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Le mosse la mano su e giù per la schiena, tentando di consolarla. Non potevano comunicare. Rais aveva detto esplicitamente che non avevano il permesso di parlare, a meno che non avesse fatto loro una domanda. Non aveva modo per riferirle un messaggio e creare un piano.
Anche se… magari non dobbiamo per forza comunicare verbalmente, pensò.
Maya smise di toccarle la schiena per un istante. Quando ricominciò, usò il dito indice per tracciare la forma di una lettera tra le sue scapole, una grande S.
Sara alzò incuriosita la testa per un momento, ma non guardò verso la sorella né disse niente. Maya sperò disperatamente che avesse capito.
T, disegnò allora.
Poi una R.
Rais era seduto in poltrona nella visione periferica della ragazza. Non spostò mai lo sguardo su di lui per paura di attirare i suoi sospetto. Invece fissò dritta davanti a sé, come aveva fatto fino a quel momento, e disegnò le lettere.
I. N. G. I.
Mosse il dito con lentezza e deliberazione, fermandosi per un paio di secondi tra ogni lettera e cinque tra ogni parola, fino a tracciare tutto il suo messaggio.
Stringimi la mano se hai capito.
Maya non la vide nemmeno muoversi. Ma avevano le mani vicine, essendo ammanettate insieme, e sentì le sue dita fredde e bagnate chiudersi con forza sulle proprie per un istante.
Aveva capito. Aveva ricevuto il suo messaggio.
Ricominciò di nuovo, spostandosi il meno possibile. Non c’era fretta, e doveva essere certa che la sorella comprendesse ogni parola.
Se riesci, scrisse, scappa.
Non girarti.
Non aspettarmi.
Trova aiuto. Trova papà.
Sara rimase ferma, in silenzio e immobile, per tutto il messaggio. Mancava un quarto alle tre quando Maya finì. Poi percepì il tocco freddo di un dito sottile sul palmo della sua mano sinistra, nascosta in parte sotto la guancia della sorella. Il dito tracciò un disegno sulla sua pelle, la lettera N.
Non senza di te, disse Sara.
Maya chiuse gli occhi e sospirò.
Devi farlo, rispose a sua volta. O nessuna di noi avrà una chance.
Non lasciò alla sorella il modo di rispondere. Una volta finito il messaggio, si schiarì la gola e disse piano: “Devo andare in bagno.”
Rais sollevò le sopracciglia e indicò il bagno aperto all’estremità della stanza. “Prego.”
“Ma…” Maya alzò il polso ammanettato.
“Quindi?” domandò l’assassino. “Portala con te. Hai una mano libera.”
Lei si morse il labbro. Sapeva che cosa stava facendo; l’unica finestra del bagno era stretta, a malapena grande abbastanza perché riuscisse a passarci attraverso e del tutto impraticabile con la sorella ammanettata al braccio.
Si alzò lentamente dal letto, sospingendo Sara perché si muovesse con lei. La ragazzina più piccola si spostò in maniera meccanica, come se si fosse dimenticata l’uso degli arti.
“Avete un minuto. Non chiudete a chiave la porta,” le avvertì Rais. “Se lo fate la tirerò giù a calci.”
Maya si avviò e accostò la porta del minuscolo bagno, angusto per la presenza di entrambe. Accese la luce—abbastanza certa di aver visto uno scarafaggio correre a nascondersi sotto il lavandino—e attivò la ventola, che ronzò rumorosamente.
“Non lo farò,” bisbigliò quasi subito Sara. “Non andrò senza di…”
Maya si portò in fretta un dito alle labbra per segnalarle di fare silenzio. Per quel che ne sapevano, Rais era dall’altra parte della porta, con un orecchio appoggiato al legno. Quell’uomo non correva rischi.
Tirò fuori in fretta la biro dall’orlo dei pantaloni. Le serviva qualcosa su cui scrivere, e l’unico oggetto disponibile era la carta igienica. Ne strappò qualche riquadro e li sparse sul lavandino, ma ogni volta che ci premeva sopra la punta, la carta si strappava. Ci riprovò con diversi pezzetti, ma fu tutto inutile.
Così non funziona, pensò con amarezza. Le tende della doccia non sarebbero state d’aiuto; erano solo un telo di plastica appeso sopra la vasca. Non c’erano tendine sulla finestrella.
Ma c’era qualcos’altro che avrebbe potuto usare.
