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"E se n'è andato?" Chiese Chloe. "Dalla porta principale?"
Hughes annuì. "Potevo persino sentire il portello del garage abbassarsi. Devo aver mancato la moglie per non più di trenta secondi".
"Sapeva che era morto quando se n'è andato?" Chiese Rhodes.
"Non ne sono sicuro". Adesso tremava, e le manette tintinnavano contro la sbarra a cui era ammanettato. "Ma a vedere com'era conciata la sua testa… e tutto quel sangue, ho pensato che non ci fosse alcuna possibilità che fosse ancora vivo. Oppure che se non era morto, allora… lo sarebbe stato presto…".
"Signor Hughes, conosce un uomo di nome Viktor Bjurman?"
La domanda sembrò turbarlo, forse perché apparentemente slegata dal suo racconto. Dopo averci pensato un attimo, scosse la testa. "No, direi di no".
"È stato a Pine Point nell'ultima settimana o giù di lì?" Chiese Chloe.
"Sì, c'è un piccolo negozio di alimenti naturali. Da loro prendo le vitamine. È stato… venerdì scorso, credo".
Chloe si allontanò dal tavolo. Guardò Hughes, valutando il suo racconto e le sue risposte. Persino un pessimo bugiardo avrebbe potuto inventare una storia del genere. Ma ci voleva un vero sociopatico per riuscire a mettere in scena anche piccoli dettagli come il tremito e lo sguardo pieno di autentico terrore. In base alla sua esperienza e al suo istinto, sapeva che stava dicendo la verità, ed era terrorizzato dalle conseguenze che ne sarebbero potute derivare. Il fatto che avesse anche aggiunto un dettaglio personale, come le vitamine, per lei chiudeva la questione.
E considerato ciò, era abbastanza sicura che non fosse lui l'uomo che aveva ucciso Viktor Bjurman. Il che significava che le morti non erano affatto collegate. Certo, era bello avere ragione, ma era altrettanto frustrante, perché ora erano tornate al punto di partenza, per l'omicidio di Bjurman.
"Signor Hughes, faremo in modo che la polizia locale lavori con lei per tracciare una sequenza temporale di dove è stato e di cosa ha fatto dal momento in cui ha ucciso il signor Fielding al momento del suo arresto. Se sarà abbastanza bravo, l'FBI non dovrà essere coinvolto. Intesi?"
Annuì, continuando a sembrare un ragazzino confuso durante l'ora di matematica. "Non capisco proprio come sia successo tutto questo. Io non…"
"C'è altro, agente Rhodes?" Chiese Chloe.
"No".
Le agenti lasciarono Hughes seduto lì, con un'espressione spaventata e ora piuttosto confusa sul viso. Appena tornate nel corridoio, Cooper si precipitò di nuovo verso di loro. C'era un altro agente con lui e tutti e due sembravano confusi quanto Hughes.
"C'è qualcosa che non va?"
"No", disse Chloe. "Lei e i suoi uomini avete fatto un ottimo lavoro. È di sicuro un assassino, solo non quello che stavamo cercando. Se poteste scoprire dove è stato negli ultimi giorni, così da poterlo escludere come il killer di Viktor Bjurman, sarebbe fantastico".
"Sì… infatti, non pensavo che avesse ucciso anche lui", disse Cooper. "Per quanto sia instabile e terrorizzato, non lo considero nemmeno capace di fare quello che ha fatto a Fielding. Insomma, Cristo… avete visto le foto?"
Non volendo influenzare gli agenti in un modo o nell'altro, Chloe si limitò ad annuire. Diede a Cooper il suo biglietto da visita e disse: "Per favore, una volta che avrete una specie di sequenza temporale, vi dispiacerebbe chiamarci?”
"Certo", disse Cooper, anche se era chiaro che non aveva ancora capito perché se ne stessero già andando.
"Grazie per il suo tempo", disse Rhodes mentre gli passavano accanto e tornavano verso la parte anteriore dell'edificio.
Chloe detestava che se ne stessero andando in modo quasi maleducato, ma non aveva davvero senso che rimanessero lì. Si scervellò mentre tornavano verso la loro auto, cercando di pensare anche alla minima cosa che potessero fare per verificare al cento per cento che Carol Hughes non avesse ucciso Bjurman – anche se qualsiasi agente delle forze dell'ordine degno di questo nome sarebbe stato in grado di capirlo solo passando due minuti da solo con lui.
"È un bene per la polizia di Colin", disse Rhodes mettendosi al volante. "Dubito che abbiano mai avuto questo tipo di azione".
"Sì, buon per loro", disse Chloe. Poi aggiunse: "L'hai visto anche tu, vero? Era terrorizzato da quello che aveva fatto… quasi come se ancora non ci credesse".
"Sì, l'ho visto. Non è esattamente l'atteggiamento che ti aspetteresti da qualcuno che ha brutalmente ucciso due uomini ed è interrogato da agenti federali".
