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“Volete dire qualcosa?” chiese il generale s’Lara guardando lui e Ro.
Kevin sapeva che avrebbe dovuto, ma non era sicuro di cosa dire. La colpa che provava sembrava ancora pervadere tutto, seppellendo ogni parola. Sapeva di dover provare, ma la verità era che non voleva provarci in quel momento.
“Non voglio dire niente a mia discolpa,” disse, scuotendo la testa. “Non me lo merito, e la verità è che… comunque sto morendo. Non importa cosa mi farete, fintanto che gli altri siano salvi.” Gli parve quasi uno shock dire una cosa del genere, ma era la verità. Era più importante che fossero salvi Chloe e Ro piuttosto che lui. “Ho dato un contributo per distruggere un mondo. Non merito… non merito niente. Ma Ro si è liberato dell’Alveare. Questo dovrebbe contare qualcosa.”
Ro scosse la testa. “Ho… ho paura, lo ammetto, ma non scapperò da quello che ho fatto. Ho commesso un orrore dopo l’altro. Ho fatto cose malvage. Una volta ero un Puro, ma ora non sono neanche quello. Sono impuro. È Kevin che dovreste salvare. Lo abbiamo reso uno di noi contro la sua volontà. Non aveva altra scelta.”
“C’è sempre una scelta!” disse l’uomo che si era scagliato contro Ro, parlando a voce alta da qualche parte in fondo alla stanza.
Kevin non sapeva cosa dire. Sembrava però che Chloe lo sapesse, perché gridò per farsi sentire da tutti, guardando dritto in faccia l’uomo che aveva appena parlato.
“Pensi che Kevin abbia scelto di essere preso dagli alieni?” chiese con tono che sarebbe bastato di per sé a far indietreggiare chiunque. “Pensi che ne avesse il controllo? Gli hanno fatto accettare che mi venisse fatto del male in ogni genere di modo, e lo stesso io non lo biasimo, perché non è stato lui. Era un lui senza emozioni, senza nessuna compassione. E se non hai compassione, non sei certo meglio dell’Alveare!”
Si prese un momento per guardarsi attorno e osservare gli alieni, e per un attimo Kevin pensò che avesse finito, ma poi continuò la sua tirata, puntando il dito contro tutta la gente che li circondava.
“Siete tutti lì in piedi a prendere decisioni su di noi, ma non avete neanche provato a cercare di capirci. Kevin… ha attraversato il nostro paese tentando di salvare il nostro mondo. È andato nello spazio perché stava cercando di fermare l’Alveare. Lo hanno preso solo perché stava tentando di fermarli. Per quanto riguarda Ro, ha lottato contro le uniche cose che ha sempre conosciuto. È un segno che il controllo dell’Alveare può essere spezzato, e voi volete… cosa, ucciderlo? Dovrete uccidere me se volete farlo!”
Stava lì in piedi guardandoli furente, quindi il generale s’Lara alzò una mano per richiamare l’ordine.
“Non parlerò di questo,” disse. “I miei pensieri sono troppo in conflitto. La logica richiede una cosa, l’emozione un’altra. Ma mi chiedo, siamo esseri di pura logica? Siamo come loro? Non lo so. È ora che ci dividiamo.”
Abbassò la testa e tra loro Kevin vide delle luci danzanti che baluginavano intorno, come se le Intelligenze Artificiali parlassero e discutessero, probabilmente cercando un equilibrio tra le emozioni degli Ilari e le necessità dettate dalla logica. Agli occhi di Kevin sembravano sciami di api arrabbiate che volavano attorno, spostandosi e dividendosi, poi ricombinandosi in diversi gruppi man mano che il dibattito tra loro proseguiva.
Da dove si trovava, Kevin non riusciva a capire esattamente in che modo stesse andando la discussione. Poteva coglierne dei pezzetti qua e là se ci provava, ma c’erano così tanti diversi frammenti che era impossibile anche solo iniziare a tentare di capire la direzione del tutto.
Alla fine parve che stesse succedendo qualcosa. Kevin ebbe la sensazione che le Intelligenze Artificiali si stessero spostando, disponendosi in formazioni, creando gruppi man mano che prendevano le loro decisioni. Sulla superficie delle pareti attorno alla stanza apparvero due blocchi, uno rosso e uno blu. I gruppi sembravano vicini, così vicini che Kevin non poteva contarli, e neanche capire quale fosse più grande. Poteva vedere che alcune Intelligenze Artificiali vibravano ancora svolazzando in giro, rivedendo i fatti o discutendone con coloro a cui erano connessi. Lentamente, però, i gruppi si stabilizzarono.