“Stai ferma,” bisbigliò all’orecchio della sorella. I pantaloni del pigiama di Sara erano bianchi e decorati con una stampa ad ananas, e avevano le tasche. Gliene rivoltò una all’esterno e con tutta la cura possibile la strappò, fino a quando non ebbe tra le mani un pezzo di stoffa triangolare, disegnato da un lato ma bianco dall’altro.
L’appiattì in fretta sul lavandino e scrisse sotto lo sguardo dell’altra ragazza. La penna continuava a incagliarsi sulla stoffa, ma Maya si morse la lingua per trattenere i grugniti di frustrazione e concluse il suo messaggio.
Port Jersey.
Dubrovnik.
Avrebbe voluto scrivere altro, ma aveva quasi finito il tempo. Infilò la penna sotto il lavandino e arrotolò il biglietto in uno stretto cilindro. Poi si guardò disperatamente attorno alla ricerca di un posto dove nasconderlo. Non poteva lasciarlo sotto il lavandino con la biro. Si sarebbe visto troppo e Rais era molto attento. La doccia era fuori questione. Se si fosse bagnato l’inchiostro sarebbe colato.
Un tocco secco sulla sottile porta del bagno fece sobbalzare entrambe le ragazze.
“È passato un minuto,” annunciò Rais dall’altra parte.
“Ho quasi finito,” disse in fretta lei. Trattenne il fiato sollevando il coperchio del serbatoio del water, sperando che il ronzio della ventola soffocasse ogni rumore. Infilò il bigliettino arrotolato nella catenella del meccanismo per tirare lo sciacquone, abbastanza in alto perché non pescasse in acqua.
“Avevo detto che avresti avuto un minuto. Apro la porta.”
“Lasciami solo qualche secondo, ti prego!” lo supplicò Maya mentre rimetteva a posto il coperchio. Infine si strappò qualche capello e li lasciò cadere sul serbatoio chiuso. Con un po’ di fortuna—con molta fortuna—chiunque le stesse cercando avrebbe riconosciuto l’indizio.
Poteva solo sperare.
La maniglia del bagno si girò. Maya tirò l’acqua e si abbassò come per suggerire che si stava alzando i pantaloni del pigiama.
Rais fece capolino nella stanzetta, con lo sguardo puntato a terra. Lentamente lo sollevò sulle due ragazze, ispezionandole a turno entrambe.
Maya trattenne il fiato. Sara prese la mano ammanettata della sorella e strinse insieme le loro dita.
“Finito?” chiese piano l’uomo.
Lei annuì.
L’assassino si guardò attorno nel bagno con espressione disgustata. “Lavati le mani. Questa stanza fa schifo.”
Maya obbedì, pulendosi con il ruvido sapone arancione mentre la mano dell’altra pendeva accanto alla sua. Si asciugò con l’asciugamano marrone e l’uomo annuì.
“Tornate a letto. Andate.”
Guidò Sara fuori dal bagno e sul materasso. Rais indugiò per un istante, studiando lo spazio angusto. Poi spense la ventola e la luce per tornare alla sua poltrona.
Maya prese la sorella tra le braccia e la strinse a sé.
Papà lo troverà, pensò disperatamente. Lo deve trovare. So che ci riuscirà.
CAPITOLO SEI
Reid si avviò sull’autostrada in direzione sud, cercando di arrivare all’area di sosta dove era stato abbandonato il pick-up di Thompson il prima possibile, ma senza farsi fermare per eccesso di velocità. Nonostante la sua ansia di trovare una pista o un indizio, stava iniziando a sentirsi più ottimista, essendosi finalmente messo in strada. Il dolore era sempre presente, gli affondava nelle viscere come se avesse inghiottito una palla da bowling, ma adesso era avvolto da un guscio di tenacia e determinazione.
Avvertiva già la sensazione familiare che provava ogni volta che la personalità di Kent Steele prendeva le redini, mentre sfrecciava in autostrada nella Trans Am nera con il bagagliaio pieno di armi e dispositivi a sua disposizione. C’era un momento e un luogo per essere Reid Lawson, ma non era quello. Anche Kent era il padre delle ragazze, che loro lo sapessero o meno. Kent era stato il marito di Kate. E Kent era un uomo d’azione. Non aspettava che la polizia cercasse indizi, o che qualche altro agente facesse il suo lavoro.
Lui le avrebbe trovate. Doveva solo scoprire dove erano diretti.
