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Mackenzie era un po' irritata dal fatto che tutto questo mancasse dai documenti che aveva ricevuto. Naturalmente, sapeva che l'ufficio operativo non poteva stare al passo con la velocità con cui questi fatti dell'ultimo minuto venivano trasmessi.
“Chi ha il filmato?”
“Veniva da un banco dei pegni. Il proprietario sembra piuttosto disponibile. Mi ha detto che posso tornare in qualsiasi momento, anche se il Bureau ha già una copia del filmato.”
Mackenzie aggirò la Crown Vic di Webber e guardò il posto auto. “Hai idea di quanto tempo la sua auto sia rimasta qui, prima di essere spostata?”
“Il comune l'ha fatta spostare ieri. Ma la scientifica l'ha esaminata da cima a fondo, prima che venisse spostata. L'unica cosa degna di nota che hanno trovato è il sangue sul telaio della portiera, che è risultato appartenere alla signora Torres.”
Mackenzie osservò il parcheggio vuoto. A parte qualche vecchia macchia d'olio e mozziconi di sigaretta, non c'era niente di particolare. Non c'erano sangue, né peli o fibre degni di nota, che potesse vedere.
“Abbiamo accesso ai filmati della sicurezza, giusto? Alla sede operativa?”
“Sì. E documenti aggiornati. Come sicuramente saprai, molte di queste cose tendono a saltar fuori dopo l'orario di lavoro. Non sono sicuro di quanto possano essere aggiornati i file che hai ricevuto.”
Quell'ampio sorriso si insinuò di nuovo sul suo viso. E anche se non la stava guardando a bocca aperta, la stava comunque fissando di nuovo. Se ne accorse e sembrò riaversi, scuotendo la testa come se stesse togliendo delle ragnatele.
“Scusa. È solo che... sì, sto ancora cercando di accettare il fatto che tu sia qui. E che sto lavorando con te.”
“Non è niente di che, fidati.”
“Sei umile, l’ho capito. Ma, che ti piaccia o no, sei una specie di leggenda per chiunque sia passato dall'accademia negli ultimi tre anni circa.”
Era bello sentirlo. A prescindere da quanto uno fosse umile, Mackenzie pensò che fosse sempre bello sentire cose positive su se stessi. Era incoraggiante, se non altro. Ma di certo non si sentiva una leggenda. Se Webber avesse conosciuto tutti i dubbi e le paure che erano costantemente in agguato nel suo cuore, avrebbe avuto un'immagine molto diversa di lei. Era il motivo principale per cui avrebbe voluto dirgli di smettere di tessere le sue lodi, chiudere la bocca e lasciar perdere.
“Vorrei dare un'occhiata a dove stava camminando la persona nel filmato della sicurezza.”
“Certo. Vuoi andare a piedi o in macchina? È letteralmente due isolati dietro di noi.”
“Facciamo una passeggiata.”
Webber sembrava d'accordo, e preferì lasciare la sua auto parcheggiata così com'era, per tenere la scena del crimine chiusa. La coppia uscì dal parcheggio nel mattino. Webber fece da guida, portandola al banco dei pegni dove era posizionata la telecamera di sicurezza che aveva ripreso la persona con l'impermeabile.
Il negozio era ancora chiuso a quell'ora, ma Mackenzie non era troppo preoccupata per questo. A dire il vero, preferiva vedere i filmati delle telecamere di sicurezza da un portatile che controllava lei, piuttosto che dal sistema del proprietario di un banco dei pegni, che magari pensava di saperne più di lei su come gestire la cosa.
“Allora, in pratica la telecamera era puntata dritta in fondo alla strada” disse Webber. “Il parcheggio è appena fuori dall’inquadratura, quindi non lo vediamo entrare.”
Camminavano lentamente lungo la strada. Mackenzie guardò in giro sul marciapiede e nelle vetrine dei negozi, non sapendo bene cosa stesse cercando. C'era un solo vicolo, ma era sbarrato con assi di legno. Si voltò e cercò dietro di loro altri posti dove la sagoma avrebbe potuto nascondersi.
Come se le avesse letto nel pensiero, Webber indicò uno spazio tre negozi più avanti, dietro il banco dei pegni. “Là dietro c'è un vicolo. L'ho controllato ieri. Non c'è traccia di nulla, ma è probabile che fosse lì che l'intruso era in agguato, se davvero aspettava che la signorina Torres uscisse dal lavoro.”
