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“Non c’erano parole,” disse. “Erano tutti numeri.”
“Come la prima volta,” disse Luna.
Kevin annuì, sforzandosi di mettersi a sedere. Quando chiudeva gli occhi poteva vedere chiaramente i numeri impressi dietro le palpebre, scritti lì, che lui volesse vederli o meno.
“Quindi è così che succede?” chiese Chloe, quasi eccitata dalla situazione. “Ti arrivano i messaggi direttamente nel cervello?”
“Mi arrivano accenni a delle cose,” disse Kevin, “ma i messaggi veri e propri passano attraverso i radiotelescopi della NASA. Io riesco solo a tradurli.”
“È… stupefacente,” disse Chloe.
Era facile dimenticarsi che là fuori c’erano un sacco di persone che non l’avevano visto fare questa cosa tantissime volte.
“Non è una cosa divertente,” disse Luna. “Vedi cosa fa a Kevin. E tutti i problemi che ne sono derivati… e non solo l’arrivo degli alieni. Ci sono state persone che ci hanno minacciati, che hanno tentato di ucciderci, gente che non crede a Kevin. Sai cosa significhi quando non ti credono anche se stai dicendo la verità? Quando ti dicono che sei pazzo?”
Chloe aveva un aspetto sempre più arrabbiato mentre Luna parlava, ma quando ebbe finito di parlare, fece silenzio.
“Sì,” disse sottovoce. “Sì, so cosa voglia dire.”
Andò a sedersi sull’angolo di uno degli altri letti, e Kevin vide le sue dita che tamburellavano e si intrecciavano come se ci fossero un sacco di cose che volesse dire, ma non ne fosse capace. Kevin avrebbe potuto chiederle cosa c’era che non andava, ma Luna gli stava ancora parlando.
“Quindi significa che c’è un altro messaggio in attesa?” chiese. “Un’altra trasmissione da parte degli alieni?”
Kevin annuì. “Non da parte di quelli che hanno invaso, però. Questo assomiglia più agli altri. Quelli che hanno tentato di avvisarci.”
“Lo immaginavo,” disse Luna. “Voglio dire, cosa direbbero adesso gli invasori? Arrendetevi e fatevi distruggere, infimi umani? Ogni resistenza è futile? Che genere di alieni gongolerebbero a questo modo quando ci hanno già sconfitti?”
“Tutti lo fanno,” mormorò Chloe, poi si alzò in piedi e uscì dalla stanza.
Luna fece una smorfia nel vederla ritirarsi a quel modo. “Ma che problema ha?”
Kevin scosse la testa. “Non lo so. Ho la sensazione che le sia successo qualcosa di piuttosto brutto prima che capitasse qui.”
“Intendi dire peggio del mondo invaso dagli alieni?” chiese Luna. “O peggio che essere afferrata da un uomo con una pistola durante una conferenza stampa?”
“Non lo so,” ripeté Kevin. Aveva la sensazione che sarebbe stato meglio se avesse seguito Chloe, ma non si sentiva abbastanza forte per poterlo fare in quel momento, e in ogni caso aveva anche l’impressione che Luna non ne sarebbe stata contenta.
“Immaginavo che te l’avesse detto,” disse Luna. “Cioè, sembrava che steste facendo una bella chiacchierata quando sono arrivata in camera prima.”
Sembrava quasi un tono geloso, ma perché mai Luna avrebbe dovuto essere gelosa? Di certo sapeva che lei e Kevin sarebbero sempre stati migliori amici, e che niente si sarebbe mai messo in mezzo a loro, giusto? E per quanto riguardava tutto il resto… beh, questo avrebbe implicato che Luna fosse interessata a essere più che una semplice amica, e Kevin non poteva veramente credere che una cosa del genere potesse mai accadere.
“Non ha detto molto, veramente,” disse Kevin. “Solo che è scappata.”
“Pare che sia brava a farlo,” disse Luna con un’altra occhiata alla porta.