La strada diretta a sud attraverso la Virginia era principalmente diritta, a due corsie, circondata su entrambi i lati da grossi alberi e monotona. La sua frustrazione cresceva con ogni istante che sprecava lontano dalla scena del crimine.
Perché a sud? pensò. Dove le voleva portare Rais?
Che cosa farei se fossi al posto suo? Dove andrei?
“Ho capito,” esclamò ad alta voce, colpito dalla consapevolezza come da un proiettile alla testa. Rais voleva essere trovato, e non dalla polizia, dall’FBI o da un altro agente della CIA. Voleva essere trovato da Kent Steele, e solo da lui.
Non posso pensare in termini di quello che lui farebbe. Devo pensare a quello che farei io.
Che cosa farei?
Le autorità avrebbero creduto che, dato che il pick-up era stato ritrovato a sud di Alexandria, l’assassino avesse continuato a portare le ragazze verso sud. “Vuol dire che io andrei…”
Le sue riflessioni furono interrotte dallo squillo del cellulare usa e getta sopra al cruscotto.
“Vai a nord,” disse subito Watson.
“Che cosa hai saputo?”
“Non c’è niente da scoprire alla stazione di sosta. Alla prima uscita voltati indietro e poi parleremo.”
Reid non dovette farselo dire due volte. Lasciò cadere il telefono sul sedile, ingranò la terza e strattonò il volante a sinistra. Non c’erano molte auto in strada a quell’ora di domenica; la Trans Am attraversò la corsia e slittò sull’aiuola erbosa in mezzo. Le ruote non stridettero sul cemento né persero aderenza quando colpirono la terra morbida. Mitch doveva aver installato pneumatici radiali altamente performanti. La macchina oltrepassò lo spazio di separazione tra i due sensi di marcia, sobbalzando appena e alzando una pioggia di terra dietro di sé.
Raddrizzò l’auto non appena ebbe superato l’ostacolo. Ritrovò l’asfalto, cambiò la marcia e pigiò il piede sull’acceleratore. La Trans Am scattò in avanti come un fulmine nella sua nuova corsia.
Reid soffocò l’eccitazione che gli riempì il petto. Il suo cervello reagiva con intensità a ogni picco d’adrenalina. Adorava il brivido, la vaga possibilità di perdere il controllo e il piacere elettrizzante di riprenderselo.
“Sono diretto a nord,” annunciò riprendendo il telefono. “Che cosa hai scoperto?”
“Ho un tecnico che sta monitorando le onde radio della polizia. Non preoccuparti, mi fido di lui. Questa mattina hanno segnalato una berlina blu abbandonata in una rivendita di auto usate. Dentro ci hanno trovato una borsetta, con le carte e i documenti d’identità della donna uccisa alla stazione di servizio.”
Reid si accigliò. Rais aveva rubato quella macchina solo per abbandonarla di nuovo di lì a poco. “Dove?”
“È questo il punto. È a circa due ore più a nord rispetto a dove ti trovi adesso, nel Maryland.”
Lui sbuffò frustrato. “Due ore? Non posso permettermi di perdere tutto questo tempo. Ha già un vantaggio enorme su di noi.”
“Ci sto lavorando,” rispose criptico Watson. “C’è dell’altro. La rivendita dice che gli manca una macchina, un SUV bianco, di otto anni fa. Non abbiamo niente per rintracciarlo, possiamo solo aspettare che venga notato. Usare il satellite sarebbe come cercare di trovare un ago in un pagliaio.”
“No,” rispose Reid. “Non serve. Il SUV sarà quasi certamente un altro vicolo cieco. Sta giocando con noi. Cambia direzione, non vuole farci capire la sua vera direzione.”
“Come fai a saperlo?”
“Perché è quello che farei io.” Rifletté per un istante. Rais era già in vantaggio su di loro. Dovevano capire a che gioco stava giocando, o almeno raggiungerlo. “Chiedi al tuo tecnico di tenere d’occhio qualsiasi furto d’auto sia stata denunciato nelle ultime dodici ore, tra qui e New York.”
“È uno spazio piuttosto ampio da controllare,” notò Watson.
