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Riley trovava difficile credere che Jilly facesse parte della sua vita da così breve tempo. Le cose sembravano così naturali e semplici tra loro.
Come se fosse sempre stata mia figlia, Riley pensò. Era esattamente così che si sentiva, ma questo pensiero incrementò la sua ansia.
Sarebbe tutto finito domani?
Riley non riusciva a immaginare come sarebbe stato, se fosse successo.
Avevano quasi finito la pizza, quando furono interrotte da un forte segnale proveniente dal portatile di Riley.
“Oh, dev’essere April!” Jilly esclamò. “Ha promesso che avremmo fatto una videochiamata.”
Riley sorrise e lasciò che Jilly rispondesse alla chiamata della sua figlia maggiore. Ascoltò svogliatamente dall’altra parte della camera, mentre le due ragazze chiacchieravano come le sorelle che erano davvero diventate.
Quando la conversazione terminò, Riley parlò con April, mentre Jilly si stese sul letto a guardare la TV. Il viso di April sembrava serio e preoccupato.
Lei chiese: “Come andrà domani, mamma?”
Buttando un occhio dall’altra parte della camera, Riley vide che Jilly si era rimessa a guardare di nuovo il film. Non pensava che stesse davvero origliando ciò che lei ed April stavano dicendo, ma voleva comunque stare attenta.
“Vedremo” Riley rispose.
April parlò a bassa voce, così che Jilly non potesse sentire.
“Sembri preoccupata, mamma.”
“Immagino di sì” rispose, parlando lei stessa a bassa voce.
“Puoi farcela, mamma. So che puoi.”
Riley deglutì rumorosamente.
“Lo spero” replicò.
Parlando sempre con tono basso di voce, la voce di April era scossa dall’emozione.
“Non possiamo perderla, mamma. Non può tornare a quella vita.”
“Lo so” Riley disse. “Non preoccuparti.”
Riley ed April si guardarono in silenzio per alcuni istanti. Improvvisamente, Riley si sentì profondamente colpita dalla maturità che dimostrava la sua figlia quindicenne.
Sta davvero crescendo, Riley pensò orgogliosamente.
April disse infine: “Va bene, ti lascio andare. Chiamami non appena sai qualcosa.”
“Certo” Riley rispose.
Terminò la videochiamata e tornò a sedersi sul letto con Jilly. Il film era quasi terminato, quando il telefono squillò. Riley cadde nuovamente in preda alla preoccupazione.
Le telefonate non avevano portato alcunché di buono ultimamente.
Prese il telefono e sentì una voce femminile.
“Agente Paige, la chiamo dal centralino di Quantico. Abbiamo appena ricevuto una chiamata da una donna di Atlanta … beh, non so come gestire la cosa, ma vuole parlare direttamente con lei.”
“Atlanta?” Riley chiese. “Di chi si tratta?”
“Il suo nome è Morgan Farrell.”
Riley sentì un brivido che la mise in allerta.
Ricordava la donna da un caso a cui aveva lavorato a febbraio. Il ricco marito di Morgan, Andrew, era stato - seppur per breve tempo - sospettato in un caso di omicidio. Riley e il suo partner, Bill Jeffreys, avevano interrogato Andrew Farrell a casa ed avevano compreso che non era il killer, che stavano cercando. Ciò nonostante, Riley aveva notato dei segni, da cui aveva dedotto che abusasse della moglie.
Aveva silenziosamente dato a Morgan un bigliettino dell’FBI, ma, da allora, non aveva mai avuto sue notizie.
Immagino che voglia finalmente aiuto, Riley pensò, visualizzando la donna minuta ma timida che aveva visto nella villa di Andrew Farrell.
Si chiese che cosa sarebbe stata in grado di fare per chiunque, in quel momento.
Infatti, l’ultima cosa al mondo di cui lei aveva bisogno era un altro problema da risolvere.
L’operatrice in attesa chiese: “Vuole che le giri la telefonata?”
Riley esitò per un secondo, poi rispose: “Sì, per favore.”
Nel giro di un istante, sentì una voce femminile.
“Pronto, parlo con l’Agente Speciale Riley Paige?”
In quel momento ricordò: Morgan non aveva pronunciato una sola parola per tutto il tempo in cui era stata a casa sua. Era parsa fin troppo terrorizzata dal marito persino per parlare.
Ma non sembrava affatto terrorizzata adesso.
