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Ma, a differenza di tutte quelle altre città, Parigi anche unica. Le sue strade erano più ampie, gli edifici erano più bassi, ed erano più belli dal punto di vista architettonico. La città sembrava più vecchia, più splendida, più bella. Era anche meno affollata: più lei si allontanava da Notre Dame, meno persone vedeva. Forse era così perché era tardi, ma le strade sembravano quasi vuote.
Lei camminò e camminò, e aveva gambe e piedi stanchi, cercando in ogni angolo qualsiasi segno di Caleb, qualsiasi indizio che potesse condurla in una direzione speciale. Non c'era niente.
Ogni venti isolati circa, il quartiere cambiava, e anche la sensazione cambiava. Mentre continuava a camminare, diretta sempre più a nord, si ritrovò a salire una collina, in un nuovo distretto, costituito da vicoli stretti e diversi bar. Mentre passava davanti ad un bar d'angolo, vide un uomo sdraiato per terra, ubriaco e privo di conoscenza, appoggiato contro il muro. La strada era deserta e, per un momento, Caitlin sentì una fame feroce prendere il sopravvento. Le sembrava che lo stomaco si spezzasse in due.
Osservò l'uomo giacere lì e si concentrò sul suo collo: vide il sangue che gli pulsava all'interno. In quel momento, desiderava più di ogni altra cosa saltargli addosso e nutrirsi. Quella sensazione non era un impulso —era più un comando. Il suo corpo le urlava di farlo.
Con le poche forze che le erano rimaste, Caitlin scelse di distogliere lo sguardo. Sarebbe morta di fame, piuttosto che fare del male ad un altro umano.
Si guardò intorno e si chiese se ci fosse una foresta nelle vicinanze, un posto in cui potesse cacciare. Mentre camminava, ogni tanto aveva notato qualche strada sterrata e dei parchi nella città, ma non aveva visto nulla di simile ad una foresta.
E, proprio in quell'istante, la porta del bar si spalancò, e un uomo uscì fuori o, per meglio dire, fu scaraventato all'esterno da uno dei buttafuori. Li maledisse e urlò contro di loro, chiaramente ubriaco.
Poi si voltò e guardò Caitlin.
Era robuto e lo sguardo diretto verso di lei denotava chiaramente cattive intenzioni.
Caitlin si irrigidì, chiedendosi di nuovo, disperatamente, se qualcuno dei suoi poteri si sarebbe manifestato.
Si voltò e fece per allontanarsi, camminando con passo svelto, ma sentì l'uomo seguirla.
Un solo istante e, prima di riuscire a voltarsi, si ritrovò stretta in un forte abbraccio. L'uomo era più veloce e più forte di quanto avesse immaginato e poteva sentire il fetore del suo alito sulla sua spalla.
Ma era anche ubriaco. Barcollò, nonostante la tenesse, e Caitlin si concentrò, richiamando alla mente quello che aveva imparato, poi si mosse lateralmente e se lo scrollò di dosso, facendo ricorso a una delle tecniche di combattimento che Aiden le aveva insegnato a Pollepel. L'uomo volò in aria, atterrando sulla schiena.
Caitlin ebbe improvvisamente un flashback di Roma, del Colosseo, di quando aveva combattuto nell'arena dello stadio, sfidata da numerosi combattenti. Fu così vivido che, per un istante, si paralizzò, dimenticandosi di dove si trovava.
Si riprese giusto in tempo. L'uomo ubriaco si alzò e, barcollando, la caricò di nuovo. Caitlin attese fino all'ultimo secondo, per poi schivarlo, e lui volò in aria, cadendo proprio sulla sua stessa faccia.
Caitlin profittò dello stupore dell'uomo e, prima che questi si rialzasse, si affrettò ad allontanarsi. Era contenta di essersela cavata bene ma quell'incidente l'aveva scossa. La preoccupava il fatto di vivere ancora dei flashback legati a Roma. E non aveva nemmeno sentito la sua forza soprannaturale. Si sentiva ancora fragile come un'umana. Quel pensiero, più di ogni altra cosa, la spaventava. Era davvero sola ora.
Dopo aver seminato l'aggressore, Caitlin iniziò a guardarsi intorno e a chiedersi dove sarebbe andata, che cosa avrebbe fatto. Le gambe le dolevano, tanto aveva camminato, e cominciò a provare un senso di disperazione.