"Dovremmo comunque cercare di trovare un alibi. Vediamo cosa riescono a scoprire Cooper e i suoi uomini".
"D'accordo", disse Rhodes. "Ma cosa facciamo, fino ad allora?".
Chloe ci pensò un attimo e alla fine diede una scrollata di spalle. "Pranziamo?"
Era come ammettere la sconfitta senza ammetterla davvero. Chloe detestava pensare a un assassino consegnato alla giustizia come una sconfitta, ma il caso apparentemente semplice di Carol Hughes smorzava in qualche modo le indagini sull'omicidio Bjurman. Chloe sapeva che, senza alcun legame tra Bjurman e Fielding, lei e Rhodes sarebbero state sollevate dal caso, lasciando che l'omicidio irrisolto di Bjurman fosse gestito dalle forze dell'ordine locali.
E fu proprio quel timore a rivelarle qualcos'altro: il fatto che ci tenesse così tanto a restare sul caso perché non era pronta a tornare ai problemi che l'aspettavano a casa, con Danielle.
***Il pranzo consisteva in una pizza unta ma deliziosa in una pizzeria locale e un'insalata come contorno. Mangiarono in relativo silenzio, certe che Johnson o uno dei suoi sottoposti avrebbe chiamato da un momento all'altro per dire loro di tornare in centrale. Rhodes aveva chiamato il quartier generale del Bureau dopo aver lasciato la polizia di Colin per aggiornarli sul caso e anche per quello la situazione era sembrata piuttosto definitiva. Chloe non aveva dubbi che la loro visita a Pine Point fosse già giunta al termine.
"C'è ancora qualcosa che ti tormenta?" Chiese Rhodes.
"Perché me lo chiedi?"
Rhodes scrollò le spalle e si asciugò le mani su un tovagliolo che aveva già accumulato parecchio olio dalla margherita. "Sembri preoccupata… come se avessi perso qualcosa".
"Forse" ammise Chloe, "Non ho dubbi che Hughes non abbia ucciso Bjurman. Ma tutta la storia di Bjurman… c'è qualcosa in Theresa Diaz che mi sembra strano. Anche se avesse ammesso di essere andata a letto con Bjurman – cosa di cui sono abbastanza sicura, tra l'altro – penso che potrebbe esserci qualcos'altro… che nasconda qualcosa".
"Se andavano a letto insieme, forse era più di una relazione", suggerì Rhodes. "Forse erano innamorati?"
"E' possibile".
Tornarono in silenzio, rimuginandoci sopra. Rimaneva circa un quarto della pizza, anche se entrambe le agenti erano piene.
Chloe avvertì un lieve cambiamento dentro di sé, adesso che il ritorno a casa diveniva sempre più una possibilità concreta. Nonostante fosse davvero felice di essere lontana da tutti i drammi di Danielle – anche se solo a un'ora e mezzo di distanza – era ancora molto preoccupata per come sua sorella avrebbe reagito quando (e non se) l'FBI l'avrebbe contattata. Tutta la vicenda creava in lei un groviglio di preoccupazioni, così fece del suo meglio per accantonarle.
Quando il telefono di Rhodes squillò mentre aspettavano il conto, entrambe sussultarono. Avevano immaginato entrambe che fosse Johnson, e Chloe cercò di non sentirsi offesa dal fatto che avesse scelto di contattare Rhodes invece di lei.
Chloe ascoltò attentamente, cercando di comportarsi come se non fosse davvero interessata a ciò che veniva detto. Ma ascoltando quello che diceva Rhodes nella brevissima telefonata, a Chloe bastò. Quando Rhodes terminò la chiamata, l'espressione sul suo volto lo confermò. Era un'espressione di leggera irritazione e una sorta di lieve sollievo.
"Vuole che andiamo a parlare con la polizia di Colin prima di andarcene e tornare a casa", disse Rhodes. "E se vuoi saperlo, in questo modo dovremmo tornare a Washington giusto in tempo per andare a berci qualcosa prima di tornare a casa".
Pagarono il conto e tornarono al Dipartimento di Polizia di Colin. Sulla via del ritorno verso Colin, passarono proprio accanto al marciapiede dove Viktor Bjurman era stato ucciso. Senza auto di pattuglia o nastro adesivo sulla scena del crimine per delimitare la zona, sembrava un angolo normale di una qualunque cittadina americana. C'era qualcosa in questo che turbava Chloe, sapendo che in quell'angolo c'erano risposte che forse non sarebbero mai state trovate: risposte che, da ora in poi, sarebbero rimaste per sempre fuori dalla sua portata.