In effetti, sembrava piuttosto felice.
E’ soltanto una telefonata di cortesia? si chiese.
“Sì, sono Riley Paige” rispose.
“Beh, ho soltanto pensato di doverle fare una chiamata. E’ stata molto gentile con me quel giorno quando è venuta a casa nostra, e mi ha lasciato il suo bigliettino da visita, e sembrava molto preoccupata per me. Volevo soltanto informarla che non deve già farlo. Tutto andrà bene adesso.”
Riley respirò più facilmente.
“Mi fa piacere saperlo” disse. “Lo ha lasciato? Otterrà il divorzio?”
“No” Morgan rispose allegramente. “Ho ucciso il bastardo.”
CAPITOLO DUE
Riley si sedette sulla sedia più vicina, con la mente in subbuglio, mentre le parole della donna riecheggiavano nella sua mente.
“Ho ucciso il bastardo.”
Morgan lo aveva detto davvero?
Poi Morgan chiese: “Agente Paige, è ancora lì?”
“Sono ancora qui” Riley rispose. “Mi dica che cos’è successo.”
Morgan sembrava ancora stranamente calma.
“Il fatto è che non ne sono esattamente sicura. Sono stata poco lucida recentemente, e tendo a non ricordare le cose che faccio. Ma l’ho ucciso, decisamente. Sto guardando il suo corpo nel letto, e ha ferite da coltello ovunque, e ha perso molto sangue. A quanto pare, ho usato un coltello affilato da cucina. Il coltello è proprio accanto al suo corpo.”
Riley si sforzò di trovare un senso a quanto stava sentendo.
Lei ricordò di quanto Morgan le fosse sembrata patologicamente magra. Aveva ipotizzato che fosse anoressica. Riley sapeva meglio della maggior parte delle persone quanto fosse difficile pugnalare una persona a morte. Morgan era fisicamente in grado di commettere un tale gesto?
Sentì la donna sospirare.
“Detesto volerla importunare, ma, onestamente, non so che cosa fare adesso. Mi chiedo se lei possa aiutarmi.”
“Lo ha detto a qualcun altro? Ha chiamato la polizia?”
“No.”
Riley balbettò: “Va… va bene, provvedo subito.”
“Oh, la ringrazio tanto.”
Riley stava per dire a Morgan di restare in linea, mentre faceva un’altra chiamata al cellulare. Ma la donna riagganciò.
Rimase seduta a fissare il vuoto per un momento, finché non sentì Jilly chiedere: “Mamma, qualcosa non va?”
Riley alzò gli occhi e vide che Jilly sembrava profondamente preoccupata.
Lei disse: “Nulla di cui preoccuparti, tesoro.”
Poi, riprese il cellulare e chiamò la polizia di Atlanta.
*
L’agente Jared Ruhl sedeva, annoiato ed irrequieto, nell’auto di pattuglia, guidata dal Sergente Dylan Petrie. Era notte, e stavano pattugliando uno dei quartieri più ricchi di Atlanta, una zona in cui di rado avvenivano crimini. Ruhl era nuovo del mestiere, ed era affamato d’azione.
Nutriva un grande rispetto per il suo partner e mentore. Il Sergente Petrie, afroamericano, in servizio da oltre vent’anni, ed era uno dei poliziotti più esperti e competenti esistenti.
Mi chiedo perché stiamo perdendo tempo così? Ruhl si domandò.
Come per rispondere alla sua domanda inespressa, una voce femminile interruppe il silenzio…
“Quattro-Frank-tredici, mi ricevete?”
L’attenzione di Ruhl si ridestò quando sentì la sigla identificativa del loro veicolo.
Petrie rispose: “Ti riceviamo, va’ avanti.”
La voce esitò, come se quasi non credesse a quello che stava per comunicare.
Poi disse: “Abbiamo un possibile centottantasette a casa Farrell. Andate sulla scena.”
La bocca di Ruhl si spalancò, e vide gli occhi di Petrie sbarrati per la sorpresa. Ruhl sapeva che 187 era il codice che stava per omicidio.
A casa di Andrew Farrell? Ruhl si domandò.
Entrambi non riuscivano a credere alle proprie orecchie.
“Ripeti” Petrie disse.
“Un possibile 187 a casa Farrell. Riuscite ad arrivarci?”
Ruhl vide Petrie strizzare gli occhi perplesso.