Continuarono a camminare fino a quando arrivarono al Sixteenth Street Diner. Dall'entrata anteriore il parcheggio era ben visibile, distante meno di un isolato. Mackenzie guardò la porta del locale. L'odore denso di pancetta e caffè si espandeva verso di loro.
“Hai avuto modo di parlare con qualcuno dei suoi colleghi?” gli domandò. Aveva una gran voglia di entrare per vedere cosa riusciva a scoprire da sé, ma non le era mai piaciuta l'idea che lo stesso compito fosse svolto due volte. Se Webber aveva fatto un lavoro soddisfacente, non vedeva il motivo di compiere le stesse mosse.
“Sì, con quattro diversi dipendenti, compreso il supervisore. È tutto scritto negli appunti. Onestamente, l'unica cosa degna di nota è che ci sono state alcune volte in cui degli uomini sono stati cacciati perché avevano allungato troppo le mani. Nessuno ha parlato male della signorina Torres, ma era chiaro che alcune delle altre cameriere erano invidiose di lei. Una di loro si è spinta al punto di dire che aveva sempre temuto che potesse accadere una cosa del genere. A quanto pare, la signorina Torres usava scollature eccessive e minigonne di pelle per assicurarsi di ricevere buone mance. È il tipo di tavola calda in cui quell’abbigliamento è l’ideale per gli avventori del dopo-lavoro.”
Proseguirono fino a tornare al parcheggio. Mackenzie non aveva visto nulla di degno di nota, ma allo stesso tempo sentiva di avere una migliore percezione sia della vittima che dell'assassino, avendo percorso la stessa strada che avevano percorso loro – una strada che, per la signorina Torres, era stata l'ultima.
Mentre tornavano verso le loro auto, Webber domandò: “C'è altro che vorresti controllare, prima di iniziare a indagare a fondo nei fascicoli?”
“Penso che possiamo andare all'ufficio operativo. A meno che non mi sfugga qualcosa di evidente, non credo che qui ci sia altro da trovare che la Scientifica non abbia già scoperto.”
“Assolutamente. Puoi seguirmi con la macchina.”
Mackenzie tornò alla sua auto, alzando gli occhi al cielo per l'eccitazione infantile che Webber mostrò quando salì in macchina. Era passato un bel po' di tempo dall'ultima volta che qualcuno le aveva ricordato il suo passato – di come aveva salito i ranghi da poliziotto di paese a favoloso agente dell'FBI così in fretta. Era bello rivedere quel passato, un promemoria della sua provenienza e di tutto ciò che aveva realizzato.
Ma ora tutto ciò apparteneva al passato. Quando si ricordava la donna che era stata, era come cercare di ricordare le azioni e i modi di fare di uno sconosciuto.
Forse questo è il promemoria di cui ho bisogno se voglio davvero tornare in sella, pensò Mackenzie. Ma anche in quel momento, mentre seguiva Webber fuori dal parcheggio ed entrava in città, l'idea di ricordare il Killer dello Spaventapasseri e il caos della sua vita privata di allora non era diverso da entrare in una casa infestata e chiudere la porta dall'esterno.
CAPITOLO CINQUE
Webber le mostrò il suo ufficio temporaneo, uno spazio grande quanto un ampio guardaroba. Le procurò un portatile e le copie di tutti i documenti legati a entrambi gli omicidi. Le chiese persino se potesse portarle un caffè e una ciambella, facendo tutto il possibile per farla sentire la benvenuta. Lei desiderava che la smettesse; già cominciava a sembrarle più un assistente che un agente. Se non avesse smesso presto, Mackenzie pensò che avrebbe dovuto fare una chiacchierata con lui.
Fortunatamente, non c'era nulla di nuovo da esaminare. Tutto ciò che mancava dai fascicoli in suo possesso le era stato spiegato da Webber nel parcheggio. La prima cosa che esaminò fu il rapporto del medico legale sulla prima vittima, Amy Hill, di Portland. Lesse il rapporto, vedendo subito come fossero giunti alla conclusione che era stata colpita con un ramo di quercia almeno quattro volte proprio sulla fronte e una volta sulla nuca. Rivedendo le ferite e leggendo i rapporti del medico legale, si chiese come diavolo fosse possibile che qualcuno avesse inizialmente pensato che le ferite fossero state inferte con un martello.
