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Poi si avventurarono più in profondità nella casa, giungendo a una stanza che ovviamente apparteneva a una teenager. Su una scrivania piena di penne e carta c’era un diario adornato di brillantini. Un ananas rosa di ceramica si trovava sul margine della scrivania, una cornice per foto con in cima un supporto per cavi conteneva la foto di due ragazzine che sorridevano ribelli alla macchina.
Kate aprì il diario. L’ultima entrata risaliva a otto giorni prima e si diceva di un ragazzo di nome Charlie che l’aveva baciata molto rapidamente mentre cambiavano classe a scuola. Esaminò qualche appunto precedente e trovò racconti simili: difficoltà per un compito in classe, il desiderio che Charlie le prestasse maggiore attenzione, il sogno che quella stronza di Kelsey Andrews finisse sotto a un treno.
Da nessuna parte nella stanza c’erano segnali di intento omicida. Controllarono la stanza da letto dei genitori lì accanto, e la trovarono ugualmente poco interessante. C’era qualche rivista per adulti nascosta nell’armadio, ma a parte quello i Fuller sembravano puliti in modo lampante.
Quando dopo venti minuti uscirono dalla casa, Barnes era ancora sul portico. Sedeva su una vecchia poltrona graffiata a fumare una sigaretta.
«Trovato qualcosa?» chiese.
«Niente» rispose DeMarco.
«Anche se mi chiedo una cosa» aggiunse Kate. «Lei o la polizia di stato avete per caso trovato un laptop o un cellulare in camera della figlia?»
«No. Ora, per quanto riguarda il laptop… non è una gran sorpresa. Magari l’avete visto dallo stato della casa, ma i Fuller non erano esattamente il tipo di famiglia che può permettersi un laptop per la figlia. Per il telefonino, il tabulato telefonico del cellulare dei Fuller mostra che Mercy Fuller un suo telefono ce l’aveva. Però nessuno è riuscito a tracciarlo, finora.»
«Magari è spento» disse DeMarco.
«Probabile» disse Barnes. «Però apparentemente – e questa per me è stata una novità – persino quando è spento un telefono può essere tracciato fino al posto in cui è stato spento… l’ultimo posto in cui era acceso. E quelli dello stato hanno visto che è stato acceso per l’ultima volta qui, nella casa. Però, come avete fatto notare voi, non si trova da nessuna parte.»
«Quanti uomini avete attivamente al lavoro sul caso?» chiese Kate.
«Al momento tre alla stazione, che fondamentalmente gestiscono gli interrogatori e indagano sugli ultimi acquisti fatti, gli ultimi luoghi noti in cui sono stati e roba del genere. C’è uno di quelli dello stato rimasto ad aiutare, anche se non ne è felicissimo.»
«E ha uno nel suo gruppo che considererebbe il capo oltre a sé?»
«Esatto. Come ho detto, sarebbe l’agente Foster. Quell’uomo ha una testa che è come una serratura.»
«Può portarci in stazione per una breve riunione?» chiese Kate. «Ma solo con lei e questo agente Foster. Usiamo discrezione.»
Barnes annuì tristemente alzandosi dalla poltrona e lanciò quel che restava della sigaretta in giardino. «Volete parlare di Mercy come sospettata senza far sì che troppe persone lo sappiano. Giusto?»
«Penso che sia sciocco escludere la cosa dalle possibilità senza esaminarla» disse Kate. «E mentre esaminiamo questa strada, sì, ha ragione. Meno persone lo sanno, meglio è.»
«Faccio quella telefonata a Foster mentre andiamo in stazione.»
Scese i gradini, fissando la giornalista e il suo cameraman, e Kate si chiese se avesse avuto almeno un brutto alterco con quelli dei notiziari negli ultimi due giorni.
Mentre lei e DeMarco montavano nella loro auto, anche lei rivolse ai giornalisti un’occhiata diffidente. Sapeva che nelle comunità come Deton un assassinio come quello poteva essere un terremoto. E, per questo, sapeva che i giornalisti in quelle zone di solito non si fermavano davanti a niente per avere la loro storia.
Kate si chiese se magari lì non ci fosse più di una storia a cui stava guardando – e, nel caso, che cosa avrebbe dovuto fare per radunarne tutti i pezzi.