Aveva ragione; Reid sapeva che negli Stati Uniti veniva rubata una macchina ogni quarantacinque secondi, per un ammontare di migliaia ogni anno. “Va bene, escludi i dieci modelli più rubati,” disse. Per quanto non gli piacesse ammetterlo, Rais era furbo. Doveva conoscere le marche che era meglio evitare e quelle da prendere di mira. “Elimina dalla ricerca qualsiasi veicolo sia troppo costoso o vistoso, di colori brillanti, con caratteristiche distintive, ogni mezzo che la polizia troverebbe in fretta. E ovviamente anche tutti quelli abbastanza nuovi da avere un GPS. Concentrati sui luoghi poco frequentati, come i parcheggi abbandonati, le rivendite chiuse, le zone industriali, posti di quel genere.”
“Ho capito,” confermò Watson. “Ti richiamo non appena so qualcosa.”
“Grazie.” Conservò di nuovo il telefono nel cruscotto. Non aveva due ore da perdere viaggiando su e giù per l’autostrada. Gli serviva una pista, o un indizio su dove potessero essere le sue ragazze. Si chiese se Rais avesse già cambiato direzione. Magari si era diretto verso nord solo per girarsi a ovest, verso l’interno del paese, o magari di nuovo a sud.
Lanciò uno sguardo alle corsie rivolte verso il meridione. Magari li sto superando in questo momento, e sono proprio di fianco a me. Non lo saprò mai.
I suoi pensieri furono interrotti da un suono acuto e familiare, l’urlo crescente e discendente della sirena della polizia. Imprecò sotto voce, guardando nello specchietto retrovisore e vedendo un’auto della polizia al suo inseguimento, con le luci blu e rosse lampeggianti.
Quella non ci voleva proprio. L’agente doveva averlo visto mentre superava l’aiuola in mezzo alla strada. Controllò di nuovo. L’auto era una Caprice. Motore da 5.7 litri. Velocità massima di duecento quaranta chilometri orari. Dubito che la Trans Am possa raggiungerli. Ma nonostante quello non aveva intenzione di fermarsi e perdere del tempo prezioso.
Invece pigiò di nuovo il pedale, saltando dai centotrenta che stava facendo ai centosessanta orari. L’altra macchina gli tenne dietro, aumentando senza difficoltà la velocità. Reid non spostò le mani dal volante, saldo e sicuro di sé, eccitato dall’inseguimento ad alta velocità.
Solo che quella volta era lui a essere inseguito.
Il telefono squillò di nuovo. “Avevi ragione,” disse Watson. “Ho un… aspetta, è una sirena quella che sento?”
“Certo che sì,” borbottò Reid. “Puoi farci qualcosa?”
“Io? Questa non è una missione ufficiale.”
“È più veloce di me…”
“Ma non è più bravo di te a guidare,” rispose l’altro agente. “Chiama Mitch.”
“Chiamare Mitch?” ripeté lui perplesso. “Per dirgli cosa di preciso? Ciao?”
Watson aveva già riappeso. Reid imprecò sotto voce e sorpassò un minivan, per spostarsi nella corsia di sinistra con una mano mentre con l’altra cercava il numero nel telefono. Watson gli aveva detto di avere inserito il numero del meccanico nella Rubrica.
Lo trovò segnato solo con la lettera “M” e lo chiamò, seguito dalla sirena strillante alle sue spalle.
Qualcuno rispose ma non parlò.
“Mitch?” domandò lui.
Il meccanico grugnì in risposta.
Dietro la sua auto, il poliziotto entrò nella corsia di destra e accelerò, cercando di affiancarlo. Reid strattonò il volante e la Trans Am scivolò elegantemente nella stessa corsia, bloccando la macchina dell’agente. Fuori dai finestrini alzati e sotto il ruggito del motore sentiva riecheggiare l’altoparlante, mentre il suo inseguitore gli ordinava di accostare.
“Mitch, sono, ehm…” Che cosa dovrei dire? “Sto facendo i centosettanta lungo la I-95 e un poliziotto mi sta inseguendo.” Lanciò uno sguardo allo specchietto retrovisore e mugugnò, vedendo una seconda volante immettersi in autostrada da dove era stata nascosta per controllare la velocità delle auto. “Diciamo che ora sono due.”
“Va bene,” replicò Mitch. “Dammi un minuto.” Sembrava stanco, come se l’idea di un inseguimento ad alta velocità con le auto della polizia fosse banale come un viaggio fino al supermercato.
“Un minuto per fare cosa?”
“Distrazione,” grugnì l’altro uomo.
“Non sono certo di averlo,” protestò lui. “Probabilmente stanno già controllando la targa.”
“Per quello non preoccuparti . È falsa. Non registrata.”