Poi chiese di poter accedere al filmato delle telecamere di sicurezza proveniente dal banco dei pegni. Lo visionò più volte, passando circa mezz'ora a osservare gli stessi diciotto secondi di ripresa. Poiché solo una telecamera l'aveva filmato, poté vederlo da un'unica angolazione. Eppure, bastò per notare che la persona che si trovava dietro Sophie Torres faceva davvero del suo meglio per seguirla senza essere vista. L'intera scena era sfocata intorno ai margini, probabilmente a causa della pioggia di quella sera.
Non c'era un solo centimetro di pelle che lei potesse vedere. Persino le mani della sagoma erano infilate nelle tasche dell'impermeabile. Camminava con determinazione, a testa bassa e con le spalle ricurve. Non si voltò nemmeno una volta per vedere se ci fosse qualcun altro dietro di sé. Dopo l'undicesima visione del filmato, Mackenzie lo chiuse e distolse lo sguardo. Non c'era niente da trovare, lì.
“Abbiamo il bollettino meteorologico di Portland per la notte in cui Amy Hill è stata uccisa?”
“Non direi. Ma posso tranquillamente procurarmene uno. Pensi che il tempo potrebbe avere qualcosa a che fare con quando l'assassino colpisce?”
“Non ne ho idea. Ma per ora, sto solo cercando tutte le similitudini che riesco a trovare.”
“Capisco” disse Webber, tirando fuori il suo cellulare come un pistolero mediocre. Fece alcuni tocchi sullo schermo, mentre Mackenzie apriva le foto della scena del crimine di Amy Hill. Poiché il suo corpo era stato scoperto in una fontana pubblica, dalle sole foto era impossibile capire se stesse piovendo al momento della morte.
“In base a quello che vedo qui” disse Webber, mostrandole un notiziario di Portland, con le previsioni del tempo degli ultimi sette giorni, “era sereno la notte in cui Amy Hill è stata uccisa. Non pioveva.”
“Il verbale indica che è stata uccisa tra mezzanotte e le due del mattino” disse Mackenzie, leggendo le informazioni sul dossier per la quarta volta. “Questo collocherebbe l'omicidio nella stessa fascia oraria in cui è stata uccisa Sophie Torres. E, a meno che non mi sfugga qualcosa, questa è l'unica analogia.”
“Beh, questo e il fatto che sono state colpite alla testa” sottolineò Webber. “Certo, ora sappiamo che si trattava di un'arma diversa, ma si trattava comunque di un colpo alla testa. Non è molto per proseguire, ma...”
Mackenzie notò che parlava con esitazione, come se temesse che lei potesse correggerlo o non essere d'accordo con lui in qualsiasi momento. Si chiese se si comportasse così con qualsiasi agente con cui fosse in coppia, o se fosse davvero così colpito da lei. Se era la seconda, lo compativa; non era degna dell’ammirazione di nessuno. Supponeva che il suo primo anno di carriera, in particolare l'improvvisa ascesa da poliziotto di provincia a giovane agente federale, valesse qualche notizia da prima pagina. Ma ora si sentiva solo un agente tra i tanti. Adesso era sposata, aveva un figlio, era essenzialmente addomesticata. Pur amando molto la sua famiglia e il suo lavoro, non si sentiva nulla di speciale.
“Dobbiamo scoprire se c'è un legame tra le vittime” disse Mackenzie. “Sai se qualcuno ha parlato con la famiglia Hill?”
“Nessuno di qui. Abbiamo solo un verbale della polizia di Portland, che ha parlato con loro. Si tratta della tipica storia: nessun problema in famiglia, nessun sospetto sul fidanzato, nessun campanello d'allarme.”
“E Sophie Torres?”
“Anche nel suo caso, soltanto la polizia locale ha parlato con i famigliari. Mi è stato ordinato di non parlare con loro fino al tuo arrivo.”
“Beh, eccomi qui” disse Mackenzie, alzandosi in piedi.
“Eccoti qui” ripeté Webber, e dal suo tono sembrava che stesse cercando di flirtare. Questo la metteva a disagio, ma non al punto da fare commenti che avrebbero reso la cosa imbarazzante.
“Conosci la città meglio di me. Ti dispiace guidare?”
“Per niente.”
“Webber, ti dispiace se ti chiedo una cosa? Hai mai lavorato con lo stesso partner per un lungo periodo?”