CAPITOLO TRE
La stazione di polizia di Deton era più o meno quello che Kate si aspettava. Era nascosta in fondo al tratto principale dello stradone, un semplice edificio di mattoni con una bandiera americana a ondeggiare in cima. Qualche auto di pattuglia se ne stava parcheggiata lungo il fianco, il quantitativo magro un riflesso della cittadina stessa.
All’interno, un’ampia area destinata agli uffici prendeva la maggior parte dello spazio. Una grande scrivania si trovava in fondo, incustodita. A dire il vero il posto sembrava fondamentalmente deserto. Seguirono Barnes fin sul retro dell’edificio, giù per uno stretto corridoio che vantava solo cinque stanze, una delle quali era contrassegnata da una targhetta sulla porta che diceva Sceriffo Barnes. Barnes le condusse all’ultima stanza del corridoio, una stanza piccolissima allestita come una specie di sala conferenze. All’interno un agente sedeva al tavolo, a rovistare tra una piccola catasta di documenti.
«Agenti, lui è l’agente Foster» disse Barnes.
L’agente Foster era un uomo giovane, probabilmente vicino ai trent’anni di età. Aveva i capelli tagliati a spazzola e un cipiglio in volto. Kate capì che era un agente pragmatico. Non se ne sarebbe uscito con qualche battuta per alleggerire la tensione e probabilmente non si sarebbe disturbato a chiacchierare in leggerezza per conoscere le agenti che gli erano sedute davanti.
Kate decise che le piacque subito.
«L’agente Foster fondamentalmente ha servito da centro nevralgico di questo caso fin da quando abbiamo ricevuto la telefonata del pastore Poulson» spiegò Barnes. «Qualsiasi informazione giunta qui è passata dalle sue orecchie o sotto i suoi occhi, e lui l’ha aggiunta ai dossier del caso. Qualsiasi domanda abbiate, probabilmente lui sa rispondere.»
«Lodi nobili» disse Foster «ma sicuramente posso fare del mio meglio.»
«Be’, che informazioni abbiamo riguardo a quelli con cui tutti e tre i Fuller hanno parlato – a parte l’uno con l’altro – prima degli omicidi?» chiese Kate.
«Alvin Fuller ha parlato con un vecchio amico della scuola superiore uscendo da Citgo fuori dalla Highway 44» disse Foster. «Stava tornando a casa dal lavoro, si è fermato a prendere una confezione da sei di birra e si sono incrociati. L’amico dice che hanno semplicemente chiacchierato di famiglia e lavoro. Roba di livello molto superficiale, giusto per fare gli educati. L’amico ha detto che Alvin non sembrava assolutamente strano.
«Per quanto riguarda Wendy Fuller, l’ultima persona che le ha parlato oltre alla famiglia è stato un collega. Wendy lavorava in un piccolo magazzino spedizioni appena fuori città. Il collega in questione ha detto che l’ultima cosa di cui hanno parlato è stato il fatto che Wendy temeva che Mercy stesse cominciando a mostrare molto interesse per i ragazzi. Mercy apparentemente di recente ha dato il suo primo bacio, e Wendy aveva paura di quel che la cosa poteva significare. Però, a parte questo, le cose sembrava più o meno le stesse.»
«E Mercy?» chiese DeMarco.
«L’ultima persona con cui ha parlato è stata la sua migliore amica, una ragazza del posto di nome Anne Pettus. Abbiamo parlato con Anne due volte, solo per assicurarci che raccontasse la stessa storia. Ha detto che l’ultima conversazione che hanno avuto è stata a proposito di un ragazzo di nome Charlie. Stando ad Anne, questo Charlie non era il ragazzo di Mercy. Anne ci ha detto anche una cosa che in qualche modo cozza con quel che i genitori potrebbero aver saputo di lei.»
«Una bugia?» chiese Kate.
«Sì. Stando al collega di Wendy, hanno parlato di questo ipotetico primo bacio. Però, stando ad Anne Pettus, non è vero. Apparentemente Mercy ha dato il suo primo bacio molto tempo fa.»
«Era promiscua?»
«Anne non direbbe così. Ha detto solo che sapeva per certo che Mercy aveva fatto molto più che baciare un ragazzo.»
«Riguardo alla sua scomparsa, a questo punto le prove dove portano?» chiese Kate. «Che è stata rapita o che se n’è andata di sua volontà?»
«A meno che voi due non scopriate qualcosa di nuovo nella casa, non c’è prova a suggerire che Mercy sia stata portata via contro la sua volontà. Come minimo abbiamo piccole prove circostanziali che suggeriscono che potrebbe essersene andata da sola.»
