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Tutte e tre le sparizioni sembravano essere accadute di notte, tra le 22 e le 3. A nove giorni dal primo rapimento, non c’era uno straccio di prova, zero indizi.
Come era solita fare, Mackenzie rilesse le informazioni più volte, memorizzandole. Non era difficile in quel caso, dato che non c’era molto da ricordare. Continuava a tornare alle foto delle campagne – le stradine di provincia che si snodavano attraverso le foreste come un serpente gigantesco.
Tentò anche di entrare nella mente di un killer che usava quelle strade e la notte come copertura. Doveva essere paziente. E dato che c’era buio, doveva essere abituato a stare da solo. L’oscurità non lo turbava. Forse addirittura preferiva lavorare al buio, non soltanto per la protezione che questo offriva, ma anche per il senso di solitudine e isolamento. Quel tizio era probabilmente una specie di solitario. Prelevava le vittime dalla strada, a quanto pareva in situazioni di difficoltà. Macchina guasta, gomme a terra. Questo significava che probabilmente non lo faceva per il gusto di uccidere. Voleva semplicemente le donne. Ma perché?
E la vittima più recente, Delores Manning? Forse un tempo viveva in quella zona. In caso contrario, doveva avere coraggio da vendere a percorrere quelle stradine sperdute di notte... Per quanto siano una bella scorciatoia, è abbastanza avventato.
Sperò che fosse così, che la donna fosse coraggiosa. Perché il coraggio, anche se improvvisato, spesso poteva aiutare le persone in situazioni di tensione. Non era solo un motivo di vanto, ma anche una caratteristica psicologica che aiutava le persone ad affrontare le cose. Cercò di immaginarsi Delores Manning, un’emergente scrittrice, percorrere quelle strade di notte. Coraggiosa o no, non era una bella scena.
Quando Mackenzie ebbe finito, restituì il fascicolo a Ellington, poi guardò fuori dal finestrino, dove bianchi ciuffi di nuvole vagavano alla deriva. Chiuse gli occhi solo per un momento e tornò là con la mente, non in Iowa, ma nel confinante Nebraska. Un luogo dove ricco di aperte campagne e boschi imponenti, non traffico congestionato e grattacieli. Non ne sentiva esattamente la mancanza, ma trovava il pensiero di ritornarci, anche se per lavoro, eccitante in un modo che non comprendeva appieno.
“White?”
Aprì gli occhi sentendo il suo nome. Si voltò verso Ellington, un po’ imbarazzata di essere stata sorpresa a vagare con la mente. “Eh?”
“Per un attimo sembravi persa. Stai bene?”
“Sì, sì” gli disse.
E la cosa strana era stava davvero bene. Le prime sei ore di quella giornata erano state fisicamente ed emotivamente estenuanti, ma adesso che era seduta, sospesa nell’aria con un improbabile partner temporaneo, si sentiva davvero bene.
“Posso chiederti una cosa?” disse Mackenzie.
“Spara.”
“Hai chiesto tu di lavorare con me a questo caso?”
Ellington non rispose subito. Mackenzie poteva quasi vedere gli ingranaggi in azione nel suo cervello, e si chiese perché mai avrebbe dovuto mentirle.
“Be’, ho sentito del caso e, come sai, ho delle conoscenze nella sede di Omaha. E dato che sono gli uffici più vicini all’Iowa, mi sono buttato. Quando mi hanno chiesto se per me fosse un problema lavorare con te, ho detto di no.”
Lei annuì, sentendosi quasi in colpa per essersi chiesta se avesse avuto altre ragioni per desiderare quell’incarico. Pur nutrendo dei sentimenti per lui (anche se non le era ancora chiaro se fosse solo attrazione fisica o qualcosa di più), Ellington non le aveva mai dato ragione di credere che li ricambiasse. Era fin troppo facile ricordare quando ci aveva provato con lui la prima volta che si erano conosciuti in Nebraska, per poi essere respinta.
Spero soltanto che se ne sia dimenticato, pensò. Adesso sono una persona diversa, lui è troppo impegnato per preoccuparsi di me e per di più lavoriamo insieme. Acqua passata.
“E tu che mi dici?” gli chiese. “Quali sono le tue prime impressioni?”