Poi, d'improvviso, la vide. Guardò verso l'alto e di fronte a lei c'era un'enorme collina. Sulla cima, si ergeva una grande abbazia medievale. Per qualche ragione che lei non riusciva a comprendere, si sentì attirata da essa. La collina appariva spaventosa, ma non aveva altra scelta.
Caitlin salì l'intera collina, più stanca di quanto non fosse mai stata, e desiderò di poter volare.
Alla fine, raggiunse le porte anteriori dell'abbazia, costruite in solida quercia. Quel luogo sembrava antico. Si meravigliò del fatto che, sebbene fosse il 1789, quella chiesa dovesse trovarsi lì da quelli che sembravano essere migliaia di anni.
Non sapeva perché, ma quel luogo l'attirava. Non vedeva un altro posto dove andare; pertanto si fece coraggio e bussò leggermente alla porta.
Non ci fu alcuna risposta.
Caitlin provò a girare la maniglia e fu sorpresa di trovare la porta aperta. Entrò.
L'antica porta si apì lentamente, e occorse un istante per far sì che gli occhi di Caitlin si abituassero al buio dell'interno della chiesa. Quando la vista glielo consentì, si guardò intorno e rimase stupita dalla grandiosità e dalla solennità del luogo. Era ancora notte fonda e questa semplice ed austera chiesa, fatta interamente di pietra ed adornata da vetrate colorate, era illuminata da grandi candele posizionate un po' ovunque: alcune sembravano appena accese, altre erano quasi spente. In fondo alla navata c'era un semplice altare, intorno al quale erano piazzate altre dozzine di candele.
Per il resto, appariva vuota.
Per un istante, Caitlin si chiese che cosa ci facesse lì dentro. C'era un motivo particolare? O la mente le stava giocando un brutto scherzo?
Improvvisamente, una porta laterale si aprì e Caitlin trasalì.
Fu molto sorpresa di vedere una suora —bassa, fragile, che indossava delle vesti bianche fluttuanti, con un cappuccio bianco – dirigersi verso di lei. La donna camminava lentamente, e non vi erano dubbi sul fatto che la volesse avvicinare.
Si liberò il volto dal cappuccio, guardò verso di lei e sorrise. Aveva dei grandi e luminosi occhi blu, e sembrava fin troppo giovane per essere una suora. Caitlin sentì il calore che proveniva da lei. E comprese anche che era una della sua specie: una vampira.
“Sorella Paine,” la suora disse dolcemente. “E' un onore averti qui.”
CAPITOLO DUE
Il mondo appariva surreale a Caitlin, mentre la suora la guidava dentro l'abbazia, per un lungo corridoio. Era un posto splendido e chiaramente affollato, con le suore nelle loro vesti bianche che camminavano, preparandosi, sembrava, per i servizi mattutini. Una di loro muoveva una sorta di caraffa mentre camminava, diffondendo intorno il delicato aroma dell'incenso, mentre le altre recitavano dolcemente le preghiere del mattino.
Dopo svariati minuti trascorsi a camminare in silenzio, Caitlin cominciò a chiedersi dove la suora la stesse portando. Finalmente, si fermarono davanti ad una piccola porta. La suora la aprì, svelando una piccola umile stanza, con una vista mozzafiato su Parigi. Caitlin ricordò la stanza in cui era stata, all'interno del chiostro a Siena.
“Sul letto, troverai degli abiti puliti,” la suora disse. “C'è un pozzo in cui potrai lavarti, nel nostro cortile,” disse. Poi mosse l'indice, aggiungendo: “ed è per te.”
Caitlin seguì il dito e vide un piccolo piedistallo in pietra nell'angolo della stanza, su cui c'era un calice in argento, colmo di un liquido bianco. La suora le sorrise.
“Hai tutto ciò che ti occorre per una fresca notte di sonno. Dopo, la scelta spetta a te.”
“Scelta?” Caitlin chiese.
“Mi è stato riferito che possiedi già una chiave. Avrei bisogno di trovare le altre tre. In ogni caso la scelta di portare a compimento la tua missione e continuare il viaggio spetta sempre a te.”
“Questo è per te.”
Lei si protese in avanti e diede a Caitlin un cofanetto cilindrico d'argento, ricoperto di pietre preziose.
“E' una lettera di tuo padre. Proprio per te. L'abbiamo custodita per secoli. Non è mai stata aperta.”
Caitlin la prese con stupore, percependone il peso nella sua mano.
“Io spero che continuerai con la tua missione,” lei disse dolcemente. “Abbiamo bisogno di te, Caitlin.”
