- -
- 100%
- +
Riley riconobbe ogni scenario. Erano tutti i casi a cui aveva lavorato in passato. Era entrata nella sua personale camera degli orrori.
Ma che cosa ci faceva lì?
Improvvisamente, sentì una giovane voce chiamarla con terrore.
“Riley, aiutami!”
Lei guardò dinnanzi a sé e vide la sagoma di una ragazzina che allungava le braccia, chiedendo disperatamente aiuto.
Assomigliava a Jilly. Era di nuovo nei guai.
Riley cominciò a correre verso di lei. Poi, un’altra luce si accese e mostrò la sagoma di una persona che non era affatto Jilly.
Si trattava di un anziano uomo brizzolato, che indossava la divisa di un colonnello dei Marine.
Era il padre di Riley. E stava ridendo del suo errore.
“Non ti aspettavi di trovare qualcuno vivo, vero?” l’uomo disse. “Non servi a nessuno a meno che non sia morto. Quante volte devo dirtelo?”
Riley era perplessa. Il padre era morto mesi prima. Non le mancava. Aveva fatto del suo meglio per non pensare mai a lui, che era sempre stato un uomo duro e che non le aveva dato altro che dolore.
“Che cosa ci fai qui?” Riley chiese.
“Sono solo di passaggio.” Lui rise sommessamente. “Controllo come stai raffazzonando la tua vita. E’ la stessa di sempre, vedo.”
Riley voleva saltargli addosso. Voleva colpirlo più forte possibile. Ma si ritrovò immobile.
Poi, ci fu una forte vibrazione.
“Vorrei che potessimo parlare” l’uomo disse. “Ma hai altro da fare.”
La vibrazione divenne più forte, sempre più forte. Il padre si voltò e se ne andò.
“Non hai mai fatto un pizzico di bene a nessuno” disse. “Nemmeno a te stessa.”
Riley spalancò gli occhi. Si rese conto che il cellulare stava squillando. L’orologio indicava le 6 del mattino.
Qualcuno la stava chiamando da Quantico. Una telefonata a quell’ora doveva significare qualcosa di urgente.
Rispose al telefono, e sentì la voce severa del suo caposquadra, l’Agente Speciale Capo Brent Meredith.
“Agente Paige, deve venire subito nel mio ufficio” disse. “E’ un ordine.”
Riley si massaggiò gli occhi.
“Di che cosa si tratta?” domandò.
Ci fu una breve pausa.
“Dovremo discuterne di persona” l’altro rispose seccamente, chiudendo poi la telefonata.
Ancora intontita, Riley si chiese se potesse avere a che fare con il suo comportamento. Ma non era possibile: era fuori servizio da tempo ormai. Una chiamata di Meredith poteva solo significare una cosa.
Si tratta di un caso, Riley intuì.
Non le avrebbe telefonato durante una festività per un altro motivo.
E, dal tono di voce del capo, era certa che si trattasse di qualcosa di grosso; qualcosa che, forse, le avrebbe persino cambiato la vita.
CAPITOLO CINQUE
L’apprensione di Riley crebbe nell’istante stesso in cui entrò nell’edificio del BAU.
Oltrepassata la soglia dell’ufficio di Brent Meredith, comprese immediatamente che l’uomo era alla sua scrivania ad attenderla.
Meredith era un robusto afro-americano ed aveva una presenza imponente; ma, in quel momento, anche lui sembrava preoccupato.
Bill era presente e Riley intuì dalla sua espressione che il suo partner non conosceva il motivo del loro meeting.
“Si sieda, Agente Paige” la invitò Meredith.
Riley occupò una sedia libera.
“Sono spiacente di interrompere le sue vacanze” Meredith esordì, rivolgendosi a Riley. “E’ passato un po’ di tempo dall’ultima volta che abbiamo parlato. Come sta?”
Riley fu sorpresa da quell’approccio. Non era nello stile di Meredith cominciare un meeting in quel modo, scusandosi e chiedendo notizie della sua salute. Normalmente, andava dritto al punto. Di certo, sapeva che era stata in congedo a causa della crisi con April.
Riley intuì che Meredith fosse sinceramente preoccupato. In ogni caso, quell’atteggiamento le risultava strano.
“Sto meglio, grazie” rispose.
“E sua figlia?” il capo domandò.
“Si sta riprendendo, la ringrazio”.
Meredith la fissò in silenzio per un istante.
