano agenti biologici. Il BSL-4 è il livello richiesto per lavorare con virus e batteri pericolosi ed esotici che comportano un alto rischio di infezioni contratte in laboratorio, così come di quelle che causano malattie gravi e/o mortali negli esseri umani. Queste sono malattie per cui al momento non sono disponibili né vaccini né altri trattamenti. In generale sto parlando di ebola, margur e altri virus emorragici emergenti che stiamo scoprendo nelle regioni profonde dell’Africa e del Sudamerica. A volte ci occupiamo anche di virus dell’influenza mutati finché non capiamo i loro meccanismi di trasmissione, indici di infezione, indici di mortalità, etc.”
“Okay,” disse Luke. “Ho capito. Ed è stato rubato qualcosa?”
“Non lo sappiamo. Manca qualcosa. Ma non sappiamo che cosa è accaduto.”
Luke non parlò. Semplicemente annuì all’uomo che continuava a parlare.
“Due sere fa abbiamo avuto una caduta di corrente. Già questo è raro. Ancor più raro è il fatto che i generatori di emergenza non si siano accesi immediatamente. Stando alla progettazione dell’edificio, in caso di blackout ci dovrebbe essere un cambio senza interruzioni dall’energia centrale a quella di scorta. Così non è stato. Invece l’edificio è passato alle riserve di emergenza, che consistono in uno stato di bassa energia che tiene in vita solo i sistemi essenziali.”
“Che genere di sistemi non essenziali si sono spenti?” chiese Luke.
Drinan fece spallucce. “Le cose che può immaginare. Luci. Computer. Telecamere.”
“Telecamere di sicurezza?”
“Sì.”
“Dentro all’edificio?”
“Sì.”
“Dentro c’era qualcuno?”
L’uomo annuì. “In quel momento dentro c’erano due persone. Una era un addetto alla sicurezza che si chiama Thomas Eder. Lavora all’edificio da quindici anni. Era alla postazione di guardia, non all’interno dell’edificio di isolamento. Gli abbiamo parlato, così come ha fatto la polizia e il Bureau of Investigation del Texas. È stato cooperativo.”
“Chi altro c’era?”
“Ehm, c’era una scienziata, nella zona di isolamento. Si chiama Aabha Rushdie. Viene dall’India. È una bellissima persona e una bravissima scienziata. Ha studiato a Londra, ha superato diversi addestramenti per i BSL-4 e ha tutte le autorizzazioni di sicurezza necessarie. È con noi da tre anni e io ho lavorato direttamente con lei in diverse occasioni.”
“Okay…” disse Luke.
“Quando è mancata la corrente, l’aria temporaneamente ha smesso di arrivare attraverso il tubo. Si tratta di una situazione potenzialmente pericolosa. È rimasta anche nell’oscurità più assoluta. Si è spaventata, e pare che Thomas Eder le abbia permesso di uscire dall’edificio senza seguire tutti i protocolli di sicurezza richiesti.”
Luke sorrise. Sembrava facile. “E poi è sparito qualcosa?”
Drinan esitò. “Il giorno seguente con un inventario è venuto fuori che mancava una fiala di uno specifico virus Ebola.”
“Qualcuno ha parlato con questa Rushdie?”
Drinan scosse la testa. “È sparita anche lei. Ieri un allevatore ha trovato la sua auto su una proprietà isolata nella zona collinare a cinquanta miglia a ovest di Austin. La polizia di Stato dice che macchine abbandonate così indicano spesso che siamo in presenza di un crimine. La ragazza non è nel suo appartamento. Abbiamo cercato di contattare la sua famiglia a Londra, senza fortuna.”
“Avrebbe avuto delle ragioni per rubare il virus Ebola?”
“No. È impossibile da credere. Ho lottato con la questione per due giorni. La Aabha che conosco io non è una persona che… non riesco neanche a dirlo. Ma non è così. Non capisco che cosa stia accadendo. Temo che possa essere stata rapita o che possa essere caduta in mani criminali. Sono senza parole.”
“E non abbiamo ancora raggiunto la parte peggiore,” disse bruscamente Susan Hopkins. “Dottor Drinan, può parlare all’agente Stone del virus, per favore?”
Il buon dottore annuì. Guardò Stone.
“Il virus è stato modificato a scopi militari. È simile a quello che troviamo in natura, come l’ebola che ha ucciso diecimila persona durante l’epidemia dell’Africa occidentale, però peggio. È più virulento, ad azione più veloce, può essere trasmesso più facilmente e ha un indice di mortalità più alto. È una sostanza molto pericolosa. Dobbiamo recuperarlo o distruggerlo o determinare con certezza che è già stato distrutto.”
Luke si voltò verso Susan.
“Vogliamo che lei vada là sotto,” gli disse lei. “A vedere che cosa riesce a scoprire.”
Erano le precise parole che Luke non voleva sentire. Al telefono lei lo aveva invitato a una riunione. Ma lo aveva portato lì per affidargli una missione.