CAPITOLO SETTE
Danielle era in bilico sul sottilissimo confine tra l'essere alticcia e completamente ubriaca quando qualcuno bussò alla sua porta. Stava bevendo per piantare un chiodo in quel capitolo della sua vita, per tenerlo chiuso come un forziere sepolto in fondo all'oceano. Non aveva potuto tornare al lavoro la sera prima, né quella sera. Ma avrebbe ricominciato l'indomani, facendo sia il turno pomeridiano che quello serale. Non avrebbe mai pensato che sarebbe stata felice di rivedere lo strip club, o di sentire l'odore di liquore e di colonia a buon mercato degli uomini al bancone del bar.
Invece non vedeva l'ora di tornare. Prima, però, una piccola sbronza. Era passato un bel po' di tempo da quando si era ubriacata da sola. Era sicura che alcuni lo considerassero triste e patetico, lei invece l'aveva sempre trovato liberatorio in un modo che non riusciva a comprendere.
Quando sentì bussare alla porta, aveva già trangugiato tre Margarita che si era preparata con il mixer, un miscuglio perfetto che aveva imparato al lavoro. Andando alla porta, si chiese se fosse Chloe, venuta ad affrontare tutto di persona. Danielle quasi sperava che fosse così. Con abbastanza tequila in corpo, sarebbe riuscita a dire liberamente cose che la Danielle sobria non si sarebbe sognata di dire.
Quando aprì la porta, però, non trovò Chloe. Sulla soglia c'era un uomo che indossava quello che Danielle aveva sempre considerato un "abito da sicario". Poiché la sorella era nell'FBI, riconobbe subito l'abbigliamento e l'espressione severa dell'uomo. Era un agente federale. Sembrava avere origini asiatiche e il sorriso che le rivolse appariva fin troppo falso per lei.
"Danielle Fine, giusto?"
"Sono io. E lei è…?"
"Agente Shin, FBI." Le mostrò il suo distintivo, consentendole di studiarlo per un momento, prima di ripiegarlo e di rimetterlo nella tasca interna della giacca. "Le dispiace se entro un attimo?"
"Con tutto il rispetto, per quale motivo?"
"Beh, anche se non conosco sua sorella personalmente, ho sentito parlare delle traversie che avete vissuto in Texas. È una storia che sta facendo il giro del Bureau. Mi è stato chiesto di venire a vedere come sta".
"Da parte di chi?"
"Del mio supervisore. Ci sono alcune questioni in sospeso, riguardo a quello che è successo laggiù e stiamo solo cercando di risolverle. Naturalmente, con sua sorella, quelle questioni possono essere risolte internamente. Ma dobbiamo ricevere qualche conferma e qualche risposta anche da lei".
Danielle gli rivolse un'occhiata sospettosa, ma gli aprì la porta per farlo entrare. Ricordava che Chloe le aveva detto al telefono che c'era un'indagine interna e che se qualcuno veniva a farle delle domande, doveva fare finta di niente. Rifiutarsi di far entrare un agente federale nel suo appartamento sarebbe stato probabilmente considerato l'opposto di fare finta di niente.
Si fece da parte e aprì la porta completamente, permettendo all'agente Shin di entrare. Danielle si sedette al tavolo della cucina, mettendo in chiaro in modo educato che non intendeva lasciarlo girare per appartamento. Shin si arrese e si appoggiò al bancone della cucina.
"Innanzitutto, come sta? So che ha subito qualche ferita durante tutto quello che è successo".
"Grazie per averlo chiesto", disse, cercando di metterci tutto il suo fascino. "Sto bene. Domani torno al lavoro e, tanto vale che lo ammetta: oggi ho festeggiato". Annuì verso il mixer e la bevanda verde pallido al suo interno.
Shin sorrise e disse: "Mi fa piacere sentirlo. Devo chiederle una cosa, e mi dispiace se è troppo personale, ma ha intenzione di proseguire nelle ricerche per trovare suo padre?".
"No", disse subito. "Può andare a fanculo. Mi fregherà di lui solo se si presenterà a Washington, cercando di nuovo me o Chloe".
"Beh, come saprà, il suo identikit è stato consegnato a diversi uffici operativi. Ma non possiamo renderlo una priorità, a meno che non sia lei a volerlo".
Danielle scrollò le spalle e sorseggiò il suo Margarita. "Chloe ed io possiamo parlarne ancora un po', ma credo che con lui abbiamo finito".
Shin annuì, come se capisse perfettamente. In quel momento, un dardo di paura trafisse Danielle. Ricordava che avevano scavato la fossa con una foga folle, ci avevano ficcato dentro il corpo del padre e poi l'avevano coperto. Avevano scavato abbastanza in profondità? Era già arrivata qualche volpe a scavare e aveva trovato il padre come bocconcino?
"Mi sembra giusto", disse Shin. "Ho ancora qualche domanda su quello che è successo, se non le dispiace".
"Ancora? Davvero?"
"Lo so. Ma visto che sua sorella è un agente federale, dobbiamo essere assolutamente sicuri di aver capito tutto".
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