“Spero che sia pronta a tornare a lavoro” Meredith disse. “Perché, se penso ad un caso in cui potremmo aver bisogno di lei, è questo.”
Calò un breve silenzio.
Riley rimase in attesa, senza sapere che cosa pensare, attendendo che il capo riprendesse a parlare.
Infine, l’uomo proseguì: “Shane Hatcher è evaso dalla prigione di Sing Sing.”
Quelle parole la colpirono come una tonnellata di mattoni. Per fortuna era seduta.
“Mio Dio” Bill esclamò, ugualmente sconvolto.
Riley conosceva bene Shane Hatcher, anche troppo bene per i suoi gusti. Stava scontando l’ergastolo da decenni, ormai, senza alcuna possibilità di ottenere la libertà condizionata. Durante il periodo che aveva trascorso in prigione, era diventato esperto in criminologia. Aveva pubblicato articoli in riviste specializzate, ed aveva persino insegnato in prigione.
In precedenza Riley era andata a trovarlo più volte a Sing Sing, cercando dei consigli sui casi a cui lavorava.
Le visite si erano sempre rivelate inquietanti. Hatcher sembrava provare un’affinità speciale per lei. E Riley sapeva che, nel profondo, era affascinata da lui più di quanto avrebbe dovuto essere. Pensava che l’uomo fosse la persona più intelligente che avesse mai incontrato e, probabilmente, anche la più pericolosa.
Dopo ogni visita, aveva giurato a se stessa che non sarebbe mai più andata a trovarlo.
Ma in quell’istante aveva bene in mente il ricordo dell’ultima volta che si era congedata da lui, lasciando la sala delle visite di Sing Sing.
“Non tornerò più a trovarla” gli aveva detto.
“Non dovrà tornare qui per vedermi” aveva replicato quell’uomo.
Ora quelle parole suonavano profetiche in modo inquietante.
“Com’è fuggito?” Riley chiese a Meredith.
“Non ci sono molti dettagli” Meredith rispose. “Come probabilmente saprà, ha trascorso molto tempo nella biblioteca della prigione, e spesso ci ha lavorato come assistente. Ieri era lì al momento della consegna dei libri. Deve essere sgattaiolato via nel camion che trasportava i libri. Nella tarda serata di ieri, poco dopo il momento in cui le guardie hanno notato la sua assenza, il camion è stato trovato pochi chilometri fuori da Ossining. Non c’era alcuna traccia del camionista.”
Meredith divenne di nuovo silenzioso. Riley non aveva difficoltà a credere che Hatcher avesse pianificato un’evasione così audace. Per quanto riguardava il camionista, invece, odiava pensare quale dovesse essere stata la sua sorte.
Meredith si protese sulla scrivania, verso Riley.
“Agente Paige, lei conosce Hatcher forse meglio di chiunque altro. Che cosa può dirci di lui?”
Ancora stupefatta dalla notizia, Riley fece un respiro profondo.
Poi iniziò: “In gioventù, Hatcher aveva partecipato a stupri di gruppo a Syracuse. Era insolitamente violento, anche per un criminale incallito. Era conosciuto come ‘Shane la Catena’, perché gli piaceva picchiare a morte i rivali con le catene.”
Riley si fermò, ricordando le parole di Shane.
“Un certo poliziotto violento si era messo in testa di mettere in riga Hatcher. Questi si vendicò: lo aggredì, riducendolo il suo corpo a brandelli con le catene da neve. Lasciò il suo corpo maciullato nel cortile anteriore di casa sua, in modo che la famiglia lo trovasse.
Fu allora che Hatcher venne catturato. Ha trascorso ben trent’anni in prigione. E non sarebbe mai dovuto uscire.”
Calò nuovamente il silenzio.
“Adesso ha cinquantacinque anni” Meredith disse. “Mi verrebbe da pensare che, dopo trent’anni di prigione, non debba essere più pericoloso come quando era giovane.”
Riley scosse la testa.
“Si sbaglia” rispose. “Allora, era solo un delinquente ignorante. Non aveva idea del proprio potenziale. Ma, nel corso degli anni, ha acquisito una vasta grande conoscenza. E’ consapevole di essere un genio. E non ha mai mostrato una vera traccia di rimorso. Oh, ha creato un’immagine raffinata di sé negli anni. E si è comportato bene in prigione, ottenendo così dei privilegi, anche se non la riduzione della pena. Ma sono certa che sia più violento e pericoloso che mai.”