“Io credo che non abbia intenzione di uccidere quelle donne” disse Ellington. “Non ha lasciato indizi né provocazioni. Come te, credo che il colpevole sia qualcuno del posto. Forse le sta collezionando... per così dire. Anche se preferisco non sbilanciarmi sul perché. Ma se ho ragione c’è motivo di preoccuparsi.”
Mackenzie concordava in pieno con lui. Se là fuori c’era qualcuno che rapiva le donne, alla fine il posto in cui nasconderle sarebbe finito. Oppure avrebbe perso interesse... il che significava che avrebbe dovuto fermarsi, prima o poi. E anche se teoricamente era una cosa positiva, significava anche che la pista si sarebbe raffreddata senza fornire altre scene dove trovare eventuali indizi.
“Credo che tu abbia ragione a dire che le sta collezionando” disse. “Le avvicina quando sono vulnerabili – quando hanno problemi con l’auto o le gomme a terra. Vuol dire che si presenta a loro subdolamente, non direttamente. Probabilmente è timido.”
Lui sogghignò e disse. “Ah, questa è una buona osservazione.”
Il suo sorriso si allargò e lei dovette distogliere lo sguardo, sapendo la loro abitudine di fissarsi un po’ troppo a lungo. Così volse lo sguardo verso il cielo azzurro e le nuvole, mentre il Midwest si avvicinava rapidamente sotto di loro.
***
Con ben pochi bagagli al seguito, Mackenzie ed Ellington attraversarono l’aeroporto senza problemi di sorta. Durante la fase finale del volo, Ellington aveva informato Mackenzie che era già stato organizzato tutto (probabilmente mentre lei era impegnata a precipitarsi prima al suo appartamento, poi in aeroporto). Lei ed Ellington avrebbero incontrato due agenti del posto, con i quali avrebbero collaborato per chiudere il caso il prima possibile. Non dovendo fermarsi al nastro trasportatore per i bagagli, potevano incontrarli subito.
Si incontrarono in uno degli innumerevoli Starbucks dell’aeroporto. Mackenzie lasciò che fosse Ellington a fare strada, poiché era chiaro che McGrath vedesse lui come agente a capo del caso. Altrimenti perché lo avrebbe informato del luogo d’incontro con gli altri agenti? E perché Ellington era stato avvisato con largo anticipo, senza doversi scapicollare per non perdere il volo come invece era successo a lei?
Era difficile non notare i due agenti. Mackenzie sospirò mentalmente vedendo che erano entrambi uomini. Uno dei due però sembrava nuovo. Non poteva avere più di ventiquattro anni. Il partner invece sembrava più vecchio e temprato, probabilmente sulla cinquantina.
Ellington si diresse subito verso di loro, seguito da Mackenzie. Nessuno dei due agenti si alzò in piedi, ma quello più vecchio tese la mano a Ellington quando furono al tavolo.
“Agenti Heideman e Thorsson, presumo?” chiese Ellington.
“Lo ammetto” disse l’uomo più vecchio. “Io sono Thorsson, e questo è il mio partner, Heideman.”
“Piacere” disse Ellington. “Io sono l’agente speciale Ellington e questa è la mia partner, l’agente White.”
Tutti si strinsero la mano in un gesto che era divenuto quasi seccante per Mackenzie da quando era entrata nell’FBI. Era quasi una formalità, una cosa imbarazzante che andava fatta prima di potersi dedicare a questioni più urgenti. Notò che la stretta di Heideman era debole, la mano sudaticcia. Non pareva nervoso, ma forse era un po’ timido, oppure un introverso.
“Quanto siamo lontani dalle scene del crimine?” chiese Ellington.
“La più vicina si trova a un’ora di strada da qui” rispose Thorsson. “Le altre distano tutte dieci o quindici minuti tra loro.”
“Ci sono novità da stamattina?” chiese Mackenzie.
“Zero” fu la risposta di Thorsson. “È uno dei motivi per cui abbiamo richiesto il vostro aiuto. Il colpevole ha sequestrato tre donne finora, ma non siamo riusciti a ricavare uno straccio di prova. Le cose si sono fatte così serie che lo Stato sta pensando di installare delle videocamere lungo l’autostrada. Il problema è che non è fattibile sorvegliare più di centoventi chilometri di strada.”
“Cioè, tecnicamente sarebbe possibile” aggiunse Heideman. “Ma servirebbero tantissime telecamere e un bel po’ di soldi. Ecco perché la vedono solo come ultima spiaggia.”
“Possiamo recarci sulla prima scena adesso?” chiese Ellington.