«Che tipo di prove?»
«Stando ad Anne, Mercy aveva una piccola quantità di risparmi in contanti. Sapeva anche dove li teneva: sul fondo del cassetto dei calzini. Abbiamo controllato, e c’erano circa trecento dollari nascosti lì. Questo in realtà va contro l’idea che se ne sia andata da sola, perché si sarebbe portata dietro i soldi, no? Comunque l’ultima voce della carta di credito di Mercy è stato un pieno di benzina. L’ha fatto circa due o tre ore prima che venissero scoperti i corpi dei genitori. Prima di quello, due giorni prima, ha acquistato qualche cosmetico da viaggio a un Target di Harrisonburg: spazzolino, dentifricio, deodorante. Abbiamo questa roba nella storia della sua carta di credito, così come conferma di Anne Pettus, che quel giorno è andata a fare shopping con lei.»
«Per caso ha chiesto a Mercy perché le servivano dei cosmetici da viaggio?» chiese Kate.
«Sì. Mercy ha detto che a casa stava finendo quelle cose e che odiava sentirsi una bambina e chiedere ai suoi di comprargliele.»
«E nessun fidanzato di cui si sappia?» chiese Kate.
«Non secondo Anne. E pare sapere praticamente tutto di Mercy.»
«Mi piacerebbe parlare con Anne» disse Kate. «Pensa che sarebbe aperta alla cosa o che verremmo rifiutate?»
«Sarebbe apertissima» disse Foster.
«Ha ragione lui» aggiunse Barnes. «Ci ha persino chiamati qualche volta tra gli interrogatori per vedere se avevano qualche nuova informazione. È stata molto utile. Perciò chiedete ai suoi che ci lascino parlare con lei. Se volete posso chiamare io e organizzare qualcosa.»
«Sarebbe fantastico» disse Kate.
«È una ragazza forte» disse Foster. «Però, che resti tra me e voi… penso che potrebbe nascondere qualcosa. Forse niente di grosso. Penso che voglia solo assicurarsi di non confidare niente di male sulla migliore amica scomparsa.»
Comprensibile, pensò Kate.
Però sapeva anche che il fatto che loro fossero migliori amiche sarebbe stata una ragione più che sufficiente a nascondere qualcosa.
***
I genitori di Anne comprensibilmente le avevano permesso di restare a casa da scuola. Quando Kate e DeMarco arrivarono alla residenza dei Pettus – situata in fondo a una strada molto simile a quella in cui avevano vissuto i Fuller – i genitori erano in piedi al portone, in attesa. Kate li vide entrambi attraverso la zanzariera di vetro già parcheggiando l’auto nel vialetto a U.
Il signore e la signora Pettus uscirono sul portico per andare incontro alle agenti. Il padre teneva le braccia incrociate, uno sguardo triste in viso. La madre sembrava stanca, gli occhi iniettati di sangue e la postura accasciata.
Dopo un rapido giro di presentazioni, il signore e la signora Pettus andarono subito al punto. Non erano né maleducati né insistenti, ma semplicemente dei genitori preoccupati che non avevano intenzione di far passare alla figlia brutti momenti non necessari.
«Pare migliorare ogni volta che ne parla» disse la signora Pettus. «Penso che, a mano a mano che passerà altro tempo, comincerà a capire che la sua migliore amica non è necessariamente morta. Penso che più l’idea che possa semplicemente essere scomparsa farà presa, più vorrà essere d’aiuto.»
«Detto ciò» aggiunse il signor Pettus «apprezzerei enormemente che foste brevi con le domande e il più speranzose possibili. Non fate errori… non interferiremo mentre le ponete le domande, ma se sentiamo qualcosa che pare turbarla, il tempo a vostra disposizione con nostra figlia termina lì.»
«Più che giusto» disse Kate. «E avete la mia parola che ci muoveremo con cautela.»
Il signor Pettus annuì e finalmente aprì loro la porta. Quando entrarono, Kate vide Anne Pettus subito. Sedeva sul divano con le mani strette tra le ginocchia. Come la madre, sembrava stanca e distrutta. Poi a Kate venne in mente che le teenager tendevano a legare parecchio con le loro migliori amiche. Era incapace di immaginare il tipo di emozioni che quella ragazzina stava probabilmente attraversando.