“Mi chiedo,” disse Luke, “se possiamo parlarne in privato.”
*“Possiamo portarle qualcosa?” disse Richard Monk. “Un caffè?”
“Certo, un caffè, grazie,” disse Luke.
Non gli sarebbe dispiaciuto un po’ di caffè in quel momento, ma più che altro aveva accettato l’offerta perché pensava che così avrebbe costretto Monk a lasciare la stanza. Errore. Monk si limitò a prendere un telefono per ordinare qualcosa dalla cucina che si trovava al piano di sotto.
Luke, Monk e Susan si trovavano in una stanza al piano di sopra vicino alla zona abitabile. Luke sapeva che la famiglia di Susan non viveva lì. Quando era vicepresidente non le aveva prestato molta attenzione, ma si era comunque fatto l’idea che lei e suo marito fossero separati.
Luke si appoggiò allo schienale della comoda poltrona. “Susan, prima di cominciare voglio dirle una cosa. Ho deciso di ritirarmi, con effetto immediato. Glielo dico io prima che lo faccia chiunque altro, in modo che possa trovare qualcun altro da mettere a capo dell’SRT.”
Susan non parlò.
“Stone,” disse Monk, “adesso può anche saperlo. Lo Special Response Team è pronto per la decapitazione. È finito. Don Morris è stato coinvolto nel colpo di Stato fin dall’inizio. È almeno in parte responsabile di una delle peggiori atrocità che abbiano mai avuto luogo sul suolo americano. Ed è stato lui a creare lo Special Response Team. Sono certo che può capire che la sicurezza, soprattutto la sicurezza della presidente, è la cosa più importante sul nostro radar al momento. Non si tratta solo dell’SRT. Stiamo indagando sub-agenzie sospette nella CIA, nell’NSA e al Pentagono, tra le altre. Dobbiamo sradicare i cospiratori, in modo che non accada mai più una cosa del genere.”
“Capisco le vostre preoccupazioni,” disse Luke.
E le capiva davvero. Il governo era fragile al momento, forse più fragile di quanto lo fosse mai stato. Il Congresso era stato spazzato via quasi interamente, e una ex top model era stata elevata alla Presidenza. Gli Stati Uniti aveva dimostrato di avere i piedi di argilla, e se c’erano in giro altri cospiratori non c’era motivo di pensare che non avrebbero fatto un altro tentativo di riprendere il potere.
“Se avete comunque intenzione di eliminare l’SRT, per me è il momento perfetto per andarmene.” Più diceva cose del genere, più gli diventavano reali.
Era ora di rimettere insieme la sua famiglia. Era ora di ricreare il luogo idilliaco della sua mente in cui lui, Becca e Gunner sarebbero potuti stare in pace, lontano da preoccupazioni del genere, dove anche se fosse accaduto il peggio non avrebbe avuto chissà quale importanza.
Diamine, magari sarebbe solo dovuto andare a casa a chiedere a Becca se voleva trasferirsi in Costa Rica. Gunner poteva diventare bilingue. Potevano vivere sulla spiaggia. Becca poteva avere un giardino esotico. Luke poteva fare surf un paio di volte a settimana. La costa occidentale del Costa Rica aveva alcune tra le migliori onde delle Americhe.
Susan parlò per la prima volta. “È un pessimo momento perché se ne vada. Il tempismo non potrebbe essere peggiore. Il suo Paese ha bisogno di lei.”
La guardò. “La sa una cosa, Susan? Non è vero. Lo pensa perché sono quello che per caso ha visto in azione. Ci sono milioni di persone come me. Ci sono persone più capaci di me, con più esperienza, più quadrate. Lei pare non saperlo, ma alcuni pensano che io sia una testa calda.”
“Luke, non può lasciarmi così,” disse lei. “Barcolliamo sull’orlo di un disastro. Sono incastrata in un ruolo che non… non me lo aspettavo. Non so di chi fidarmi. Non so chi è buono e chi è cattivo. Quasi mi aspetto di girare l’angolo e beccarmi un proiettile in testa. Devo avere intorno la mia gente. Gente alla quale posso rimettere tutta la mia fiducia.”
“Io faccio parte di questa gente?”
Lo guardò direttamente negli occhi. “Lei mi ha salvato la vita.”
Richard Monk si intromise nella conversazione. “Stone, quello che non sa è che l’Ebola è replicabile. Alla riunione non se n’è parlato. Wesley Drinan ci ha detto in confidenza che è possibile che persone con le giuste attrezzature e conoscenze possano farne dell’altro. L’ultima cosa che ci serve è uno sconosciuto gruppo di persone che se ne va a spasso con il virus Ebola utilizzabile come arma, cercando di farne delle scorte.”
Luke guardò di nuovo Susan.
“Accetti il lavoro,” disse Susan. “Scopra cos’è accaduto alla donna scomparsa. Trovi l’Ebola. Quando torna, se vuole davvero ritirarsi, non le chiederò altro mai più. Qualche notte fa abbiamo cominciato qualcosa insieme. Faccia quest’ultima cosa per me e sono pronta a dire che il lavoro è terminato.”