Riley rifletté per un istante. Qualcosa la preoccupava. Ma non riusciva a comprendere di che cosa si trattasse.
“Qualcuno sa perché?” chiese.
“Perché cosa?” Bill intervenne.
“Perché è fuggito.”
Bill e Meredith si scambiarono degli sguardi confusi.
“Perché qualcuno evade dal carcere?” Bill domandò.
Riley comprese quanto fosse strana quella domanda. Ricordò la volta in cui Bill l’aveva accompagnata ad una visita ad Hatcher.
“Bill, l’hai incontrato” rispose. “Ti ha colpito come … Ecco, ti è sembrato insoddisfatto? Irrequieto?”
Bill aggrottò il sopracciglio, pensieroso.
“No, a dire il vero, sembrava …”
La sua voce si bloccò.
“Quasi contento, forse?” Riley disse, completando il pensiero del partner. “La prigione sembrava calzargli. Non ho mai avuto la sensazione che lui cercasse la libertà. In lui, c’è quasi una componente Zen, quel suo non essere attaccato a niente nella vita. Che io sappia, non ha alcun desiderio. La libertà non ha niente da offrirgli, che lui voglia davvero. E ora è a piede libero, un ricercato. Allora, perché ha deciso di evadere? E perché ora?”
Meredith tamburellò con le dita sulla scrivania.
“Come vi siete lasciati l’ultima volta che l’ha incontrato?” le chiese. “Eravate in buoni rapporti?”
Riley soffocò a stento un sorriso ironico.
“A dire il vero, non lo siamo mai stati” rispose.
Poi dopo una pausa, la donna aggiunse: “Capisco ciò che intende. Si sta chiedendo se sono il suo obiettivo.”
“E’ possibile?” Bill chiese.
Riley non rispose. Ancora una volta, ricordò le parole che Hatcher le aveva rivolto.
“Non dovrà tornare qui per vedermi.”
Era stata una minaccia? Non lo sapeva.
Meredith disse: “Agente Paige, non mi serve dirle che sarà sottoposta a molta pressione, perché questo è un caso di alto profilo. Anche adesso, mentre parliamo, la notizia viene divulgata ai mass media. Le evasioni fanno sempre notizia. Potrebbe diffondersi il panico tra la gente. Qualunque sia la sua intenzione, dobbiamo fermarlo in fretta. Vorrei che non dovesse tornare a lavorare ad un caso così pericoloso e difficile. Si sente pronta? Si sente in grado di affrontarlo?”
Riley sentì uno strano formicolio, mentre pensava a come rispondere. Era una sensazione che di rado, o forse mai, aveva provato prima di accettare un caso. Le occorse un istante per capire che quella sensazione era paura, pura e semplice.
Ma non temeva per la sua incolumità. C’era dell’altro. Era qualcosa di indefinibile e irrazionale. Forse era il fatto che Hatcher la conosceva così bene. Per sua esperienza, tutti i detenuti volevano qualcosa in cambio di informazioni. Ma Hatcher non era stato interessato alle solite piccole offerte di whiskey o sigarette. Il suo quid pro quo era stato semplice e profondamente inquietante al contempo.
Aveva voluto che lei gli raccontasse di sé.
“Qualcosa che non vuole si sappia in giro” le aveva detto. “Qualcosa che vuole che nessuno sappia.”
Riley aveva accettato, forse troppo facilmente. Ora Hatcher conosceva molte cose di lei: sapeva che era una madre imperfetta, che odiava suo padre e non era andata al suo funerale, che c’era una tensione sessuale tra lei e Bill, e che a volte, proprio come lo stesso Hatcher, traeva grande piacere dalla violenza e dall’uccidere.
Ricordò poi ciò che le aveva detto durante la loro ultima visita.
“La conosco. In qualche modo, la conosco meglio di quanto lei conosca se stessa.”
Poteva davvero competere con un uomo simile? Meredith era seduto lì in paziente attesa di una risposta alla sua domanda.
“Sono pronta, per quanto lo possa” disse, provando a sembrare più sicura di quanto si sentisse.
“Bene” Meredith replicò. “Come pensa che dovremmo procedere?”
Riley rifletté per un momento.
“Io e Bill abbiamo bisogno di tutte le informazioni su Shane Hatcher in possesso dell’Agenzia” rispose.
Meredith annuì: “Se ne sta già occupando Sam Flores.”