“Il mio ultimo partner è durato un anno e mezzo. È stato trasferito a Denver. Prima di lui, ho fatto coppia con agenti temporanei. So perché me lo chiedi. Mi dicono sempre che sembro un tipo strambo. Hanno usato esattamente questo aggettivo. Anche se io non lo userei mai.”
“Non direi strambo. Sembri... beh, sembra che ti piaccia un po' troppo il tuo lavoro. Ma non in modo ossessivo. Più come un ragazzino che va con il padre sul suo posto di lavoro... e il padre lavora con gli esplosivi o è un giocatore di football, o qualcosa del genere.”
Webber scoppiò in una risata che glielo fece piacere un po' di più. Era una risata sincera e fragorosa.
“Sono sicuro che nelle tue parole ci sia un insulto nascosto, ma non mi interessa. Perché sai, a volte mi sento davvero così... Mi piace il mistero di tutto questo. Gli enigmi, la risoluzione e tutto il resto. E, come ho detto, il fatto di essere in coppia con te.”
“Non significa assolutamente nulla” lo interruppe Mackenzie. “Senti, Webber, sono felice di lavorare con te e penso che possiamo concludere questa cosa abbastanza velocemente. E, per quanto ogni donna ami sentirsi dire quanto sia fantastica, ti chiedo di darci un taglio. Non sono migliore di te in quello che facciamo, per quanto ne so. Quindi cerchiamo di mantenere le cose alla pari, ok? Non sono un tuo superiore, e voglio che mi riferisci le tue idee e i tuoi pensieri senza esitazioni. Per quanto mi riguarda, possiamo entrambi ricevere l'elogio dei nostri supervisori quando tutto questo sarà finito. Che ne dici?”
Webber all'inizio sembrò confuso, ma annuì lentamente. “Certo, si può fare. Chiedo scusa. Non mi ero accorto di comportarmi ancora come un tuo fan sfegatato.”
“Non preoccuparti. C'è una parte di me che si diverte. Ma non è la parte di me che è particolarmente brava a risolvere i crimini.”
Webber apparentemente non aveva nulla da dire in proposito. Le fece semplicemente cenno di seguirlo con la mano, mentre si dirigevano verso la parte anteriore dell'edificio, uscendo in una mattina che sembrava ancora nuvolosa, e dove il cielo minacciava pioggia da un momento all'altro.
CAPITOLO SEI
Avrebbe voluto fare delle foto. La vista della sua caduta a terra era ancora fresca nella sua mente, così come la ferita sulla fronte. Ma sapeva che la memoria era imperfetta. Sapeva anche che, col passare del tempo, i suoi ricordi sarebbero probabilmente svaniti. Anche quelli migliori tendevano a indebolirsi con il passare degli anni.
E non voleva perdere quello.
Inoltre, era stata la sua prima uccisione. Ed era stato molto meglio di quanto si aspettasse.
Era andato a letto solo con due donne. La prima volta era stato con una prostituta, a diciannove anni. Le aveva detto di essere vergine e che voleva che lei fosse brutale con lui, ma anche che gli insegnasse delle cose. Lei aveva fatto entrambe le cose ed era stata un'esperienza incredibile.
Ma la sua prima uccisione era stata di gran lunga migliore della prima volta con una donna. Non si poteva nemmeno fare un paragone.
Avrei dovuto davvero fare una foto.
Ma sapeva che fotografare le sue vittime sarebbe stato stupido. Era praticamente un invito a farsi scoprire.
Anche ora, seduto davanti al computer nel suo appartamento buio, guardava le foto che la gente aveva messo online e si chiedeva quanto fossero stupidi a postare cose del genere. Erano foto di vittime di colpi d'arma da fuoco, di tassisti appena accoltellati, di persone cadute da grandi altezze, di un uomo investito da un Humvee. Persino sul dark web – che era praticamente l'unico che usava, ultimamente – il governo poteva scoprire cosa stavi guardando e cosa postavi.
E anche se non era un crimine guardare quel materiale, era illegale pubblicarlo, nella maggior parte dei paesi. E sapeva che quasi tutti quelli che pubblicavano quel tipo di materiale erano degli idioti. Chiedevano che la scure si abbattesse su di loro.
Beh, questo valeva per alcune persone. Ma non per lui. Con la sua formazione e i suoi tre anni di esperienza nel campo dell'informatica, sapeva come tutelarsi. La maggior parte degli idioti, invece, non lo sapeva. Ma questo non era un suo problema.