I suoi occhi non lasciarono mai quelli di Luke. Era il tipico politico, per molti versi. Quando ti raggiungeva, ti aveva preso. Era difficile dirle di no.
Luke sospirò. “Posso partire in mattinata.”
Susan scosse la testa. “Abbiamo già un aereo che l’aspetta.”
Luke sgranò gli occhi, sorpreso. Fece un respiro profondo.
“Okay,” disse alla fine. “Ma prima devo mettere insieme delle persone dello Special Response Team. Sto pensando a Ed Newsam, Mark Swann e Trudy Wellington. Newsam è in malattia adesso, ma sono piuttosto sicuro che se glielo chiedo tornerà in servizio.”
Susan e Monk si scambiarono uno sguardo.
“Abbiamo già contattato Newsam e Swann,” disse Monk. “Hanno accettato entrambi, ed entrambi sono per strada diretti all’aeroporto. Temo che Trudy Wellington non potrà esserci.”
Luke si accigliò. “Non sarà nella squadra?”
Monk abbassò lo sguardo su un taccuino giallo che aveva in mano. Prese un breve appunto. Non si sprecò ad alzare lo sguardo. “Non lo sappiamo, perché con lei non ci siamo messi in contatto. Purtroppo usare la Wellington è fuori questione.”
Luke si voltò verso Susan.
“Susan?”
Adesso Monk alzò il capo. Lasciò passare lo sguardo avanti e indietro da Luke a Susan e viceversa. Parlò ancora, prima che Susan dicesse una parola.
“Wellington non è pulita. Era l’amante di Don Morris. Non è proprio possibile che possa partecipare a questo lavoro. Non verrà neanche impiegata nell’FBI per un mese a partire da adesso, e per allora potrebbe anche essere sotto accusa di tradimento.”
“Mi ha detto che non ne sapeva nulla,” disse Luke.
“E lei le crede?”
Luke non si degnò neanche di rispondere alla domanda. La risposta non la conosceva. “La voglio,” disse semplicemente.
“Oppure?”
“Stasera ho lasciato mio figlio a fissare un persico spigola sulla griglia, un pesce che abbiamo pescato insieme. Potrei ritirarmi subito. Mi piaceva essere un docente universitario. Sto pensando di ricominciare. E sto pensando di veder mio figlio crescere.”
Luke fissò Monk e Susan. Loro lo fissarono.
“Allora?” disse loro. “Che ne dite?”
CAPITOLO SETTE
11 giugno
2:15
Ybor City, Tampa, Florida
Era un lavoro pericoloso.
Così pericoloso che andare al piano del laboratorio non gli piaceva proprio.
“Sì, sì,” disse al telefono. “Abbiamo quattro persone, al momento. Ne avremo sei finito il turno. Entro stanotte? È possibile. Non voglio promettere troppo. Chiamami verso le dieci, e avrò un’idea migliore.”
Rimase un attimo in ascolto. “Be’, direi che un furgone è abbastanza grande. Con quelle dimensioni può arrivare tranquillamente alla zona di carico. Questi cosi sono così piccoli che non si vedono a occhio nudo. Nemmeno un bilione di quei cosi prenderebbe troppo spazio. Se proprio dobbiamo, potremmo metterli tutti nel bagagliaio di una macchina. Ma in caso suggerirei due macchine. Una per andare in strada, e una per andare all’aeroporto.”
Riappese. Il nome in codice dell’uomo era Adam. Il primo uomo, perché era il primo uomo assunto per quel lavoro. Ne comprendeva appieno i rischi, anche se gli altri no. Lui solo conosceva l’intero scopo del progetto.
Osservò il pavimento del piccolo magazzino attraverso la grande finestra dell’ufficio. Lavoravano ventiquattr’ore su ventiquattro, su tre turni. Le persone che adesso erano lì, tre uomini e una donna, indossavano camici bianchi da laboratorio, occhialini, mascherine per l’aria, guanti di gomma e stivali ai piedi.
Gli operai erano stati selezionati per la loro abilità di fare semplice microbiologia. Il loro lavoro consisteva nel far crescere e moltiplicare un virus usando il campione fornito da Adam, per poi liofilizzare i campioni per il trasporto e la trasmissione via aerosol successivi. Era un lavoro noioso, ma non difficile. Qualsiasi assistente di laboratorio o studente di biochimica al secondo anno avrebbe potuto farlo.
Il programma di ventiquattr’ore faceva sì che le scorte dei virus liofilizzati crescessero molto velocemente. Adam faceva rapporto ai suoi datori di lavoro ogni sei o otto ore, e loro esprimevano sempre il loro piacere per il ritmo che tenevano. Nell’ultimo giorno il piacere aveva ceduto il posto alla gioia. Il lavoro sarebbe stato completato presto, forse addirittura oggi.