Neanche allora, però, Kevin riuscì capire quale potesse essere il risultato.
CAPITOLO DUE
Kevin guardava fuori da una delle finestre della navicella mentre lo spazio scorreva veloce, senza poter distinguere nulla, allungato e piegato per permettere al velivolo di passarvi attraverso con il potere dei suoi scudi. Lui, Ro e Chloe erano seduti insieme in una stanza che era aperta e ariosa, e quasi vuota. Con sua sorpresa, anche il generale s’Lara era lì.
Kevin tornò con la memoria al momento in cui il generale s’Lara gli aveva messo una mano sulla spalla dopo il processo.
“Abbiamo preso la nostra decisione. Pare che… pare che avrete tutti il permesso di stare tra noi. Verrete portati al nostro mondo di avamposto, e insieme cercheremo un modo per fermare l’Alveare. Spero solo che troveremo un modo per farlo.”
Kevin non poteva credere quanto fossero andati vicini alla morte. Si risvegliò dai suoi pensieri e si guardò attorno.
“Non avete bisogno di… non so,” disse, “di controllare la navicella?”
“Come se la mia navicella mi permettesse di dirle cosa fare,” rispose lei. “Noi lavoriamo con le nostre Intelligenze Artificiali. Non le soggioghiamo. Quello è un pensiero da Alveare.”
“Kevin e Ro non sono l’Alveare,” disse Chloe con tono accalorato, forse un po’ troppo.
“Non ho mai detto questo,” rispose il generale s’Lara. Però sembrava che li stesse osservando con attenzione.
Kevin pensava di poter capire. “Sta cercando di capire di più dell’Alveare, vero?”
Il generale esitò, ascoltando in quel modo che diceva che si trovava ancora in comunicazione con la sua Intelligenza Artificiale.
“Sì,” ammise. “Tu e il Puro… scusate, Ro, ne siete stati parte. Avete avuto accesso alla sua struttura ed essenza. Potete aiutarci a comprenderlo meglio. Potreste veramente essere in grado di aiutarci a batterli.”
“Non sono sicuro che si possano battere,” disse Ro. “Mi spiace, mi sento… senza speranze.”
“Ma sei riuscito a liberarti,” disse il generale s’Lara.
“Con l’aiuto di Chloe,” rispose Ro.
Kevin annuì. Senza Chloe, nessuno di loro sarebbe stato in grado di scappare.
“Voglio comunque sapere tutto quello che sarete in grado di dirci,” disse il generale. “Com’è essere parte dell’Alveare?”
Kevin non era certo di avere le parole per spiegarlo. Lo stesso voleva provare. “È come… c’è questa rete di connessioni, e ciascuna di esse è una cosa viva. È come essere parte di qualcosa di più grande, con la sensazione che niente conti se non l’intero.”
“È bellissimo,” aggiunse Ro. “Ma non abbiamo alcun modo per sentire quella bellezza. Non sentiamo nulla. Nessuna coscienza, nessuna felicità. L’Alveare è tutto.”
“Bene, questo significa che la negoziazione è esclusa,” disse il generale s’Lara. “Però ci potrebbe comunque essere qualcosa. Molto presto saremo arrivati.”
“Dove?” chiese Kevin. Non aveva idea di dove fossero diretti, e non aveva neppure considerato che stessero andando da qualche parte.
Lei fece un cenno e una delle pareti mutò, fornendo l’immagine di un pianeta. Sembrava piccolo sullo schermo, ma era un punto di colore luminoso in una veduta dello spazio altrimenti in bianco e nero. Era per lo più verde, in un modo che appariva strano se messo a confronto con il blu della Terra.
“Questo è Xarath,” disse il generale come spiegazione. “La maggior parte della sua acqua è sottoterra, ma la vita delle piante sboccia in superficie. Abbiamo una piccola base lì. Non abbiamo mai pensato che diventasse una casa per tutti noi, ma dovremo adattarci. Dicono che sia bellissimo.”
“Quanto ci vorrà per raggiungerlo?” chiese Kevin. Non aveva una reale comprensione di quanto velocemente si stesse muovendo la navicella. Era veloce come i velivoli dell’Alveare? Di più?