Guardò le immagini sullo schermo. I cadaveri. Il video di una vittima prossima alla morte, il solo segnale che fosse ancora viva era il rantolo che emetteva ogni cinque secondi. Le immagini delle persone bruciate vive in un incendio domestico, l'uomo che aveva filmato la morte della moglie mentre la soffocava a letto, mentre facevano sesso.
Immaginava che qualcuno lo avrebbe definito fuori di testa, che avesse qualche rotella fuori posto. Non credeva che fosse così, ma chi poteva saperlo? Qualcuno avrebbe anche potuto supporre che avesse avuto un'infanzia terribilmente traumatica, che avesse vissuto un'esperienza disumana che lo aveva fatto diventare così. Ma non era vero nemmeno quello. Aveva avuto un'infanzia fantastica con genitori amorevoli. Parlava ancora con loro almeno una volta alla settimana; sua madre si chiedeva ancora quando si sarebbe sistemato con una bella donna per dar loro dei nipoti.
Sua madre si era anche chiesta cosa fosse successo ai tre gatti che avevano avuto in cinque anni. Lui conosceva la risposta. Li aveva uccisi. Li aveva uccisi in modi diversi solo per vedere com'era. Solo per vedere la vita scivolare via dai loro occhi.
Non gli era piaciuto particolarmente. Non c'era stata molta lotta e, alla fine, gli era sembrato di stare soffocando un animale di peluche.
Ma con Sophie era stato diverso. Per Dio, era stato incredibile. Indescrivibile.
Perciò forse, e solo forse, c'era davvero qualcosa che non andava in lui. Molti direbbero che era così, ma a lui non sembrava.
No, niente di tutto ciò era vero. Lui stava benissimo. Gli piaceva solo guardare gli altri soffrire. Gli piaceva la vista della gente che moriva.
E gli piacevano anche le sfide. Le sfide erano quello che la Voce gli stava dando.
La Voce gli aveva lanciato diverse sfide negli ultimi mesi. All'inizio era iniziato lentamente, quasi per gioco. Spiare la coppia sposata in fondo alla strada mentre faceva sesso. Lanciare un mattone su un cane randagio dalla sua finestra, al quarto piano. Mandare per e-mail un allarme bomba a una scuola elementare locale.
La Voce aveva un nome, e lui lo conosceva. Ma gli piaceva chiamarlo la Voce. Così lo teneva lontano, facilitandogli lo svolgimento dei compiti, l'esecuzione degli ordini.
Le prime sfide erano state facili, anche se avrebbe voluto che il cane fosse morto subito dopo essere stato colpito dal mattone; ci faceva ancora gli incubi.
Dopo quei primi compiti, erano arrivate le vere sfide. Quelle sull'omicidio. La Voce sapeva cosa guardava quando andava online. A volte pensava che la Voce lo conoscesse meglio di quanto lui conoscesse se stesso, che la Voce fosse in qualche modo ai comandi dentro la sua testa.
Sì, alla fine la Voce gli aveva chiesto di uccidere, di vivere la sua fantasia piuttosto che sognarla mentre navigava nella rete oscura.
La Voce lo aveva sfidato. E lui aveva obbedito.
E adesso c'era un'altra sfida.
La Voce gliel'aveva lanciata circa un'ora prima. Era il motivo per cui stava scandagliando forum e video di contenuti tabù – contenuti che sapeva che lo avrebbero fatto finire in prigione se fosse stato scoperto.
Stava chiamando a raccolta il coraggio. Perché la Voce gli stava chiedendo di uccidere di nuovo. E questa volta voleva che lo facesse in pieno giorno.
L'idea era oltremodo elettrizzante... oltremodo eccitante. Era l'unica cosa a cui riusciva a pensare. Non era sicuro di come avrebbe fatto, ma aveva già in mente una vittima. Aveva già in mente la vittima prima ancora che la Voce cominciasse a parlargli. Un'altra donna, un'altra bella creatura che lo faceva sentire sporco e inferiore. Probabilmente non meritava di morire, ma queste cose non dipendevano da lui.
La Voce aveva lanciato la sfida e lui non poteva andarle contro. Anche se avesse voluto, non poteva. La sua mente, il suo corpo e il suo cuore erano pronti ad accettare la sfida. Sarebbe stato facile. Sarebbe stato come respirare, come dormire. Sarebbe stato naturale, come tutto ciò che la Voce gli aveva chiesto.