“Sì” Petrie disse. “Chi è il sospettato?”
La voce esitò ancora, poi aggiunse: “La Signora Farrell.”
Petrie sbottò, scuotendo il capo. “Uh … è uno scherzo?”.
“Per niente.”
“Chi è il mio RP?” Petrie domandò.
Che cosa significa? Ruhl si chiese.
Oh, certo …
Significava: “Chi ha riportato il crimine?”
La voce rispose: “Ha chiamato un agente del BAU da Phoenix, Arizona. So quanto sembri strano, ma …”
Calò il silenzio.
Petrie disse: “Risposta al Codice Tre?”
Ruhl sapeva che Petrie stava chiedendo se usare le luci lampeggianti e la sirena.
La voce chiese: “Quanto distate dal posto?”
“Meno di un minuto” Petrie ribatté.
“Meglio restare in silenzio allora. Tutta questa faccenda è …”
La voce svanì di nuovo. Ruhl immaginava che la donna non volesse attirare l’attenzione. Qualunque cosa stesse davvero accadendo in quel quartiere lussuoso e privilegiato, era senz’altro meglio tenere i media lontani il più a lungo possibile.
Infine, la voce ricomparve: “Fate un controllo, OK?”
“Ricevuto. Siamo diretti sul posto.”
Petrie pigiò sull’acceleratore e sfrecciarono lungo la strada, immersa nel silenzio.
Ruhl si guardò intorno stupito, mentre si avvicinavano alla villa dei Farrell. Non era mai stato così vicino. La casa si estendeva in ogni direzione, e a lui appariva più un country club che l’abitazione di qualcuno. L’esterno era illuminato con cura, per protezione, senza dubbio, ma anche per ostentare gli archi, le colonne e le grandi finestre.
Petrie parcheggiò l’auto nel vialetto circolare, e spense il motore. Lui e Ruhl uscirono dall’auto e si diressero verso l’enorme entrata. Petrie suonò il campanello.
Dopo alcuni istanti, un uomo alto e snello aprì la porta. Ruhl dedusse dallo smoking elegante e dalla sua espressione severa e boriosa, che fosse il maggiordomo della famiglia.
Sembrò sorpreso al vedere i due poliziotti, e per niente contento.
“Potrei chiedervi a cosa è dovuta la vostra presenza?” l’uomo domandò.
Il maggiordomo non sembrava avere alcuna idea del fatto che potesse esserci un problema all’interno della villa.
Petrie guardò Ruhl, che sentiva ciò che il suo mentore stava pensando …
Solo un falso allarme.
Probabilmente uno scherzo.
Petrie disse al maggiordomo: “Potremmo parlare col Signor Farrell, per favore?”
Il maggiordomo sorrise in maniera altezzosa.
“Temo che non sia possibile” l’uomo disse. “E’ profondamente addormentato, e ho ordini molto precisi”
Petrie lo interruppe: “Abbiamo ragione di essere preoccupati riguardo alla sua sicurezza.”
Il sopracciglio del maggiordomo si sollevò.
“Davvero?” disse. “Gli darò un’occhiata, se insistete. Proverò a non svegliarlo. Vi assicuro, si lamenterebbe in maniera piuttosto accesa.”
Petrie entrò seguendo il maggiordomo nella casa, senza chiedere permesso. L’abitazione era vasta: un colonnato marmoreo conduceva ad una scalinata coperta da un tappeto rosso, fiancheggiata da un corrimano rosso curvo. Ruhl trovava sempre più difficile credere che qualcuno vivesse davvero lì. Assomigliava piuttosto ad un set cinematografico.
Ruhl e Petrie seguirono il maggiordomo in cima alle scale, poi lungo un ampio corridoio fino ad un paio di porte doppie.
“La camera padronale” il maggiordomo disse. “Aspettate qui un momento.”
Il maggiordomo oltrepassò le porte.
Poi, sentirono un grido di orrore.
Ruhl e Petrie si precipitarono all’interno e si ritrovarono in un soggiorno; da lì entrarono in un’enorme camera da letto.
Il maggiordomo aveva già acceso le luci. Per un attimo Ruhl avvertì quasi un dolore agli occhi, dovuto al repentino cambio di illuminazione. Poi, lo sguardo gli cadde su un letto a balze. Come ogni altra cosa nella casa, anche questo era enorme: sembrava un elemento uscito fuori dalla scena di un film. Ma, per quanto fosse grande, era sovrastato dal resto della grandezza della camera.