“Ancora qualche minuto. Abbiamo piegato lo spazio per avvicinarci, ma la maggior parte del ritardo è dovuto al tentativo di seminare le forze dell’Alveare che ci stanno inseguendo. Avremo bisogno di arrivare tra i primi sulla superficie. Venite con me, dovremmo andare a uno dei dispositivi di atterraggio.”
Per la seconda volta, il generale fece loro strada attraverso gli spazi interni della navicella. La gente si girava a fissarli mentre passavano, e mentre qualcuno sembrava essere in attesa di ordini da parte del generale, altri stavano decisamente guardando Kevin, Chloe e Ro. Non sembravano tutti amichevoli.
“Pare che non tutti siano d’accordo con il processo,” disse Chloe. A Kevin sembrava che fosse pronta a scagliarsi contro chiunque li guardasse troppo a lungo, o nel modo sbagliato. Vide che stringeva la mano del braccio modificato, come pronta a tirare un pugno.
“La gente ha la possibilità di non essere d’accordo,” disse il generale s’Lara. “Non siamo l’Alveare, dove tutti devono obbedire. Possono pensare quello che vogliono, ma abbiamo preso una decisione nel modo più onesto possibile, e dubito che qualcuno possa agire contro di essa.”
Kevin non aveva l’impressione che ne fosse del tutto convinta, ma del resto come poteva? Aveva ragione. A meno che non controllassero lì tutte le menti come faceva l’Alveare, non ci sarebbe mai stata perfetta armonia. Kevin preferiva che ci fossero persone che lo guardavano in modo strano che dover vivere senza i propri pensieri e le proprie scelte.
Lui e gli altri seguirono il generale fino a un hangar dove si trovavano un certo numero di navicelle più piccole, simili a frecce che aspettavano di essere sputate dalla bocca gigante della navicella. Il generale s’Lara li condusse verso una che era in parte annerita dal fuoco.
“Ecco. La mia navicella personale. Vi faccio vedere il pianeta. Andiamo”
L’interno della navicella era più strano dell’interno. Era come se fosse stato rattoppato e ricostruito così tante volte che non restava quasi niente di originale.
“Ci ho lavorato io stessa,” disse il generale s’Lara, e poi distolse ancora una volta lo sguardo, ascoltando. “Sì, va bene. Ci abbiamo lavorato noi. Sedetevi, che voliamo giù.”
C’erano sedie che sembravano più poltroncine che il genere di panche o posti a sedere che Kevin si sarebbe aspettato da un velivolo militare. Gli sembrava strano avere una tale comodità nella navicella di un generale.
“Com’è essere collegati a un’intelligenza artificiale?” chiese.
“È come essere due metà di un intero,” rispose il generale. “Possono darti più informazioni, reagire più velocemente e capire le cose che da sola non potrei mai comprendere, ma noi ci mettiamo l’emozione e l’intuito. Funziona.”
Kevin provava a immaginarlo, ma non ci riusciva. La cosa più simile che riusciva a pensare era la connessione all’Alveare, ma quella non era stata per niente simile a ciò che il generale s’Lara aveva descritto. Gli dava più l’idea di una perfetta amicizia, come quella che avevano lui e Luna sulla Terra, ciascuno che colmava le debolezze dell’altro, ciascuno che stava attento all’altro senza porre domande.
In quel momento sentiva talmente la mancanza di Luna da provarne dolore.
“Tenetevi forte,” disse il generale s’Lara, ma in verità il movimento della navicella era lineare e fluido e il velivolo uscì dal mezzo più grande scivolando verso la superficie.
Mentre scendevano verso il mondo sottostante, Kevin vide il verde della vegetazione davanti a loro, così grandioso che sembrava avvolgere ogni cosa. Per i primi secondi gli parve una gigantesca marea verde, ma poi iniziò a distinguere le diverse sfumature e trame all’interno. C’erano zone che sembravano essere distese d’erba, e molte altre che assomigliavano a interminabili foreste. C’erano macchie di verde più scuro, simili ad abeti e altri che assomigliavano a palme tropicali.
Quando furono ancora più bassi, Kevin iniziò ad avere la concezione delle proporzioni. Molti degli alberi sembravano di dimensioni normali, ma ce n’erano altri che erano alti come cattedrali, con fogliame che si allargava a coprire larghi spazi di terreno, cosicché il suolo di sotto sembrava quasi come una cosa di secondaria importanza.