“Certamente” disse Thorsson. “Prima volete prenotare un albergo?”
“No” disse Mackenzie. “Mettiamoci al lavoro per ora. Se davvero c’è così tanta strada da controllare come dite, non possiamo sprecare tempo.”
Mentre Thorsson e Heideman si alzavano, Ellington le rivolse uno strano sguardo. Non capiva se fosse colpito dal fatto che lei volesse raggiungere subito la prima scena del crimine o se trovasse divertente che non gli lasciasse il controllo completo. Quello che sperava non avesse intuito era che il pensiero di andare in albergo con Ellington le faceva provare troppe emozioni tutte insieme.
Uno dietro l’altro, uscirono dallo Starbucks. Mackenzie rimase colpita quando Ellington la aspettò per non farle chiudere la fila.
“Sapete” disse Thorsson guardandoli da dietro la spalla, “sono contento che vogliate andare là subito. Nell’aria c’è tensione per questa storia. Si capisce parlando con le forze dell’ordine locali, e sta iniziando a contagiare anche noi.”
“Come un cattivo presentimento?” suggerì Mackenzie.
Thorsson e Heideman si scambiarono uno sguardo inquieto, poi Thorsson abbassò leggermente le spalle e rispose: “Sì, come se non concluderemo niente. Non ho mai visto niente di simile. Non c’è una singola prova. Questo tizio è praticamente un fantasma.”
“Allora speriamo di esservi d’aiuto” disse Ellington.
“Lo spero” disse Thorsson. “Perché al momento quasi tutti quelli che lavorano al caso hanno la sensazione che non troveremo mai il colpevole.”
CAPITOLO TRE
Mackenzie si stupì quando vide che l’auto di servizio affidata a Thorsson e Heideman era una Suburban. Dopo il suo rottame di macchina e le auto a noleggio che aveva utilizzato negli ultimi mesi, le sembrava di viaggiare nel lusso, seduta sul sedile posteriore con Ellington. Tuttavia, quando un’ora e dieci minuti più tardi giunsero sulla prima scena, era quasi contenta di scendere. Non era abituata a lussi del genere e si sentiva un po’ a disagio.
Thorsson parcheggiò sul margine della Route 14, una strada secondaria a due corsie che si snodava tra le foreste dell’Iowa rurale. Gli alberi fiancheggiavano la carreggiata su entrambi i lati. Mentre percorrevano quella strada, Mackenzie aveva visto alcuni sentieri sterrati che sembravano dimenticati da tempo; l’accesso era bloccato da una catena sottile legata a due pali ai margini della strada. A parte quello, non c’era niente se non alberi.
Thorsson e Heideman li accompagnarono superando alcuni poliziotti del posto, che li salutarono frettolosamente quando passarono. Più avanti, davanti alle due auto della polizia parcheggiate, c’era una Subaru rossa. Tutte e due le gomme dal lato del guidatore erano completamente a terra.
“Come sono le forze dell’ordine di qui?” chiese Mackenzie.
“Esigue” disse Thorsson. “Il paese più vicino si chiama Bent Creek. La popolazione è di circa novecento abitanti. La polizia è composta da uno sceriffo – che è qui insieme agli altri due poliziotti – due vice e sette poliziotti. Si erano fatti avanti anche alcuni agenti di Des Moines, ma si sono ritirati quando siamo arrivati noi. Adesso è un problema dell’FBI.”
“In altre parole, sono contenti che siamo qui?” chiese Ellington.
“Oh, assolutamente” disse Thorsson.
Si avvicinarono all’auto e ci girarono intorno. Mackenzie si voltò verso i poliziotti. Solo uno di loro pareva interessato a quello che facevano gli agenti dell’FBI. A lei stava bene così. Ne aveva avuto abbastanza dei poliziotti di provincia che li intralciavano, rendendo le cose ancora più complicate di quanto già non fossero. Sarebbe stato bello affrontare un caso senza doversi preoccupare di ferire l’ego dei poliziotti locali.
“Le impronte digitali sono già state prelevate?” chiese Mackenzie.
“Sì, stamattina” disse Heideman. “Fate pure.”
Mackenzie aprì la portiera del passeggero. Una rapida occhiata le rivelò che, anche se le impronte erano state prelevate, nessun oggetto era stato raccolto ed etichettato come prova. Sul sedile del passeggero c’era ancora un cellulare e sul cruscotto un pacchetto di chewing gum era posato su fogli di carta ripiegati.