Ogni elemento nella camera padronale era oro e bianco, ad eccezione del sangue sparso su tutto il letto.
CAPITOLO TRE
Il maggiordomo era poggiato alla parete e si guardava intorno con un’espressione gelida. Anche a Ruhl sembrò che l’aria fosse uscita dai polmoni.
L’uomo era lì, sul letto: il ricco e famoso Andrew Farrell era morto e coperto di sangue. Ruhl lo riconobbe avendolo visto molte volte in televisione.
Quello era il primo cadavere di un morto ammazzato che avesse mai visto. Non si sarebbe mai aspettato una scena simile, strana e irreale.
Quello che rendeva tutto particolarmente bizzarro era la donna seduta su una poltrona riccamente decorata, proprio accanto al letto. Ruhl riconobbe anche lei. Si trattava di Morgan Farrell, precedentemente nota come Morgan Chartier, una famosa modella, che ormai si era ritirata a vita privata. Il defunto aveva trasformato il loro matrimonio in un evento mediatico, e gli piaceva mostrare la donna in pubblico.
Indossava una vestaglia sottile e costosa, che era macchiata di sangue. Era seduta immobile, con in mano un grosso coltello dal manico intagliato, insanguinato, come la mano della donna.
“Merda” mormorò Petrie in tono stupito.
Poi, parlò nel suo microfono.
“Questa è una chiamata quattro-Frank-tredici da casa Farrell. Abbiamo un vero cento-ottantasette qui, davvero. Mandate tre unità, inclusa una squadra omicidi. Contattate anche il coroner. Meglio anche dire al Capo Stiles di arrivare.”
Petrie ascoltò la risposta nel proprio auricolare, poi sembrò riflettere per un istante.
“No, non fatelo diventare un Codice Tre. Dobbiamo mantenere quanto più possibile il silenzio intorno alla vicenda.”
Nel frattempo, Ruhl non riuscì a staccare gli occhi dalla donna. Aveva pensato che era bella, quando l’aveva vista alla TV. Abbastanza stranamente, gli appariva ancora bella persino ora. Sebbene avesse in mano un coltello insanguinato, sembrava delicata e fragile quanto una statuina di porcellana.
Era anche immobile, come se fosse stata fatta di porcellana, immobile quanto il cadavere, ed apparentemente inconsapevole delle presenze appena giunte nella stanza. Persino i suoi occhi non si muovevano, mentre continuava a fissare il coltello nella sua mano.
Mentre seguiva Petrie verso la donna, si rese conto che la scena non gli appariva più come un set cinematografico.
Sembra più l’allestimento di un museo delle cere, pensò.
Petrie toccò gentilmente la donna sulla spalla e disse: “Signora Farrell …”
La donna lo guardò, senza tradire neppure un po’ di stupore.
Sorrise e rispose: “Oh, salve, Agente. Mi chiedevo quando sarebbe arrivata la polizia.”
Petrie indossò un paio di guanti di plastica, subito imitato da Ruhl, tolse delicatamente il coltello dalla mano della donna, e lo porse a Ruhl, che lo mise delicatamente all’interno di un sacchetto.
Nel frattempo, Petrie si rivolse alla donna: “La prego mi dica che cos’è successo.”
La donna esplose in una risatina piuttosto musicale.
“Beh, che domanda sciocca. Io ho ucciso Andrew. Non è ovvio?”
Petrie rivolse uno sguardo a Ruhl, come per chiedere …
E’ ovvio?
Da un lato, non sembrava esserci una spiegazione alternativa che giustificasse questa scena bizzarra. Dall’altro …
Lei sembra così debole ed indifesa, Ruhl pensò.
Non riusciva proprio ad immaginarla mentre commetteva un atto così efferato.
Petrie disse a Ruhl: “Va’ a parlare con il maggiordomo. Scopri quello che sa.”
Mentre Petrie esaminava il corpo, Ruhl raggiunse il maggiordomo, che era ancora appoggiato alla parete.
Ruhl domandò: “Signore, potrebbe dirmi che cos’è successo qui?”
Il maggiordomo aprì la bocca, ma non emise alcun suono.
“Signore” Ruhl ripeté.