Fallo di nuovo, questa volta di giorno.
Poteva ancora sentire la voce nella sua testa, ogni parola lenta e strascicata.
Era ancora lì, quando si addormentò sulla sedia del computer, con lo schermo davanti a sé che mostrava le sue immagini ripugnanti.
CAPITOLO SETTE
Non era mai facile fare visita a una famiglia così presto dopo la morte di una persona cara, soprattutto quando stavi per fare domande sulla loro morte. Mackenzie aveva perso il conto delle volte in cui le era capitato, ma ce n'erano alcune che le erano rimaste impresse nella mente. Le manifestazioni del dolore non erano mai state uguali in nessuna situazione, ma non aveva mai assistito a una manifestazione in forma di collera pura. Almeno fino a quando non andarono a casa dei genitori di Sophie Torres. La madre, una donna bionda di nome Esmeralda, era chiaramente annientata dalla disperazione. Glielo si leggeva sul viso e negli occhi, quando li accolse in casa sua.
Esmeralda li accompagnò dentro casa come un fantasma che stesse infestando la sua stessa casa. Non aveva detto nulla, a parte: “Prego, entrate.” Camminava come se le gambe stessero perdendo forza, come se nessun muscolo del suo corpo vedesse alcun motivo per andare avanti, ora che sua figlia non era più viva.
Era davvero quella l'unica parte del suo lavoro che Mackenzie detestava. Guardò Webber e vide che aveva uno sguardo solenne e quasi di rimpianto sul volto. Considerato come l'aveva visto finora lavorando insieme, non gli si addiceva.
Esmeralda li condusse in cucina. Lì, Mackenzie vide il marito seduto al tavolo. Davanti a lui c'erano un album di foto e una bottiglia di liquore. Il suo volto era un muro di pietra. Tutto il suo corpo sembrava racchiuso in una corazza di rabbia. L'ira era così densa che a Mackenzie sembrò di sentirla irradiare da lui come calore.
“Mio marito” disse Esmeralda, facendo un cenno passivo nella sua direzione. Non si preoccupò di dire il suo nome, quasi stesse semplicemente nominando un mobile a caso.
All'inizio lui non disse nulla, anche se si alzò in piedi quando gli agenti entrarono in cucina. Lasciò l'album fotografico sul tavolo, ma prese il liquore. Non disse nulla mentre si appoggiava al bancone della cucina.
“Tè?” disse Esmeralda. “Caffè?”
Mackenzie non ne voleva, ma si era già trovata in situazioni simili. Sapeva che dare qualcosa da fare a Esmeralda Torres sarebbe stata una benedizione per la poveretta. Qualsiasi cosa pur di tenersi occupata, pur di sentire di avere il controllo su qualcosa.
“Sappiamo che è incredibilmente dura” disse Webber, mentre si accomodavano sugli sgabelli del bancone. “Vi ringraziamo per averci ricevuti. Riteniamo che sia essenziale per arrivare a capire molte cose su questo caso.”
Esmeralda non disse nulla, occupandosi del tè. Nella cucina dei Torres non fu pronunciata una sola parola fino a quando il bollitore non fischiò sul fornello e la signora cominciò a versare il tè nelle tazze con le bustine.
Esmeralda porse loro le tazze di tè. Mackenzie sorseggiò subito il suo e lo trovò piuttosto forte. Era una specie di tè verde, se non sbagliava, anche se aveva sempre preferito il caffè al tè.
“Cosa possiamo fare per voi?” chiese infine Esmeralda.
“Stiamo essenzialmente cercando di scoprire se ci fosse qualche possibilità che Sophie avesse dei nemici” disse Mackenzie. “Odio usare un termine così drastico, ma alcuni dettagli sulla sua morte ci portano a pensare che possa essere collegata a un altro omicidio avvenuto di recente.”
“Nemici, no...” disse la signora Torres. “Ma ci sono state delle cose che...”
Lasciò la frase in sospeso, tenendo lo sguardo fisso sul pavimento e sforzandosi visibilmente di non mettersi a piangere. Il signor Torres, nel frattempo, fu più che felice di riprendere da dove la moglie aveva lasciato. E quando lo fece, la rabbia che Mackenzie aveva percepito prima in lui era altrettanto evidente nella sua voce.