*
Pochi minuti dopo, Riley, Bill e Meredith erano nella sala delle conferenze del BAU, ad osservare l’enorme schermo multimediale che Sam Flores aveva messo assieme. Flores era un tecnico di laboratorio e indossava un paio di occhiali dalla montatura scura.
“Credo di avere tutto quello che vorrete vedere” Flores disse. “Certificato di nascita, mandati di cattura, certificati legali, lavori.”
Riley vide che era una raccolta notevole. E, certamente, non lasciava molto all’immaginazione. C’erano diverse foto raccapriccianti delle vittime assassinate da Shane Hatcher, incluso il poliziotto maciullato, steso nel suo stesso porticato.
“Che cosa sappiamo sul poliziotto ucciso da Hatcher?” Bill chiese.
Flores evidenziò un gruppo di foto di un agente di polizia dall’aspetto vigoroso.
“Stiamo parlando dell’Agente Lucien Wayles, quarantasei anni quando è morto nel 1986” Flores disse. “Era sposato con tre figli, insignito della Medaglia al Valore, amato e rispettato. L’FBI si è unita alla polizia locale, e hanno preso Hatcher pochi giorni dopo l’omicidio di Wayles. Mi meraviglia che non abbiano ridotto in polpette Hatcher immediatamente.”
Osservando lo schermo, Riley fu colpita soprattutto dalle foto dello stesso Hatcher. Lo riconobbe a malapena. Sebbene l’uomo che aveva conosciuto potesse assumere atteggiamenti intimidatori, era riuscito a crearsi un aspetto rispettabile, persino da studioso, con un paio di occhiali da lettura sempre pendenti sul naso. Le foto segnaletiche del giovane afro-americano del 1986 avevano un viso magro e duro, e uno sguardo crudele e vuoto.
Riley trovava difficile credere che si trattasse della stessa persona.
Per quanto quelle foto fossero dettagliate e complete, Riley si sentiva poco soddisfatta. Aveva creduto di conoscere Shane Hatcher tanto bene quanto si può farlo con un uomo vivo. Ma non conosceva questo Shane Hatcher: il giovane e violento stupratore, chiamato “Shane la Catena.”
Devo conoscerlo, pensò.
In caso contrario, non sarebbe riuscita a catturarlo.
In qualche modo, sentiva che la fredda sensazione trasmessa dalle immagini sul display digitale non la aiutava. Aveva bisogno di qualcosa di più concreto, vere fotografie lucide dai bordi piegati e sfilacciati, rapporti e documenti ingialliti e fragili.
Domandò così Flores: “Posso dare un’occhiata agli originali di questi materiali?”
Flores sbuffò, quasi incredulo.
“Mi dispiace, Agente Paige, ma non è possibile. L’FBI ha distrutto tutti i file cartacei nel 2014. Ora è tutto scannerizzato e digitalizzato. Ciò che vede è tutto ciò che abbiamo.”
Riley sospirò, delusa. Ricordava la distruzione di milioni di documenti cartacei. Altri agenti si erano lamentati, ma allora non le era sembrato affatto un problema. Ora avrebbe davvero voluto poter toccare qualcosa, come ai vecchi tempi.
Ma, al momento, la cosa importante era scoprire la prossima mossa di Hatcher. Le venne un’idea.
“Chi è il poliziotto che ha portato Hatcher in prigione?” chiese. “Se è ancora vivo, è probabile che sia il primo obiettivo di Hatcher.”
“Non si tratta di un poliziotto locale” Flores disse. “E non era un uomo.”
Poi, mostrò una vecchia foto di una donna.
“Si chiama Kelsey Sprigge. Era un’agente dell’FBI dell’ufficio di Syracuse; allora aveva trentacinque anni. Adesso ne ha settanta, è in pensione e vive a Searcy, una cittadina vicino a Syracuse.”
Riley fu sorpresa del fatto che Sprigge fosse una donna.
“Deve essersi unita al bureau …” Riley esordì.
Flores completò il pensiero della donna.
“Si è arruolata nel 1972, quando il cadavere di J.Edgar era appena freddo. E’ stato quando alle donne è stato finalmente permesso di fare richiesta per diventare agenti. Era stata una poliziotta locale prima.”
Riley ne fu colpita. Kelsey Sprigge aveva vissuto momenti storici.
“Che cosa puoi dirmi di lei?” Riley chiese a Flores.