“È un posto bellissimo,” disse il generale s’Lara. “Così tanta vita qui, ma mai pensato come mondo per noi. È troppo selvaggio, e troppe specie diverse ne disturberanno l’equilibrio.”
Portò la navicella in basso, e Kevin iniziò a vedere degli edifici annidati tra gli alberi, così ben nascosti che per alcuni secondi fu difficile scorgerli tra la vegetazione. Pendevano come grossi frutti, o stavano in equilibrio sui rami, così meravigliosamente costruiti da poter sembrare una componente naturale della foresta.
“Quante persone avete qui?” chiese Kevin.
“Qualche migliaio. Non abbastanza per una vera civilizzazione,” rispose il generale. “Anche con tutta la gente che abbiamo portato con noi… siamo un’ombra di ciò che eravamo.”
Dei veicoli sfrecciavano tra gli alberi, muovendosi rapidamente, sollevati dal terreno. Altri si spostavano più lentamente a livello del suolo, mascherati da mutevoli campi di colore che cambiavano a seconda della luce.
“Avete armi qui?” chiese Kevin. Voleva sperare che avessero qualcosa che potesse essere in grado di distruggere l’Alveare.
“Qualcosa,” disse il generale s’Lara. “Ci piace essere capaci di difendere i luoghi dove abbiamo delle basi, ma la difesa principale che abbiamo è la segretezza. Questo avrebbe sempre dovuto essere un posto nascosto.”
“Ma ora stiamo venendo qui,” sottolineò Chloe.
“Siamo disperati,” disse il generale s’Lara. “Siamo a corto di persone, a corto di posti, a corto di qualsiasi cosa, eccetto questo. Ci nasconderemo qui fintanto che potremo.”
“E se l’Alveare ci trova?” chiese Kevin.
Il generale s’Lara scosse la testa. “Li abbiamo seminati quando abbiamo iniziato a piegare lo spazio. Neanche loro possono rintracciarci a quelle velocità. A meno che tu sappia qualcosa che noi non sappiamo?”
Non c’era alcuna nota di sospetto nella domanda del generale, ma Kevin si sentì come se la donna non si fidasse pienamente di lui. Guardò verso Ro, che scosse la testa.
“L’Alveare ha rubato molte tecnologie prima, ma non sono in grado di rintracciare gli Ilari. È per questo che hanno avuto bisogno di te per trovare i loro segnali. Senza di te…”
“Senza di me non sarebbero mai stati capaci di distruggere il mondo in cui si sono imbattuti,” disse Kevin.
Il generale s’Lara scosse la testa. “Ci saranno anche altri che ti biasimeranno per questo, ma io no. Eri controllato, e ora siamo salvi.”
Volarono più avanti, in mezzo agli alberi, con le navicelle che trovavano spazio tra i tronchi per poi andare ad atterrare su grandi piattaforme che sporgevano dal lato di edifici costruiti in mezzo al verde. Così da vicino, Kevin vide che avevano davanti un’intera città.
La navicella toccò terra e loro scesero. All’interno della navicella di atterraggio, circondati dalle strette pareti, non c’era stato un vero senso dello spazio, ma ora Kevin poteva vedere la vera altezza di tutto quanto. Era così alto che l’aria sembrava rarefatta e gli faceva venire mal di testa, rendendolo frastornato e facendolo barcollare, leggermente instabile. Aveva il cervello sconvolto da quell’altezza.
“Andiamo,” disse il generale s’Lara. “Avevo annunciato il nostro arrivo mentre ci avvicinavamo, e la gente vuole conoscervi. Sono eccitati all’idea di persone che potrebbero liberarci dall’Alveare, e pensano che tu, Kevin, sia speciale.”
“Ora mi sento esclusa,” disse Chloe, ma non sembrava che lo intendesse sul serio.
Kevin le mise una mano sulla spalla. “Io penso che tu sia speciale.”
“Lo sei,” la rassicurò il generale s’Lara. “Se permetterete ai nostri scienziati di studiarvi tutti, avremo la potenzialità di imparare moltissimo.”
Chloe parve preoccupata. “Ne ho abbastanza di essere studiata, fino alla fine della mia vita.”
“Non vi costringeremo,” disse il generale s’Lara, e c’era una nota di comprensione nel suo tono. “Sarà una tua scelta. Ora andiamo. Vi mostro la base.”