«Anne» disse la signora Pettus. «Queste sono le agenti che ti abbiamo detto che stavano arrivando. Ti va ancora di parlarci?»
«Sì, mamma. Sto bene.»
Entrambi i genitori fecero un piccolo cenno a Kate e DeMarco mentre si sedevano ai due lati della figlia. Kate si accorse che Anne non cominciò a sembrare davvero a disagio fino a quando i suoi non la fiancheggiarono.
«Anne» disse Kate «faremo presto. Ci hanno aggiornate su tutto quello che hai già detto alla polizia, quindi non ti chiederemo di ripetere di nuovo tutte quelle cose. Be’, con una sola eccezione. Mi piacerebbe sapere dello shopping che tu e Mercy avete fatto a Harrisonburg. Mercy ha comprato molti articoli da viaggio, giusto?»
«Sì. Ho pensato che fosse strano. Lei ha detto solo che a casa quella roba la stava finendo. Dentifricio, un piccolo spazzolino, deodorante, cose così. Ho chiesto perché le acquistasse lei e non i suoi ma lei praticamente ha ignorato la domanda.»
«Hai la sensazione che a casa fosse felice?»
«Sì. Però, cioè… ha quindici anni. Vuole bene ai suoi però odia questo posto. Parlava di trasferirsi lontano da Deton fin da quando avevamo dieci anni.»
«Qualche idea del perché?» chiese DeMarco.
«È noiosa» disse Anne. Guardò i genitori con aria di scusa. «Cioè, io sono appena più grande di Mercy; ho sedici anni e ho la patente e io e lei a volte andiamo di qua e di là. A fare shopping. Al cinema. Ma bisogna guidare tipo un’ora per fare qualsiasi cosa. Deton è morta.»
«Sai dove voleva trasferirsi?»
«A Palm Springs» disse Anne con una risata. «Aveva visto un programma in cui la gente faceva festa a Palm Springs e pensava che fosse una cosa carina.»
«Aveva messo gli occhi su un college in particolare?»
«Non credo. Cioè, a quella cosa che ci hanno preparato a scuola si è studiata bene il materiale dell’università della Virginia e della Wake Forest. Però… be’, non so.»
«Puoi dirci qualcosa di Charlie?» chiese Kate. «Abbiamo visto il suo nome sul suo diario e sappiamo che erano almeno abbastanza intimi da darsi qualche bacio veloce tra una lezione e l’altra. Però la polizia ci ha detto che tu hai detto che Mercy non aveva un ragazzo.»
«Non ce l’aveva.»
Kate si accorse subito che il tono di Anne era calato un pochino al commento. Anche la sua postura sembrò farsi un po’ rigida. Apparentemente quello era un argomento delicato. Però, dato che aveva solo sedici anni e i suoi genitori erano entrambi seduti accanto a lei, Kate sapeva di non poter accusare direttamente la ragazza di mentire. Avrebbe dovuto tentare un altro approccio. Magari c’erano degli oscuri segreti riguardanti l’amica a cui semplicemente non voleva dar voce.
«Quindi lei e Charlie sono solo amici?» chiese Kate.
«Tipo. Cioè, penso che magari si piacessero però non volessero uscire insieme. Presente?»
«Lei e Charlie hanno mai fatto altro oltre a baciarsi, che tu sappia?»
«Se l’hanno fatto, Mercy non me l’ha mai detto. E lei mi dice tutto.»
«Sai se c’erano dei segreti che teneva nascosti ai suoi genitori?»
Kate si accorse di nuovo di un certo malessere sul viso di Anne. Fu breve e a malapena visibile, ma Kate lo riconobbe da innumerevoli casi del passato – in particolare quelli con degli adolescenti coinvolti. Un rapido guizzo degli occhi, uno spostamento imbarazzato sul posto, sia che rispondessero subito senza pensare a quello che stavano dicendo sia che si prendessero troppo tempo per uscirsene con una risposta.
«Ripeto, se ce li aveva non me l’ha mai detto.»
«E un lavoro?» chiese Kate. «Mercy lavorava da qualche parte?»
«Ultimamente no. Ha lavorato una decina di ore a settimana come tutor per i ragazzini delle medie qualche mese fa. Algebra, penso. Ma hanno chiuso la cosa perché non c’erano abbastanza ragazzini interessati a farsi aiutare.»
«Le piaceva?» chiese DeMarco.
«Immagino di sì.»
«Nessuna storia dell’orrore del periodo in cui ha fatto da tutor?»