“Questa è l’auto della scrittrice, giusto?” chiese Mackenzie.
“Esatto” confermò Thorsson. “Delores Manning.”
Mackenzie continuò ad esaminare l’auto. Trovò gli occhiali da sole di Delores, una rubrica quasi vuota, alcune copie del libro La casa di latta abbandonate sul sedile posteriore e degli spiccioli sparsi qua e là. Nel bagagliaio c’era solo uno scatolone, che conteneva diciotto copie di un libro scritto da Delores Manning, intitolato Un amore ostacolato.
“Anche qui sono state cercate le impronte?” chiese Mackenzie.
“Non credo” disse Heideman. “È solo uno scatolone di libri, no?”
“Sì, ma ne mancano alcune copie.”
“Era appena stata alla presentazione del libro” disse Thorsson. “È molto probabile che le abbia vendute o regalate.”
Non valeva la pena discutere di quello, perciò lasciò perdere. Prese due dei libri e li sfogliò. Su entrambi c’era la firma dell’autrice sul frontespizio.
Rimise i libri nello scatolone e iniziò a studiare la strada. Camminò lungo il margine in cerca di rientranze dove potesse essere stato incastrato qualcosa per bucare gli pneumatici. Guardò Ellington e vide con piacere che era già all’opera. Da dove si trovava, riusciva a vedere i frammenti di vetro ancora conficcati nella gomma.
Più avanti, lungo la strada, c’erano altri vetri. I raggi del sole che riuscivano a filtrare attraverso gli alberi si riflettevano su di essi in un modo che era stranamente bello. Mackenzie si avvicinò, accovacciandosi per guardare meglio.
Era lampante che i vetri fossero stati messi lì intenzionalmente. Si concentravano vicino alla linea di mezzeria. I frammenti erano sparsi qua e là come sabbia, ma in quel punto erano ravvicinati, per assicurarsi che una macchina ci passasse proprio sopra. Sull’asfalto rimanevano alcuni frammenti più grossi; a quanto pareva, l’auto li aveva schivati, dato che non erano stati sbriciolati. Mackenzie ne prese uno in mano per esaminarlo.
A prima vista il vetro era scuro, ma quando lo osservò meglio, Mackenzie notò che era stato dipinto di nero. Per smorzare il riflesso dei fari, pensò. Qualcuno che guidava di notte avrebbe visto i vetri illuminati dai fanali... ma non se questi erano dipinti di nero.
Selezionò alcuni campioni e provò a grattarli con le unghie. Il vetro sottostante era di due colori diversi; per lo più trasparente, ma alcuni avevano una leggera sfumatura verde. Era troppo spesso perché si trattasse del vetro di una bottiglia. Sembrava piuttosto opera di un vasaio. In alcuni punti era spesso quasi quattro centimetri.
“Qualcun altro ha notato che il vetro è stato colorato con della vernice spray?” chiese.
Fermi sul ciglio della strada, i poliziotti si scambiarono sguardi confusi. Persino Thorsson e Heideman sembravano perplessi.
“Direi che la risposta è no” disse Thorsson.
“È stato raccolto qualche campione per le analisi?” proseguì Mackenzie.
“Raccolto, sì” disse Thorsson. “Ma non ancora analizzato. C’è già una squadra che se ne sta occupando. Dovremmo avere i risultati entro un paio d’ore. Immagino che ci confermeranno che è stato colorato.”
“E questo vetro non si trovava in nessuno degli altri luoghi, giusto?”
“Esattamente.”
Mackenzie si rialzò, continuando a fissare i vetri mentre cercava di stilare mentalmente un profilo della persona a cui dovevano dare la caccia.
Niente vetri sulle scene degli altri rapimenti, rifletté. Questo significa che l’attacco a questa donna era mirato. Perché? Forse negli altri due casi si è trattato solo di una coincidenza. Forse il sospettato si trovava nel posto giusto al momento giusto. E in quel caso, si trattava definitivamente di uno del posto – un criminale di provincia, non di città. Però era furbo e calcolatore. Non era uno che improvvisava.
Ellington la raggiunse per osservare lui stesso i vetri. Senza sollevare lo sguardo, le chiese: “Hai delle teorie?”
“Qualcuna.”
“Ad esempio?”