Improvvisamente la suora si voltò per andarsene via.
“Aspetta!” Caitlin gridò.
La religiosa si fermò.
“Mi trovo a Parigi, è corretto? Nel 1789?”
La donna le sorrise. “E' corretto.”
“Ma perché? Perché sono qui? Perché adesso? Perché in questo luogo?”
“Temo che dovrai scoprirlo da sola. Sono soltanto una semplice serva.”
“Ma perché sono stata condotta in questa chiesa?”
“Ti trovi nell'Abbazia di San Pietro. A Montmartre,” la donna disse. “Si trova qui da migliaia di anni. E' un luogo molto sacro.”
“Perché?” Caitlin chiese ancora.
“Questo era il luogo in cui tutti s'incontravano per prendere i voti per la fondazione della Compagnia di Gesù. E' proprio qui che è nata la cristianità.”
Caitlin stette a guardare, senza parole, e infine la suora sorrise dicendo: “Benvenuta”.
E con ciò, si inchinò lievemente e si allontanò, chiudendo gentilmente la porta dietro di sé.
Caitlin si voltò e scrutò attentamente la stanza. Fu grata per l'ospitalità, per il cambio di abiti, per la possibilità di lavarsi, per il letto comodo che si trovava nell'angolo. Non pensava di riuscire a fare un altro passo. Infatti, era talmente stanca, che sentiva che avrebbe potuto dormire per sempre.
Tenendo il prezioso cofanetto, si diresse verso l'angolo della stanza, e lo mise giù. La pergamena poteva aspettare. Ma non valeva lo stesso per la sua fame. Sollevò il calice traboccante e lo esaminò. Poteva già sentire che conteneva del sangue bianco.
Se la portò alle labbra e bevve. Era più dolce del sangue rosso, e andò giù facilmente—e corse più rapidamente per le sue vene. Nell'arco di momenti, si sentì rinata, e più forte di quanto non fosse mai stata. Avrebbe potuto bere per sempre.
Infine, Caitlin rimise a posto il calice vuoto, e portò il cofanetto d'argento a letto con lei. Si sdraiò e si rese conto di quanto le gambe le facessero male. La fece sentire così bene, restare distesa lì.
Si sdraiò e poggiò la testa contro il piccolo e semplice cuscino, e chiuse gli occhi, appena per un secondo. S'impose di riaprirli dopo un istante, proprio per leggera la lettera di suo padre.
Ma nel momento in cui gli occhi le si chiusero, un incredibile sfinimento s'impadronì di lei, Non avrebbe potuto riaprirli, nemmeno se avesse tentato. Nel volgere di pochi secondi, giaceva profondamente addormentata.
*
Caitlin era nell'arena del Colosseo di Roma, vestita con un'armatura da combattimento, una spada salda in mano. Era pronta a combattere contro chiunque l'attaccasse — effettivamente, sentiva la voglia di combattere. Ma appena iniziò a girarsi, guardandosi intorno, si accorse che, in ogni direzione, lo stadio era vuoto. Guardò in alto, verso le file di sedili, e vide che l'intero edificio era vuoto.
Caitlin battè gli occhi, e, quando li aprì, non si trovava più nel Colosseo, ma nel Vaticano, nella Cappella Sistina. Brandiva ancora la sua spada, ma ora indossava delle vesti.
Guardò nella stanza e vide centinaia di vampiri con lumimosi occhi blu, tutti schierati ordinatamente: tutti indossavano vesti bianche,. Erano fermi, immobili, lungo la parete, silenziosi … concentrati su quello che stava accadendo.
Caitlin lasciò cadere la sua spada, che colpì il pavimento della stanza vuota, con un secco rumore metallico. S'incamminò lentamente verso il capo dei sacerdoti, gli si avvicinò e prese da lui un enorme calice di argento, colmo di sangue bianco. Lei bevve, e il liquido traboccò e le cadde lungo le guance.
Improvvisamente, Caitlin si ritrovò da sola nel deserto. Era a piedi nudi, e calpestava la sabbia bollente; il sole batteva forte, i raggi scottavano sulla sua pelle. Aveva una chiave gigante in mano. Ma la chiave era troppo grande — incredibilmente grande — e il suo peso le stava facendo perdere l'equilibrio.
Lei camminò e camminò, faticando a respirare immersa nell'aria calda, fino a quando, infine, raggiunse un'enorme montagna. In cima ad essa, vide un uomo, in piedi, che guardava in basso, sorridendo.