All’interno era in tutto e per tutto impressionante come Kevin l’aveva considerata da fuori. I corridoi avevano le stesse scene impossibili che decoravano l’interno delle navicelle, ogni parete trasformata in una tela che pareva poter essere manipolata dalle Intelligenze Artificiali degli Ilari, dato che Kevin vide un alieno dalla pelle blu che armeggiava con il muro trasformandolo in una sorta di opera astratta mentre passavano. L’individuo si girò a guardarli e fece un inchino al generale.
“Oh, piantala Cler, sai che dovrei essere io quella che si inchina a te,” disse il generale.
Continuarono a camminare, e il generale iniziò a spiegare gli edifici in cui passavano man mano che procedevano.
“In teoria la gente prende le stanze di cui hanno bisogno per fare qualsiasi cosa stiano tentando, e ridanno loro forma per adattarle, ma tendono ad esserci anche delle aree comuni,” disse. “Ci sono spazi abitabili da ogni parte qui, in capsule che si diramano dal corridoio principale. Questi spazi sembrano vuoti. Potete avere questi.”
Era davvero tutto così casuale? Avevano bisogno di uno spazio e quindi ne prendevano uno? Il generale fece loro strada fino a un grande soggiorno open-space con divani e letti disposti attorno. L’intero spazio era vuoto e silenzioso, ma non sembrava sterile come Kevin aveva percepito per esempio l’Istituto, e gli mancava la precisa opulenza delle torri dorate dell’Alveare. Era invece comodo e accogliente, dando l’impressione di poter tranquillamente diventare la casa di qualcuno.
“Quindi entriamo così e prendiamo una stanza?” chiese Kevin, mentre si appoggiava a un divano sentendo una breve ondata di stanchezza.
“Come altro faresti?” chiese il generale, sinceramente confusa che ci potessero essere altri modi per fare le cose. Indicò un’apertura vuota sulla parete. “Qui è dove prendiamo il cibo. Sarà un po’ più lento per voi, dato che non avete le Intelligenze Artificiali, ma posso sempre occuparmi io di chiedervi quello che volete. Permettete.”
Si fermò un momento davanti all’apertura e… apparve un vassoio colmo di cibo. C’erano dei fili blu fumanti contornati da quelle che sembravano bacche rosse.
“La mia Intelligenza Artificiale dice che il laxatha dovrebbe andare bene per voi, ed è uno dei miei preferiti,” disse. “Ecco, assaggiate.”
Glielo porse e si sedette accanto a loro in un modo che sembrava strano per un generale. Chloe fu la prima a provare il piatto, e la sorpresa espressione di piacere sul suo volto fece capire tutto.
“Questo cibo è… dire buono non basta. È fantastico. Devi assaggiare, Kevin.”
Kevin prese un morso con fare esitante, restando stupefatto da quanto fosse buono il miscuglio di sapori. C’era solo una domanda nella sua mente, che andava ad aggiungere una nota un po’ strana al pasto mentre lo consumavano.
“Generale s’Lara,” disse, “perché ci sta servendo del cibo?”
“Perché siete nostri ospiti,” rispose lei.
“Ed è molto gentile da parte sua, ma avrebbe potuto mandare qualcun altro a farlo. Lei non ha riunioni o cose da dover fare?” Kevin aveva conosciuto alcune persone importanti, e non se le poteva immaginare a fare una cosa del genere. “Perché lei?”
Il generale s’Lara annuì. “Devo ammettere che ci sono un sacco di incontri che dovrei avere, ma la mia Intelligenza Artificiale si sta occupando di alcuni di essi. E poi stare qui con voi potrebbe essere uno dei compiti più importanti a cui dedicarmi in questo momento.”
Kevin per un momento non capì, ma poi si impensierì un momento. “Per tutto quello che potremmo sapere?”
“Non vi racconterò bugie,” disse il generale s’Lara. “Penso che voi tre possiate avere la chiave per questa faccenda. Siamo stati in grado di sconfiggere membri singoli dell’Alveare, possiamo farlo facilmente quando siamo in parità numerica, ma non siamo mai in egual numero. Loro continuano sempre ad arrivare, e peggio ancora non se ne curano. Ci lanciano addosso le loro creature senza preoccuparsi che muoiano o meno. Come si fa a sconfiggere qualcosa a cui non interessa di morire?”
Kevin non era sicuro di poter rispondere. Aveva usato lo stesso sistema contro gli Ilari quando avevano combattuto. Aveva lanciato loro addosso delle navicelle, considerando il loro desiderio di vivere come una debolezza da sfruttare.