“Dunque, è vedova, ha tre figli e tre nipoti.”
“Chiama l’ufficio dell’FBI di Syracuse e chiedi loro di fare tutto il possibile per tenere la Sprigge al sicuro” Riley disse. “E’ in serio pericolo.”
Flores annuì.
Poi, si rivolse a Meredith.
“Signore, mi servirà un aereo.”
“Perché?” l’uomo chiese, confuso.
Lei prese un respiro profondo.
“Shane potrebbe essere già in viaggio per andare a uccidere la Sprigge” disse. “E voglio arrivare io da lei prima.”
CAPITOLO SEI
Mentre il jet dell’FBI atterrava sulla pista del Syracuse Hancock International Airport, Riley ricordò una frase che suo padre le aveva detto nel sogno della scorsa notte.
“Non servi a nessuno a meno che non sia morto.”
Riley fu colpita dall’ironia della frase. Questo, forse, era il primo caso che le veniva assegnato, quando qualcuno non aveva ancora commesso alcun omicidio.
Ma è probabile che la cosa cambierà presto, pensò.
Era preoccupata specialmente per Kelsey Sprigge. Voleva incontrare la donna faccia a faccia, e vedere che tutto andasse bene. Poi, sarebbe spettato a Riley e Bill mantenere le cose in quel modo, il che significava rintracciare Shane Hatcher e rimetterlo in prigione.
Mentre il jet rullava verso il terminal, Riley vide che erano finiti in un vero mondo invernale. Sebbene la pista d’atterraggio fosse sgombra, enormi montagne candide mostravano quanto lavoro avessero svolto gli spazzaneve di recente.
Era un cambio di scenario rispetto alla Virginia e giungeva a buon punto. Ora Riley si rese conto di quanto avesse bisogno di una nuova sfida. Aveva chiamato Gabriela da Quantico, spiegandole che stava per cominciare ad occuparsi di un nuovo caso. Gabriela si era congratulata con lei, assicurandola che si sarebbe occupata di April.
Quando il jet si fermò, Riley e Bill presero il bagaglio e scesero per la scaletta, poggiando poi i piedi sull’asfalto ghiacciato. Colpita in viso da un freddo pungente, si rallegrò della pesante giacca con cappuccio, che le avevano procurato a Quantico.
Due uomini si avvicinarono, presentandosi come gli Agenti McGill e Newton dell’ufficio competente dell’FBI di Syracuse.
“Siamo qui per aiutarvi in ogni modo possibile” McGill disse a Bill e Riley, mentre tutti entravano rapidamente all’interno del terminal.
Riley pose la prima domanda che le venne in mente.
“State sorvegliando Kelsey Sprigge? Siete certi che sia al sicuro?”
“Alcuni poliziotti locali sono appostati fuori dalla sua casa di Searcy” Newton disse. “Siamo certi che stia bene.”
Riley avrebbe voluto sentirsi così sicura.
Bill disse: “D’accordo allora. Adesso, abbiamo soltanto bisogno di un mezzo per arrivare a Searcy.”
McGill disse: “Searcy non è distante da Syracuse, e le strade sono tutte sgombre. Abbiamo portato un SUV che potete usare, ma … ecco, siete abituati a guidare negli inverni del nord?”
“Sapete, Syracuse vince sempre il Golden Snowball Award” Newton aggiunse con malizioso orgoglio.
“Golden Snowball?” Riley chiese.
“E’ il premio dello stato di New York per chi ha più neve” McGill spiegò. “Noi siamo i campioni. Abbiamo un trofeo per provarlo.”
“Forse uno di noi dovrebbe accompagnarvi” Newton suggerì.
Bill sorrise sommessamente. “Grazie, ma credo che riusciremo a cavarcela. Sono stato assegnato ad un caso in Nord Dakota alcuni anni fa. Ho avuto una buona dose di guida invernale laggiù.”
Benché fosse rimasta in silenzio, anche Riley si sentiva preparata ad affrontare quell’ostacolo. Aveva imparato a guidare sulle montagne della Virginia. La neve lì cadeva mai così abbondante ma le strade secondarie non erano mai state sgombrate così rapidamente. Probabilmente aveva passato tanto tempo su strade ghiacciate quanto chiunque altro del posto.
Ma fu felice del fatto che fosse Bill a guidare. In quel momento, era preoccupata per la sicurezza di Kelsey Sprigge. Bill prese le chiavi e si misero in viaggio.