Sapeva che si trattava di suo padre.
Caitlin scattò, correndo con tutta la forza che aveva, provando a salire in cima alla montagna, avvicinandosi di più sempre di più a lui. Appena lo fece, il sole sembrò andare più in alto, diventando più caldo nel cielo, proprio sopra di lei: sembrava quasi che provenisse proprio dalle spalle di suo padre. Era come se lui stesso fosse il sole, e lei stava anmdando dritta verso di lui.
La sua arrampicata divenne più calda, più alta, e lei si sforzò di respirare, mentre si avvicinava. Lui se ne stava lì con le braccia spalancate, in attesa di abbracciarla.
Ma la collina divenne più ripida, e lei era davvero troppo stanca. Non avrebbe potuto compiere un ulteriore passo. Crollò dove si trovava.
Caitlin chiuse gli occhi e, quando li riaprì, vide suo padre in piedi in alto, ma proteso verso di lei sfoggiando un caldo sorriso.
“Caitlin,” lui disse. “Figlia mia. Sono così orgoglioso di te.”
Lei provò a tirarsi su, per abbracciarlo, ma ora la chiave era sopra di lei, ed era fin troppo pesante, tenendola giù.
Lei lo guardò, provando a parlare, ma le sue labbra erano serrate e la gola era troppo secca.
“Caitlin?”
“Caitlin?”
Caitlin aprì gli occhi d'improvviso, disorientata.
Guardò in alto e vide un uomo seduto sul lato del letto, che la guardava sorridente.
Lui le si avvicinò e le spostò gentilmente i capelli dagli occhi.
Era ancora un sogno? Sentì il sudore freddo sulla fronte, sentì il suo tocco sul suo polso e pregò che non lo fosse.
Perché lì, davanti a lei, sorridente, c'era l'amore della sua vita.
Caleb.
CAPITOLO TRE
Sam aprì gli occhi di soprassalto. Davanti a sé vide il cielo, e poi volse lo sguardo direttamente sul tronco di un'enorme quercia. Chiuse e riaprì gli occhi svariate volte, chiedendosi dove si trovasse.
Si rese conto di poggiare la schiena su qualcosa di morbido: sembrava molto comodo; guardandosi intorno comprese di trovarsi coricato su un mucchio di muschio, a terra nella foresta. Poi guardò dietro di sé, e vide dozzine di alberi che si ergevano alti sopra di lui, ondeggiando mossi dal vento. Man mano che familiarizzava con quello che aveva intorno, si accorse di un sommesso gorgoglio, voltò la testa per capire che cosa fosse e vide un ruscello che scorreva proprio a pochi metri di distanza.
Sam si alzò e continuò a guardarsi intorno, spostando lo sguardo in ogni direzione, assimilando ogni cosa. Era nel profondo della foresta, solo, e l'unica luce visibile filtrava tra i rami degli alberi. Si accorse di indossare ancora la medesima armatura da battaglia che portava al Colosseo. Non c'erano rumori intorno, gli unici suoni erano il gorgolio del ruscello, il canto degli uccelli ed i versi lontani di qualche animale.
Sam comprese, con sollievo, che il viaggio nel tempo aveva funzionato. Si trovava chiaramente in un altro luogo e in un'altra epoca—sebbene non avesse alcuna idea di dove fosse e di che anno fosse.
Sam si controllò rapidamente il corpo e si rese conto di non avere ferite di rilievo; era ancora tutto intero. Era terribilmente affamato ma poteva sopportarlo. Innanzitutto, doveva capire dove si trovasse.
Verificò se aveva ancora qualche arma.
Purtroppo, nessuna di esse aveva fatto il viaggio insieme a lui. Era di nuovo da solo e dotato soltanto della forza delle proprie mani nude.
Si chiese se fosse ancora dotato dei suoi poteri di vampiro. Concentrandosi, gli parve di sentire una forza innaturale corrergli nelle vene: probabilmente aveva conservato i suoi poteri. Ma, in fin dei conti, non poteva esserne sicuro fino al momento in cui li avesse dovuti usare.
E quel momento arrivò ancora prima di quanto pensasse.
Sam sentì un ramo spezzarsi, e si voltò per vedere un grosso orso andargli incontro, con un incedere lento e aggressivo. Il ragazzo restò immobile. L'animale gli indirizzò un'occhiata minacciosa, mostrò le sue zanne e ringhiò.