Il maggiordomo strabuzzò gli occhi, come se fosse colto da profonda confusione. Disse: “Non lo so. Siete arrivati e …”
Ricadde di nuovo nel silenzio.
Ruhl si chiese …
Sa davvero qualcosa?
Forse il maggiordomo stava fingendo shock e perplessità.
Forse era il killer.
Quell’idea ricordò a Ruhl del vecchio cliché …
“E’ stato il maggiordomo.”
L’idea avrebbe potuto essere persino buffa in altre circostanze.
Ma certamente non in quel momento.
Ruhl rifletté in fretta, provando a decidere quale domanda porre all’uomo.
Poi riprese: “C’è qualcun altro in casa?”
Il maggiordomo rispose con voce tediosa: “Soltanto il personale che abita nella casa. Sei persone oltre a me, tre uomini e tre donne. Certamente non pensate …?”
Ruhl non sapeva affatto che cosa pensare, almeno non ancora.
Domandò ancora al maggiordomo: “E’ possibile che qualcun altro sia presente da qualche parte all’interno della casa? Un intruso, forse?”
Il maggiordomo scosse il capo.
“Non vedo come” replicò. “Il nostro sistema di sicurezza è il migliore in circolazione.”
Questo non è un no, pensò Ruhl. Improvvisamente, si sentì allarmato.
Se fosse stato un intruso a uccidere, avrebbe potuto trovarsi ancora all’interno della casa?
O magari proprio in quel momento stava fuggendo?
Ruhl sentì Petrie parlare nel microfono: stava dando istruzioni su come trovare la camera da letto nell’enorme villa.
Pochi secondi più tardi, la stanza brulicava di poliziotti. Tra di essi, il Capo Elmo Stiles, un uomo corpulento ed imponente.
Ruhl rimase sorpreso quando vide anche il procuratore distrettuale della contea, Seth Musil, che - normalmente tranquillo e lucido - sembrava disorientato ed aveva un aspetto disordinato, come se fosse appena stato spinto fuori dal letto. Ruhl suppose che il capo lo avesse contattato, non appena ricevuta la notizia, fosse andato a prenderlo e lo avesse condotto lì.
Il procuratore distrettuale ebbe un moto di orrore dinnanzi alla scena del delitto, e si precipitò verso la donna.
“Morgan!” la chiamò.
“Ciao, Seth” la donna rispose, come se fosse piacevolmente sorpreso del suo arrivo. Ruhl non era particolarmente sorpreso che Morgan Farrell e un politico famoso come il procuratore distrettuale si conoscessero. La donna non sembrava ancora consapevole di quanto stesse accadendo intorno a sé.
Sorridendo, la donna si rivolse a Musil: “Beh, suppongo che sia ovvio quello che è successo. E sono sicuro che tu non sia sorpreso …”
Musil interruppe bruscamente.
“No, Morgan. Non dire nulla. Non ancora. Non finché non ti avremo procurato un avvocato.”
Il Sergente Petrie stava già organizzando le persone nella stanza.
Poi si rivolse al maggiordomo: “Spieghi loro la disposizione della casa, ogni angolo ed anfratto.”
Poi si rivolse ai poliziotti: “Voglio che setacciate tutto in cerca di intrusi o segni di effrazione. E controllate il personale residente nella villa, assicuratevi che tutti forniscano una descrizione accurata di come hanno trascorse le ultime ore.”
I poliziotti si radunarono intorno al maggiordomo, che si era rimesso in piedi. L’uomo diede loro istruzioni, e i poliziotti lasciarono la stanza. Senza sapere che altro fare, Ruhl si posizionò accanto al Sergente Petrie, osservando la scena inquietante.
Il procuratore distrettuale si era fermato accanto alla donna, ricoperta di sangue e sorridente.
Ruhl ancora non si capacitava di ciò che stava vedendo. Pensò che questo era il suo primo omicidio. Si chiese …
Avrò mai a che fare con un caso più strano di questo?
Sperava anche che i poliziotti che stavano perquisendo l’abitazione non tornassero a mani vuote. Forse, sarebbero tornati con il vero colpevole. Ruhl odiava l’idea che questa donna delicata e graziosa fosse davvero in grado di commettere un omicidio.
Trascorsero lunghi minuti prima che i poliziotti ed il maggiordomo tornassero.