“È la maggior forza dell’Alveare,” disse Ro.
“Il fatto che tu li conosca e sia stato capace di liberartene, potrebbe farci capire come effettivamente sconfiggerli. Potremmo essere realmente in grado di vincere questa guerra.”
“Ma non sappiamo nulla,” disse Kevin.
“Potresti non sapere ciò di cui sei a conoscenza,” disse il generale. “Per cominciare, cosa sai di questa tua abilità?”
Kevin scosse la testa. “Quasi niente. Sento dei segnali e posso tradurli. Vedo cose che devono essere tradotte e il mio cervello lo fa in automatico.”
“E questa cosa lo sta uccidendo,” si intromise Chloe con tono cupo. Le sue parole bastarono a rattristare Kevin riguardo alla prospettiva del conto alla rovescia che era ripartito nel suo corpo.
“Cosa intendi dicendo che ti sta uccidendo?” chiese il generale s’Lara.
Kevin fece per rispondere e nel frattempo si alzò in piedi. Il dolore lo colpì quasi all’istante e lui si rese conto che le cose che stava provando quando erano atterrati non erano stati solo i sintomi di ciò che l’aveva inseguito da quando era uscito dall’Alveare.
Si era abituato a ignorarli e l’aveva fatto anche quando il suo corpo aveva tentato di avvisarlo che c’era qualcosa che non andava. Ora sembrava che tutto lo colpisse all’improvviso. Lo stordimento lo travolse, facendolo ruotare su se stesso e portandolo a crollare sul pavimento, inizialmente stendendo le mani in avanti per cercare di sostenersi, ma cedendo poi a una fitta che sembrò contorcergli ogni angolo del corpo.
Insieme arrivò il dolore che gli fece esplodere la testa in una supernova di agonia. Era come se qualcosa gli si spezzasse dentro, e Kevin avrebbe gridato se avesse avuto ancora il controllo sulla propria bocca. Aveva già sentito quella perdita di controllo sul proprio corpo quando altri segnali l’avevano attraversato, ma questo era diverso. Questo non conteneva la promessa di un messaggio o di una risposta: l’unica promessa sembrava quella del buio che c’era al di là, che lo minacciava di sorgere e travolgere tutto.
Kevin poteva vedere Chloe, Ro e il generale s’Lara accanto a sé, le loro labbra che si muovevano mentre parlavano. Sembrava che Chloe stesse gridando qualcosa verso di lui, ma Kevin non sentiva nulla. Era come se si trovasse dall’altra parte di una tenda, dalla quale si allontanava secondo dopo secondo.
Stava morendo, e non c’era nulla che potesse fare per evitarlo.
CAPITOLO TRE
Luna si svegliò sbattendo le palpebre alla luce, e anche quello fu una sorpresa. Quando si era addormentata, si era aspettata di scivolare nel buio e non svegliarsi più, completamente consumata dai nanobot alieni che si stavano lentamente impossessando del suo corpo. Invece poteva ancora ricordare chi era, dove si trovava e tutti gli orrori che avevano colpito il mondo.
Fu solo quando il suo corpo si alzò senza che lei ci pensasse che si rese conto che qualcosa non andava.
“No!” gridò, ma l’urlo le uscì dalle labbra solo come uno sbuffo che si rifiutava di dare risposta ai suoi comandi. Ad ogni modo non erano suoi, per niente. Qualcun altro stava tirando i fili che la controllavano.
Si guardò attorno nel complesso in cui avevano combattuto contro tutti i trasformati e gli alieni, e Luna ebbe la sensazione di non essere lei sola a guardarsi in giro in quel momento. C’erano altre cose che stavano guardando attraverso i suoi occhi, prendendo decisioni per suo conto e dando comandi senza pensare a cosa ciò potesse procurarle.
Luna cercò di opporsi con più forza possibile a quei comandi, ma non fece nessuna differenza, come non aveva fatto nessuna differenza l’ultima volta che si era trovata ad essere controllata. Si alzò invece come una prigioniera nella sua stessa carne, mentre il suo corpo iniziava a camminare verso gli altri, costretta da pareti che erano costituite dai suoi stessi muscoli. Afferrò un lungo pezzo di metallo che era affilato come un machete o un coltello. Se così facendo si tagliò le mani, non se ne accorse.