“È un uomo di provincia. Probabilmente uno del posto, come avevamo pensato. Credo anche che questo rapimento sia stato premeditato. Le ruote forate... l’ha fatto di proposito. Sulle altre scene non c’erano vetri in strada, li ha messi solo in questo caso. Questo mi porta a pensare che gli altri due sequestri siano stati casuali. Ha solo avuto fortuna. Stavolta invece... ci ha messo del suo.”
“Pensi che sarebbe utile parlare con la famiglia?” le chiese Ellington.
Mackenzie non capiva se la stesse mettendo alla prova, un po’ come aveva fatto Bryers, oppure se il suo fosse puro interesse per il suo metodo di approccio.
“Potrebbe essere la via più rapida per ottenere risposte” rispose. “Anche se non ci porta a niente, sarà un compito portato a termine.”
“Sembri un robot se parli così” commentò Ellington con un sorriso.
Ignorandolo, Mackenzie tornò alla macchina da dove Thorsson e Heideman li osservavano.
“Sappiamo dove vive Delores Manning?” chiese.
“Dunque, lei vive a Buffalo, nello Stato di New York” disse Thorsson. “Ma ha dei famigliari vicino a Sigourney.”
“Si trova qui in Iowa, giusto?”
“Proprio così” confermò Thorsson. “La madre vive a dieci minuti dal paese. Il padre è morto. La famiglia non è ancora stata informata della sua scomparsa. Per quanto ne sappiamo, è sparita da poco meno di ventisei ore. Anche se non possiamo saperlo con certezza, dobbiamo considerare anche l’ipotesi che abbia fatto una visita ai famigliari, dato che si trovava nelle vicinanze per la presentazione del suo libro a Cedar Rapids.”
“Credo che bisognerebbe informarli” disse Mackenzie.
“Sono d’accordo” fece Ellington, raggiungendoli.
“Be’, fate pure” ridacchiò Thorsson. “Sigourney è a circa un’ora e un quarto da qui. Vorremmo tanto venire con voi” aggiunse sarcastico, “ma questo non rientra nei nostri ordini.”
In quel momento, uno dei poliziotti si avvicinò. Il distintivo indicava che era lo sceriffo.
“Avete bisogno di noi qui?” chiese.
“No” disse Ellington. “Anche se forse potrebbe dirci il nome di un albergo decente da queste parti.”
“Ce n’è solo uno, a Bent Creek” disse lo sceriffo, “quindi è l’unico che posso suggerirvi.”
“Perfetto, allora seguiremo il suo consiglio. Se potesse anche raccomandarci un autonoleggio a Bent Creek...”
“Me ne occupo io” disse lo sceriffo, senza aggiungere altro.
Sentendosi un po’ disorientata, Mackenzie tornò alla Suburban e si accomodò sul sedile posteriore. Mentre gli altri tre agenti prendevano posto, Mackenzie iniziò a pensare alle stradine sterrate lungo la Route 14. Chi era il proprietario? Dove portavano quei sentieri?
Mentre si dirigevano a Bent Creek, quelle strade di campagna facevano sorgere in Mackenzie sempre più interrogativi... alcuni più urgenti di altri. Li tenne a mente mentre ripensava ai frammenti di vetro sulla strada. Cercò di immaginare qualcuno che li pitturava con l’intenzione di fermare una macchina.
Non era semplicemente un’azione deliberata. Richiedeva un’accurata premeditazione e una conoscenza del traffico notturno lungo la Route 14.
Il nostro uomo è pericolosamente furbo, pensò. È anche un pianificatore e sembra prendere di mira solo le donne.
Mentre stilava il profilo di quell’uomo, iniziò a provare una sensazione di urgenza... doveva agire in fretta. Quasi lo percepiva, nascosto lì vicino, tra quelle strade di campagna circondate da alberi, a rompere vetro e spruzzarlo di vernice nera.
Progettando di rapire la prossima vittima.
CAPITOLO QUATTRO
Delores Manning stava pensando alla madre quando aprì gli occhi. Sua madre viveva in uno schifoso parco per roulotte appena fuori Sigourney. La donna era molto orgogliosa e testarda. Delores aveva programmato di farle visita dopo la presentazione del libro a Cedar Rapids. Dato che aveva appena firmato un contratto per la stesura di tre libri con il suo attuale editore, Delores aveva preparato un assegno da 7.000 $, nella speranza che la madre lo accettasse e lo usasse saggiamente. Forse era snob da parte sua, ma Delores si vergognava che la madre vivesse di sussidi e che facesse la spesa con i buoni pasto. Le cose erano state così fin dalla morte del padre e...