“Devo dire che è bello lavorare di nuovo insieme” Bill esclamò, mentre guidava. “Immagino che sia egoista da parte mia. Mi piace lavorare con Lucy, ma non è la stessa cosa.”
Riley sorrise. Anche per lei era bello poter lavorare di nuovo con Bill.
“Anche se una parte di me avrebbe voluto che tu non tornassi a lavorare su questo caso” Bill aggiunse.
“Perché no?” Riley chiese con sorpresa.
Bill scosse la testa.
“Ho solo una brutta sensazione” disse. “Ricorda, anch’io ho incontrato Hatcher. Ci vuole tanto per spaventarmi, ma … ecco, lui è ineguagliabile.”
Riley non rispose, ma era d’accordo. Sapeva che Hatcher ci era andato pesante con Bill durante quella visita. Con un istinto inspiegabile, l’ergastolano aveva fatto delle acute osservazioni sulla vita personale di Bill.
Riley ricordò come Hatcher avesse indicato la fede nuziale di Bill e aveva detto:
“La smetta di provare a rimettere le cose a posto con sua moglie. E’ impossibile.”
Hatcher aveva avuto ragione, e Bill ora era nel bel mezzo di un brutto divorzio.
Alla fine di quella visita, aveva detto a Riley qualcosa che ancora la perseguitava.
“Smetta di combatterlo.”
Ancora non aveva compreso a che cosa Hatcher si riferisse, quando aveva pronunciato quella frase. Ma era inspiegabilmente spaventata dall’idea che un giorno l’avrebbe scoperto.
*
Poco tempo dopo, Bill parcheggiò l’auto a fianco di un’enorme cumulo di neve, accatastata ai margini della strada, accanto alla casa di Searcy di Kelsey Sprigge. Riley vide subito un’auto della polizia nelle vicinanze; all’interno c’era una coppia di poliziotti in uniforme. Ma i due non le ispiravano molta fiducia. Il criminale, violento ed astuto, che era evaso da Sing Sing, avrebbe potuto liquidarli, se solo avesse voluto.
Bill e Riley uscirono dall’auto e mostrarono i propri distintivi ai poliziotti. Poi si incamminarono lungo il marciapiede, sgombro di neve, diretti all’abitazione. Era una casa tradizionale a due piani, con un pratico tetto basso e un porticato anteriore, ed era coperta da luci natalizie. Riley suonò il campanello.
Una donna aprì la porta con un sorriso splendido. Era magra e in forma, con indosso una tuta da jogging. La sua espressione era luminosa e gioiosa.
“Eccovi, dovete essere gli Agenti Jeffreys e Paige” lei disse. “Io sono Kelsey Sprigge. Prego, entrate. Venite via da questo freddo tremendo.”
Kelsey Sprigge condusse Riley e Bill in un soggiorno accogliente, con un fuoco scoppiettante nel camino.
“Posso offrirvi qualcosa da bere?” chiese. “Naturalmente, siete in servizio. Vi porterò del caffè.”
Andò in cucina, e Bill e Riley si sedettero. Riley si guardò intorno, posando lo sguardo sulle decorazioni natalizie e sulle dozzine di foto incorniciate, appese alle pareti e poggiate ai mobili. Erano state scattate da Kelsey Sprigge in diversi momenti della sua vita da adulta, con i figli e nipoti tutti intorno a lei. In molte foto, un uomo sorridente era al suo fianco.
Riley ricordò che Flores aveva detto che era vedova. Dalle foto, immaginò che fosse stato un matrimonio lungo e felice. In qualche modo, Kelsey Sprigge era riuscita ad ottenere qualcosa che era sempre sfuggita a Riley. Aveva vissuto una vita piena, con una famiglia amorevole, mentre lavorava come agente dell’FBI.
Riley desiderava, più di ogni altra cosa, chiederle come ci fosse riuscita. Ma, naturalmente, non era quello il momento adatto.
La donna tornò quasi subito, con un vassoio contenente due tazze di caffè, panna, zucchero e, con grande sorpresa di Riley, uno scotch on the rocks per sé.
Riley era sbalordita da Kelsey. Per una settantenne, appariva energica e piena di vita, e più resistente della maggior parte delle donne che aveva conosciuto. In qualche modo, Riley sentiva che stava guardando il genere di donna che forse avrebbe potuto diventare.