Questo non li convincerà a lasciarmi perdere, pensò cupo Reid. “Che razza di distrazione… pronto? Mitch?” Gettò irritato il telefono sul sedile del passeggero.
Con entrambe le mani sul volante, oltrepassò un pick-up, tornò nella corsia di sorpasso e pigiò sull’acceleratore. La Trans Am rispose con zelo, ruggendo e raggiungendo i duecento chilometri orari. Sfrecciò tra il traffico più lento, entrando e uscendo dalle corsie, usando persino il ciglio della strada, ma senza riuscire a scrollarsi di dosso la polizia.
Non posso superarli in velocità. Ma in bravura sì. Andiamo, Kent. Aiutami. Gli era successo diverse volte nel corso dell’ultimo mese, da quando gli era stato tolto il soppressore di memoria, che nel momento del bisogno gli tornasse alla mente una particolare abilità acquisita nel corso della sua vita come agente della CIA. Non aveva saputo di parlare arabo fino a quando non si era trovato di fronte a dei terroristi che lo stavano torturando per avere informazioni. Non aveva saputo di poter fermare tre assassini a mani nude fino a quando non aveva dovuto combattere per la propria vita.
Ho capito. Devo ritrovarmi in una situazione disperata.
Reid afferrò il freno a mano appena dietro il cambio e lo tirò in su. Subito dalla Trans Am si alzò uno stridio orrendo e l’odore di qualcosa che bruciava. Allo stesso tempo, strattonò il volante verso destra e la macchina fece di nuovo un testacoda, attraversando l’aiuola di mezzo come se stesse cercando di prendere la direzione opposta.
Le due auto della polizia lo seguirono, pigiando sul freno e cercando di curvare a gomito. Ma non appena frenarono, rivolte verso sud, lui continuò a girare su di sé, facendo trecentosessanta gradi. Riabbassò il freno a mano, cambiò la marcia e premette di nuovo sul gas. L’auto sportiva sfrecciò in avanti e fece mangiare la polvere ai due poliziotti confusi.
Emise un urlo della vittoria, con il cuore che gli pompava nel petto. Tuttavia la sua eccitazione fu di breve durata. Aveva il piede saldamente sull’acceleratore, cercando di mantenere la velocità, ma la Trans Am perdeva potenza. La lancetta del tachimetro si abbassò a centocinquanta, poi centoquaranta, calando sempre più in fretta. Era in quinta, ma la sua manovra con il freno doveva aver fatto saltare un cilindro, o danneggiato in qualche modo il motore.
Lo strillo assordante delle sirene peggiorò la situazione. Le due volanti della polizia erano alle sue spalle e lo stavano per raggiungere, insieme a una terza. Il traffico dell’autostrada si fece da parte per lasciare loro libero il passaggio, mentre lui era costretto a entrare e uscire dalle corsie, tentando disperatamente ma inutilmente di non perdere velocità.
Gemette. Sarebbe stato impossibile liberarsi dei poliziotti in quella maniera. Ormai c’erano solo cinquanta metri tra di loro, e diminuivano sempre di più. Le auto si misero in formazione a triangolo, una per corsia e la terza sulla linea di mezzo.
Vogliono provare la manovra del pozzo: mi vogliono prendere in mezzo e costringermi ad accostare.
Andiamo, Mitch. E la mia distrazione? Non aveva idea di che cosa avesse in mente il meccanico, ma era il momento giusto dato che ormai le altre auto erano a ridosso della sua macchina sportiva.
Ebbe la sua risposta un istante più tardi, quando qualcosa di enorme balzò nella sua visione periferica.
Dal lato sud dell’autostrada, un autoarticolato oltrepassò l’aiuola di mezzo facendo almeno i centodieci orari, rimbalzando sulle fosse scavate nell’erba. Non appena raggiunse di nuovo l’asfalto, girato in direzione opposta rispetto al traffico, si piegò pericolosamente e la cisterna che trasportava si ribaltò, pronta a cadergli addosso.
CAPITOLO SETTE
Per un secondo il tempo rallentò e Reid si ritrovò, insieme alla macchina, inghiottito dall’ombra del veicolo a diciotto ruote che volteggiava nell’aria.
In quel momento stranamente sospeso, lesse con chiarezza le grandi lettere blu stampate sulla fiancata della cisterna—“POTABILE”, dicevano—mentre il mezzo si abbassava, pronto a schiacciarlo, insieme alla Trans Am e alla sua speranza di ritrovare le figlie.