Un istante dopo, scattò, caricando dritto verso di lui.
Sam non aveva il tempo e neppure un posto in cui scappare. Non aveva altra scelta, comprese subito, che affrontare l'animale.
Ma stranamente, invece di venire sopraffatto dalla paura, Sam sentì la rabbia attraversare tutto il suo corpo. Era furioso con quell'animale. Era infastidito per essere stato attaccato, persino prima di aver avuto una possibilità di riprendersi. Allora, senza pensarci, anche Sam caricò, preparandosi a incontrare l'orso in battaglia, nello stesso modo in cui avrebbe fatto contro un umano.
Sam e l'orso si scontrarono a metà strada. L'orso balzò contro di lui, e Sam fece lo stesso. Il ragazzo sentì la forza scorrergli nelle vene, facendolo sentire invincibile.
Appena si scontrò con l'orso a mezz'aria, si rese conto di avere ragione. Afferrò l'animale per le spalle, lo abbrancò con violenza e lo scaraventò via. L'orso volò all'indietro in mezzo agli alberi, a dozzine di metri di distanza schiantandosi contro un albero.
Sam restò lì e ruggì contro l'orso: fu un ruggito potente, ancora più forte di quello dell'animale. Sentì i muscoli e le vene gonfiarsi.
L'orso si rimise in piedi lentamente, ancora traballante, e guardò Sam, comportandosi come se fosse sotto shock. Zoppicava mentre camminava, e, dopo aver compiuto alcuni passi incerti, all'improvviso abbassò la testa, si voltò e corse via.
Ma Sam non l'avrebbe lasciato andare così facilmente. Ora era fuori di sé, e sentiva che nulla al mondo avrebbe potuto fermare la sua furia. Ed era furioso. L'orso l'avrebbe pagata.
Balzò in avanti, e fu felice di scoprire di essere più veloce dell'animale. Nell'arco di pochi istanti, gli fu dientro e, con un singolo balzo, atterrò sulla sua schiena. Immediatamente si chinò e gli perforò il collo con i suoi canini.
L'orso emise un urlo lancinate, dimenandosi con tutte le sue forze, ma Sam non mollò la presa. Inserì le sue zanne ancora più in profondità, e, nell'arco di pochi istanti, sentì l'orso cadere sulle ginocchia sotto di lui. Finalmente, smise di muoversi.
Sam restò sopra l'animale, bevendo, sentendo la sua forza vitale scorrergli nelle vene.
Infine, smise si succhiare e si leccò le labbra, ancora grondanti di sangue. Non si era mai sentito così rinfrescato. Era esattamente il pasto di cui aveva bisogno.
Sam si stava rimettendo in piedi, quando sentì un altro rametto spezzarsi.
Guardò per cercare di capire di che cosa si trattasse, e lì, in piedi, nella radura della foresta, vide una ragazza, forse di 17 anni, che indossava un sottile abito bianco. Lei se ne stette lì, con un cestino, guardandola scioccata. La pelle di lei era bianca traslucida, e i lunghi capelli castani chiari incorniciavano grandi occhi blu. Era bella.
Guardò Sam, che, a sua volta, era rimato paralizzato.
Il ragazzo comprese che doveva aver paura di lui, paura che forse intendesse attaccarla; si rese conto che doveva avere uno sguardo cattivo, in piedi sopra il cadavere dell'orso, con la bocca sporca di sangue. Lui non voleva spaventarla.
Perciò, saltò giù dall'animale, e le si avvicinò.
Con sua grande sorpresa, la ragazza non diede segno di essersi spaventata né tentò di allontanarsi. Piuttosto, continuò a guardarlo, senza mostrare alcun timore.
“Non preoccuparti,” le disse. “Non intendo farti del male.”
Lei sorrise. Il che lo sorprese. Non solo era bella, ma era davvero intrepida. Come poteva essere?
“Naturalmente non lo farai,” lei disse. “Sei uno di noi.”
Fu il turno di Sam di essere scioccato. La seconda cosa che lei aveva detto, lui sapeva che era vera. Aveva percepito qualcosa nello stesso istante in cui l'aveva vista per la prima volta, e ora lo sapeva. Era una dei suoi. Una vampira. Ecco perché non aveva paura.
“Bella presa,” lei disse, indicando l'orso. “Un po' disordinata, non ti pare? Perché non scegliere un cervo?”
Sam sorrise. Non solo era graziosa — era anche divertente.
“Forse ci proverò la prossima volta” lui le disse.