«Nessuna che mi abbia raccontato.»
«Però tu sei sicura che Mercy ti raccontasse tutto della sua vita, giusto?» chiese DeMarco.
Anne parve leggermente a disagio alla domanda. Kate si chiese se forse non fosse la prima volta che veniva interrogata in modo così aggressivo – in cui venivano messe in discussione cose che lei aveva presentato come verità.
«Penso di sì» disse Anne. “Eravamo… siamo migliori amiche. E dico siamo perché è ancora viva. Lo so. Perché se è morta…»
Il commento aleggiò nell’aria per un attimo. Kate riuscì a vedere che l’emozione sul volto di Anne era reale. Sulla base della sua espressione, sapeva che la ragazza si sarebbe messa a piangere presto. E, se si fosse giunti a quello, Kate era sicura che i genitori avrebbero chiesto loro di andare via. Voleva dire che probabilmente non avevano molto tempo – e ciò voleva dire che Kate avrebbe dovuto fare un po’ la prepotente se voleva ottenere qualche risposta.
«Anne, vogliamo arrivare in fondo alla cosa. E, come te, stiamo lavorando presumendo che Mercy sia ancora viva. Però, se posso essere sincera con te, nei casi di persone scomparse il nemico è il tempo. Più tempo passa, minori diventano le probabilità che abbiamo di trovarla. Quindi per favore… se c’è qualcosa che magari sei stata riluttante a dire alle autorità locali di Deton, è importante che lo dici a noi. Lo so che in una città così piccola ti preoccupi di quello che penseranno gli altri e…»
«Penso che basti così» disse il signor Pettus. Si mise in piedi e andò verso la porta. «Non mi piace che insinui che nostra figlia stia nascondendo qualcosa. E basta guardarla per capire che sta cominciando a turbarsi.»
«Signor Pettus» disse DeMarco. «Se Anne…»
«Siamo stati più che giusti a permetterle di parlare con le autorità, ma qui abbiamo finito. Ora, per favore… andatevene.»
Kate e DeMarco si scambiarono un’occhiata abbattuta mentre si alzavano. Kate fece circa tre passi verso la porta prima di essere fermata dalla voce di Anne.
«No… aspettate.»
Tutti e quattro gli adulti presenti nella stanza si voltarono verso Anne. Aveva le lacrime che le rotolavano giù per le guance e una specie di severa consapevolezza negli occhi. Guardò i genitori per un attimo e poi rapidamente distolse lo sguardo, come vergognandosi.
«Che c’è?» chiese la signora Pettus alla figlia.
«Mercy ce l’ha un ragazzo. Una specie. Però non è Charlie. È un altro tipo… e non l’ha mai detto a nessuno perché se i suoi l’avessero scoperto avrebbero dato di matto.»
«Chi è?» chiese Kate.
«È un tipo di fuori, vicino a Deerfield. È più grande… diciassette anni.»
«E uscivano insieme?» chiese DeMarco.
«Non credo che uscissero. Si vedevano, tipo. Ma quando si vedevano penso… be’, penso che fosse una cosa solo fisica. A Mercy la cosa piaceva perché c’era questo ragazzo più grande che le prestava attenzione, presente?»
«E perché i suoi non approverebbero?» chiese Kate.
«Be’, per cominciare l’età. Mercy ha quindici anni e quello quasi diciotto. Ma lui è uno problematico. Ha mollato le superiori, se ne va in giro con tipacci.»
«Sai se la relazione era sessuale?» chiese Kate.
«Non me l’ha mai detto. Però penso che potrebbe anche essere, perché quando scherzavo e la prendevo in giro sulla cosa lei non diceva mai una parola.»
«Anne» disse il signor Pettus. «Perché non l’hai detto alla polizia?»
«Perché non voglio che la gente pensi male di Mercy. È… è la mia migliore amica. È carina e gentile e… questo tipo è uno scarto umano. Non capisco perché le piacesse.»
«Come si chiama?» chiese Kate.
«Jeremy Branch.»
«Hai detto che ha mollato la scuola. Sai che lavoro fa?»
«Niente, credo. Si occupa degli alberi qua e là, tipo taglia i rami e aiuta quelli del trasporto legname. Ma stando a Mercy se ne sta a casa di suo fratello maggiore a bere per la maggior parte della giornata. E non lo so per certo, ma penso che venda droga.»