Quei pensieri annebbiati svanirono quando i suoi occhi si abituarono al buio. Era seduta con la schiena premuta contro qualcosa di molto duro e quasi freddo al tocco. Lentamente cercò di mettersi in piedi, ma sbatté la testa contro una superficie identica a quella che sentiva contro la schiena.
Confusa, alzò un braccio e scoprì di non riuscire a distenderlo di molto. Mentre il panico la assaliva, si accorse che l’oscurità era tagliata da sottili lame di luce. Proprio davanti a lei c’erano tre rettangoli di luce. Capì subito la sua situazione.
Si trovava in una sorta di container... era piuttosto certa che fosse di ferro o un altro metallo. Non era più alto di un metro e venti e non le permetteva di stare dritta in piedi. Anche la larghezza e la profondità non superavano il metro e venti, facendone una specie di quadrato. Iniziò a sentire il fiato corto, assalita dalla claustrofobia.
Si schiacciò contro la parete frontale e inalò aria fresca attraverso le aperture rettangolari. Le fenditure erano alte quindici centimetri e larghe otto. Quando ispirò, sentì odore di terra e di qualcosa di dolce ma al tempo stesso sgradevole.
Da un punto lontano, così debole che sembrava provenire da un altro mondo, le sembrò di udire un suono. Era un macchinario? Oppure un animale? Sì, doveva essere un animale... anche se non aveva idea di quale. Maiali, forse?
Con il respiro tornato più regolare, arretrò di un passo, rimanendo accucciata, e sbirciò attraverso le aperture.
Dall’altra parte vide quello che sembrava l’interno di un fienile, o comunque una costruzione in legno. Circa sei metri più avanti, si vedeva una porta imbarcata da cui filtrava una luce torbida. Anche se non riusciva a distinguere granché, suppose di trovarsi in guai molto seri.
A supportare la sua intuizione, notò che la porta del fienile era sprangata. Si lasciò sfuggire un gemito e spinse la parete davanti del container, che non cedette di un millimetro; non emise nemmeno uno scricchiolio.
Si sentì nuovamente assalire dal panico, ma sapeva di dover ragionare e restare lucida. Tastò con le mani la porta del container. Sperava di trovare dei cardini, così avrebbe avuto qualcosa su cui lavorare. Non era molto forte, ma se ci fosse stata anche solo una vite incrinata o allentata...
Invece non c’era niente. Provò sulla parete alle sue spalle, non trovando nulla nemmeno lì.
In un gesto di assoluta impotenza, sferrò un calcio alla porta con tutta la forza che aveva. Quando nemmeno quello servì, arretrò per prendere la rincorsa e tentare di aprirla con una spallata. L’unico risultato fu che rimbalzò ricadendo all’indietro. Sbatté la testa e atterrò pesantemente sul sedere.
Sentiva un grido risalirle la gola, ma non sapeva se fosse la cosa migliore da fare. Si ricordava perfettamente dell’uomo del furgone e di come l’avesse assalita. Voleva davvero farlo tornare da lei?
No, non voleva. Pensa, si disse. Sfrutta la tua mente creativa per trovare il modo di andartene da qui.
Ma non riusciva a pensare a niente. Anche se era riuscita a soffocare il grido che minacciava di uscirle di bocca, non riuscì a trattenere le lacrime. Diede un calcio alla parete anteriore del container e si accasciò nell’angolo più nascosto. Pianse più piano che poté, cullandosi avanti e indietro, osservando le lame di luce polverosa che filtravano dalle fessure.
Per adesso, era tutto ciò a cui riusciva a pensare.
CAPITOLO CINQUE
Mackenzie non gradiva le decine di cliché stereotipati che le proponeva la sua mente quando lei ed Ellington si avvicinarono all’ingresso del Campo per Roulotte di Sigourney Oaks. Le case mobili erano tutte impolverate e sembravano reggersi in piedi per miracolo. Quasi tutte le auto parcheggiate erano uguali. Superarono un cortile rinsecchito dove due uomini sedevano a torso nudo su sedie da giardino. Una borsa frigo piena di birre stava in mezzo a loro, oltre a molte lattine vuote e accartocciate... ed erano solo le 16:35.