Dissero di non aver trovato alcun intruso e neppure segni che qualcuno si fosse introdotto all’interno della casa. Aveva trovato il personale residente nell’abitazione addormentato, ognuno nel proprio letto, e non avevano alcun motivo di pensare che qualcuno di essi fosse responsabile del crimine.
Il coroner e la sua squadra arrivarono e cominciarono ad occuparsi del corpo. L’enorme stanza era davvero piuttosto affollata adesso. Finalmente, la donna insanguinata della casa sembrò essere consapevole della confusione dell’attività.
Si alzò dalla sedia e disse al maggiordomo: “Maurice, dove sono le tue buone maniere? Chiedi a queste brave persone se desiderano qualcosa da mangiare o bere.”
Petrie le si avvicinò, estraendo le manette.
Le disse: “E’ molto gentile da parte sua, signora, ma non sarà necessario.”
Poi, in un tono estremamente gentile e cortese, cominciò a leggere a Morgan Farrell i suoi diritti.
CAPITOLO QUATTRO
Riley non riuscì a fare a meno di preoccuparsi, mentre l’udienza cominciava.
Finora, tutto era parso procedere tranquillamente. La stessa Riley aveva spiegato il tipo di casa che stava provando a creare per Jilly; Bonnie ed Arnold Flaxman avevano testimoniato in merito al disperato bisogno di Jilly di avere una famiglia stabile.
Nonostante tutto, Riley si sentiva a disagio di fronte al padre della ragazza, Albert Scarlatti.
Non aveva mai visto l’uomo prima di oggi. A giudicare da quello che Jilly le aveva detto di lui, l’aveva immaginato come un grottesco orco.
Ma il suo vero aspetto la sorprese.
I capelli, che una volta erano stati neri, erano pesantemente ingrigiti e i lineamenti, come si era aspettata, erano segnati da anni di alcolismo. Nonostante tutto, sembrava perfettamente sobrio al momento. Era ben vestito ma non indossava abiti costosi, ed era gentile e affascinante con tutte le persone a cui si rivolgeva.
Riley si fece delle domande anche sulla donna seduta accanto all’uomo, mano nella mano. Anche lei sembrava aver avuto una vita difficile. Altrimenti, la sua espressione era difficile da interpretare per Riley.
Lei chi è? si chiese.
Tutto quello che Riley sapeva della moglie di Scarlatti e della madre di Jilly era che era scomparsa molti anni fa. Scarlatti aveva spesso detto alla figlia che, forse, la donna era morta.
Quella donna non poteva essere lei dopo tutti questi anni. Jilly non aveva mostrato affatto di conoscerla. Perciò, chi era?
Ora era il turno di Jilly di testimoniare.
Riley strinse la mano della ragazza per rassicurarla, e la giovane adolescente andò al banco.
Jilly appariva piccola nell’enorme sedia per i testimoni. I suoi occhi si spostarono nervosi, guardando all’interno dell’aula, osservando prima il giudice e poi il padre.
L’uomo sorrise con quello che sembrava un sincero affetto, ma Jilly evitò frettolosamente il suo sguardo.
L’avvocato di Riley, Delbert Kaul, chiese a Jilly come si sentisse per l’adozione.
Riley vide tutto il corpo di Jilly tremare per l’emozione.
“Lo voglio più di ogni altra cosa al mondo” Jilly disse con voce tremante. “Sono stata così, così felice di vivere con la mia mamma …”
“Intendi la Signora Paige” Kuhl disse, interrompendo gentilmente.
“Beh, lei è la mia mamma ora per quanto mi riguarda, ed è così che la chiamo. E sua figlia, April, è mia sorella maggiore. Prima di vivere con loro, non avevo idea di come fosse, avere una vera famiglia che mi amasse e si prendesse cura di me.”
Jilly sembrava soffocare coraggiosamente le lacrime.
Riley non era sicura di riuscire a fare la stessa cosa.
Poi, Kaul chiese: “Puoi raccontare un po’ al giudice di com’era vivere con tuo padre?”
Jilly guardò il genitore.
Poi, spostò gli occhi sul giudice e disse: “Era tremendo.”
Proseguì a raccontare alla corte che cos’aveva detto ieri a Riley, di quando il padre l’avesse rinchiusa in un armadio per giorni. Riley rabbrividì mentre ascoltava di nuovo la storia. La maggioranza dei presenti in aula sembrò profondamente scossa dal racconto. Persino il padre chinò la testa.