A Kate quasi dispiacque per Anne. Lo sguardo che avevano i suoi chiariva bene che avrebbe ricevuto una bella strigliata quando Kate e DeMarco se ne fossero andate. Sapendo questo, Kate andò da Anne a sedersi al posto che fino a solo un minuto prima aveva occupato suo padre.
«Lo so che è stato difficile per te» disse Kate. «Ma hai fatto la cosa giusta. Ci hai dato una pista e adesso forse possiamo arrivare in fondo alle cose. Grazie, Anne.»
Con ciò, rivolse un cenno educato ai genitori di Anne e se ne andò. Sulla strada per l’auto, DeMarco estrasse il telefono. «Sai dov’è Deerfield?» chiese.
«Una ventina di minuti nel bosco» disse Kate. «Se pensavi che Deton fosse piccola, non hai ancora visto niente.»
«Chiamo lo sceriffo Barnes per vedere se riusciamo ad avere un indirizzo.»
Stava facendo proprio così mentre rimontavano in macchina. Kate sentì un’improvvisa energia inondarla. Avevano una pista, il coinvolgimento del dipartimento di polizia locale, e la maggior parte della giornata ancora davanti a loro. Mentre usciva dal vialetto dei Pettus, non poté evitare di provare un po’ di speranza.
CAPITOLO QUATTRO
Anche se DeMarco aveva avuto da Barnes un indirizzo chiarissimo, Kate non poteva evitare di chiedersi se Barnes non si fosse sbagliato o se nella comunicazione non fosse andato perso qualcosa. Vide l’indirizzo cinque minuti dopo aver superato i confini della città di Deerfield, dipinto sul lato di una sudicia cassetta della posta in lettere nere. Però, come quasi tutto il resto a Deerfield, Virginia, tutto eccetto la cassetta era campo aperto e foresta.
A grossomodo sessanta centimetri dalla cassetta, vide le linee abbozzate di quello che presunse essere un vialetto. L’erbaccia era germogliata lungo il margine, nascondendo la maggior parte dell’ingresso. Svoltò nel vialetto e si ritrovò in una stretta strada sterrata che portava a uno spazio più ampio molti metri in avanti. Immaginava di avere di fronte un grande giardino anteriore che semplicemente non vedeva un tosaerba da moltissimo tempo. C’erano tre macchine, due delle quali sembravano totalmente in rovina, parcheggiate nel giardino. Erano posizionate lungo una striscia di terra che fungeva da fine del vialetto.
A qualche metro di distanza dalle auto, imboscata non troppo lontano dalla riga di alberi dell’estesa foresta che c’era oltre, si trovava una roulotte doppia. Era del genere decorato all’esterno in modo molto simile a una casa e, se fosse stato curato come si doveva, sarebbe stato un posticino proprio carino. Ma il portico anteriore sembrava leggermente obliquo, dato che una delle ringhiere era caduta completamente. C’era anche una grondaia allentata sulla facciata destra della struttura e, ovviamente, l’esagerata erba selvaggia del giardino.
Kate e DeMarco parcheggiarono dietro alle inutili auto e lentamente andarono alla casa. L’erba, per lo più infestante, arrivava alle ginocchia di Kate.
«Mi sembra di essere a un assurdo safari» disse DeMarco. «Un machete ce l’hai?»
Kate si limitò a ridacchiare, gli occhi sulla porta principale. Gli stereotipi e le informazioni di Anne Pettus le davano la sensazione di sapere già che cosa avrebbero trovato all’interno: Jeremy Branch e suo fratello maggiore seduti lì a non fare niente. Il posto probabilmente avrebbe odorato di polvere e tenue spazzatura, forse anche di marijuana. Ci sarebbero state bottiglie di birra sparpagliate su mobili da poco, tutti orientati verso un impianto televisivo relativamente buono. Aveva visto allestimenti così innumerevoli volte in passato, in particolare quando si trattava di giovani parassiti che vivevano in zone di campagna.
Salirono sul portico e Kate bussò alla porta. Riusciva a udire il brusio della musica venire da dentro, qualcosa di potente ma a basso volume. Udì anche dei passi pesanti avvicinarsi alla porta. Quando questa molti secondi dopo si aprì, fu accolta da un uomo dall’aria giovane vestito con una canotta e un paio di pantaloncini cachi. Una barbetta di giornata gli incorniciava il viso. Aveva l’intero braccio sinistro coperto da tatuaggi e piercing su entrambe le orecchie.