La ragazza sorrise.
“Ti spiacerebbe dirmi in che anno siamo?” le chiese. “O il secolo, almeno?”
Lei si limitò a sorridergli, e scosse la testa.
“Penso che tu debba scoprirlo da solo. Se te lo dicessi, ti rovinerei tutto il divertimento, no?”
A Sam lei piaceva. Era bella. E si sentiva a proprio agio intorno a lei, come se l'avesse conosciuta da sempre.
La ragazza fece un passo in avanti, porgendogli la mano. Sam la prese, e fu conquistato dal tocco della sua pelle liscia e traslucida.
“Sono Sam,” lui disse, stringendole la mano a lungo.
Lei esplose in un sorriso ancora più grande.
“Lo so,” lei disse.
Sam era confuso. Come poteva saperlo? L'aveva incontrata prima? Non riusciva a ricordare.
“Mi hanno mandata per te,” lei aggiunse.
Improvvisamente, si voltò e cominciò a dirigersi verso un sentiero che si inoltrava nella foresta.
Sam si affrettò a raggiungerla, presumendo che lei volesse essere seguita. Nella fretta di non perderla di vista, non fece molto caso a dove metteva i piedi e, con suo grande imbarazzo, inciampò in un ramo; la sentì ridacchiare nel momento esatto in cui lo fece.
“Allora?” lui la pungolò. “Non hai intenzione di dirmi il tuo nome?”
Lei ridacchiò di nuovo.
“Per la verità, ho un nome formale, ma raramente lo utilizzo,” rispose.
Poi si vltò a guardarlo, in attesa che lui la raggiungesse.
“Se vuoi saperlo, tutti mi chiamano Polly.”
CAPITOLO QUATTRO
Caleb tenne aperta l'enorme porta medievale; subito Caitlin uscì fuori dall'abbazia e mosse i primi passi alla prima luce del mattino. Con Caleb al suo fianco, poteva ammirare l'alba. Lì, in cima alla collina di Montmartre, poteva vedere l'intera città di Parigi stendersi davanti a lei. Era una città bella ed estesa in modo irregolare, un misto di architettura classica e case semplici, di strade ghiaiose e sporche, di alberi e paesaggio urbano. Il cielo brillava in un milione di colori tenui, facendo sembrare viva la città. Era magico.
Ancora più magica era la mano che stringeva nella sua. Guardò in alto e vide Caleb al suo fianco, a godersi quella vista con lei, che riusciva a malapena a credere che fosse tutto reale. Riusciva a malapena a credere che fosse davvero lui, che fossero davvero entrambi lì. Insieme. Che sapesse chi lei fosse. Che la ricordasse. Che l'avesse trovata.
La ragazza si chiese ancora se si fosse davvero svegliata da un sogno, se non fosse ancora addormentata.
Ma poi, ferma accanto a lui, stringendo ancora più forte la sua mano, comprese di essere perfettamente sveglia. Non si era mai sentita così felice. Aveva corso così a lungo, era tornata indietro nel tempo, tutti quei secoli, affrontato tutte quelle difficoltà, solo per stare con lui. Proprio per assicurarsi che fosse di nuovo vivo. Quando lui non l'aveva ricordata, in Italia, era precipatata nel più profondo degli abissi.
Ma ora lui era lì, e vivo, e la ricordava—e adesso era tutto per lei, libero, senza Sera intorno — il suo cuore si gonfiò con una nuova emozione e una nuova speranza. Nemmeno nei suoi sogni più incredibili avrebbe mai immaginato che tutto potesse funzionare così perfettamente, che tutto, alla fine, potesse davvero funzionare. Lei era così travolta dagli eventi, che non sapeva nemmeno da dove cominciare o che cosa dire.
Prima che lei potesse parlare, lui cominciò.
“Parigi,” lui disse, voltandosi verso di lei con un sorriso. “Esistono certamente dei posti peggiori in cui potremmo stare insieme.”
Lei rispose al suo sorriso.
“Per tutta la vita, ho sempre desiderato vederla,” lei gli rispose.
Con qualcuno che amo, lei voleva aggiungere, ma si fermò. Sembrava essere trascorsa un'eternità da quando Caleb era stato al suo fianco; in realtà, si era sentita nervosa di nuovo. In un certo senso, sembrava come se fosse stata con lui da sempre—più a lungo che per sempre—ma, d'altra parte, era come se l'avesse incontrato per la prima volta.