Il suo cervello superiore, il cerebrum, sembrava essersi spento all’ombra del grosso furgone, ma le sue membra si mossero come dotate di una mente propria. L’istinto prese il sopravvento. Con la mano destra afferrò il freno e lo tirò. Con la sinistra girò in senso orario il volante e pigiò il pedale del gas a terra. La Trans Am si voltò di lato e sfrecciò in avanti, in un movimento parallelo all’autoarticolato, per tornare al sole e allontanarsi dall’altro mezzo.
Reid percepì l’impatto del veicolo sulla strada, più che udirlo. La cisterna argentata colpì l’asfalto tra la sua macchina e quelle della polizia, fermandosi a meno di trenta metri da loro. I freni stridettero e le volanti dei poliziotti si fecero da parte, mentre la grande cisterna si apriva sui lati imbullonati e rilasciava il suo carico.
Emersero novemila galloni di acqua pulita per inondare i mezzi della polizia, spingendoli all’indietro come una marea particolarmente aggressiva.
Reid non si fermò a vedere le conseguenze dell’incidente. La Trans Am raggiungeva a malapena i centodieci pur con il pedale del gas spinto a tavoletta, quindi la raddrizzò e cercò di allontanarsi il più possibile lungo l’autostrada. Gli agenti infradiciati dovevano aver segnalato la sua macchina vistosa dalla targa non registrata; se non fosse svanito in fretta di lì avrebbe trovato altri guai.
Il cellulare usa e getta squillò e sullo schermo apparve la lettera M.
“Grazie, Mitch,” rispose subito.
Il meccanico grugnì, in un verso che sembrava il suo mezzo principale di comunicazione.
“Sapevi dove ero. Sai dove sono anche adesso.” Reid scosse la testa. “Stai seguendo quest’auto, non è così?”
“Un’idea di John,” disse semplicemente l’uomo. “Pensava che avresti potuto avere dei problemi. Aveva ragione.” Reid fece per protestare, ma Mitch l’interruppe. “Esci alla prossima. Gira a destra su River Drive. C’è un parco con un campo da baseball. Aspetta lì.”
“Aspetta lì che cosa?”
“Un trasporto.” Il meccanico di poche parole riappese. Reid sbuffò. Il punto era che la Trans Am sarebbe dovuta essere un’auto clandestina, libera dai controlli dell’agenzia. Non gli faceva piacere sapere che invece aveva solo scambiato gli occhi della CIA per quelli di qualcun altro.
Ma senza di lui ormai mi avrebbero fermato.
Soffocò la rabbia e fece come gli aveva ordinato, guidando la macchina per un altro chilometro oltre l’uscita dell’autostrada fino al parco. Sperava che qualsiasi cosa Mitch avesse avuto in serbo per lui, avvenisse in fretta; aveva molto terreno da recuperare.
Il parco era semivuoto per essere domenica. Nel campo da baseball un gruppo di ragazzini stavano facendo una partitella, quindi parcheggiò la Trans Am nel parcheggio sterrato dietro la rete metallica che proteggeva la prima base e aspettò. Non sapeva che cosa aspettarsi, ma sentiva l’urgenza di muoversi rapidamente, quindi aprì il bagagliaio, prese il borsone e aspettò accanto all’auto l’arrivo degli aiuti mandati da Mitch.
Cominciava a sospettare che il vecchio meccanico fosse più di una semplice ‘risorsa’ della CIA. Era un ‘esperto nel recupero veicoli’, o almeno così aveva dichiarato Watson. Reid si chiese se avesse un ruolo simile a quello di Bixby, l’eccentrico ingegnere della CIA specializzato in armi e strumentazione portatile. E se era quello il caso, perché lo stava aiutando? Ripensando al suo aspetto arcigno o al suo atteggiamento burbero non gli tornavano in mente ricordi di nessun tipo. Avevano un passato comune che lui aveva dimenticato?
Il telefono gli squillò nella tasca. Era Watson.
“Stai bene?” chiese l’agente.
“Decente, tutto considerato. Anche se il concetto di Mitch di ‘distrazione’ è un po’ eccessivo.”
“Fa il suo lavoro. Comunque sia la tua intuizione era giusta. Il mio tecnico ha trovato il rapporto di una Caddy di dodici anni rubata da una zona industriale nel New Jersey questa mattina. Ha scattato una foto satellite del posto, e indovina cosa ha visto?”