“Luna,” disse Kevin. “Puoi almeno tentare di essere carina con lei? Voglio dire, non ho neanche capito perché sei così arrabbiata. Pensavo che sareste andate d’accordo.”
“Perché siamo entrambe ragazze?” chiese Luna.
“No!” si affrettò a dire Kevin. “Cioè, perché siete entrambe…” Cercò di pensare alle parole giuste. Ma ‘dure’ sarebbe andata bene? Chloe ne aveva decisamente l’aspetto, mentre Luna no, ma Kevin sapeva per esperienza che lo era.
“Non siamo per niente simili,” disse Luna. “MI ha chiamate cheerleader.”
Lo fece suonare come un insulto.
“Beh, eri nel…”
“Non è questo il punto,” lo interruppe Luna. “Bene però. Farò la carina. Immagino che se siamo tutti incastrati in un bunker insieme, dovremo andare d’accordo. Ma lo faccio per te, non per lei.”
“Grazie,” disse Kevin.
“Ovviamente, se c’è qualche nuovo segnale, allora non potremo restare nel bunker, giusto?” disse Luna come se la cosa fosse piuttosto ovvia. Forse dipendeva da lei. Luna era sempre stata brava a escogitare piani per risolvere le situazioni. Il più delle volte si erano rivelati piani che li avevano portati a guai maggiori.
Kevin non ci aveva ancora pensato, ma Luna aveva probabilmente ragione. Se c’era un nuovo segnale, allora dovevano scoprire cosa significasse, e c’era un solo luogo dove potevano farlo.
“Penso che dovremo tornare all’istituto di ricerca,” disse Kevin.
“Anche se ne siamo usciti a malapena l’ultima volta?” chiese Luna. “E non sappiamo cosa ci sia nel messaggio, e non sappiamo se possa esserci utile, dato che gli alieni hanno già preso il nostro mondo. Potrebbe essere un semplice ‘Ci dispiace, vi avevamo avvisato.’.”
“Se però non fosse così?” ribatté Kevin. “Voglio dire, pensi davvero che farebbero lo sforzo di inviare un messaggio attraverso tutto lo spazio per una cosa del genere?”
“No, immagino di no,” disse Luna sembrando ora più seria.
“E se avessero trovato un modo per battere gli alieni, o costringerli a interrompere il controllo dei corpi della gente?” chiese Kevin. “E se ci fornissero un modo per migliorare le cose? Dobbiamo tornare. Beh… io devo. Cioè, tu potresti essere più al sicuro se…”
“Finisci quella frase e ti do un pugno,” disse Luna. “È ovvio che io vengo con te.”
“Ma pensavo che…”
“Pensavi di abbandonarmi per andare a farti un’avventura tutto da solo?” chiese Luna.
Kevin scosse la testa. “Pensavo che fossimo finalmente arrivati in un posto sicuro. Pensavo che magari non volessi rinunciarci. Io devo andare lì per tradurre il messaggio, ma nessun altro… ohi!”
Si massaggiò il braccio dove il pugno di Luna l’aveva colpito.
“Ti avevo avvertito,” gli disse con un ampio sorriso che suggeriva quanto lontana fosse dall’essere dispiaciuta. “Vengo con te, perché qualcuno deve stare attento che tu non venga preso dalla gente controllata. Inoltre, se c’è qualcosa lì che ci permetta di girarci e dar loro un calcio in culo per quello che hanno fatto, io voglio saperlo.”
Questa era una delle cose così incredibili di Luna. Non si arrendeva, neanche quando tutto diceva che fosse la cosa più sensata da fare. Avrebbe lottato contro ogni cosa, invasione aliena compresa.
“Ti ho mai detto quanto tu sia magnifica?” chiese Kevin.
“Non serve che tu me lo dica,” disse Luna con un altro sorriso. “Lo so. Francamente, sei fortunato ad essere mio amico.”
“Vero,” disse Kevin. Si fece serio per un momento. “Ci serve un piano se intendiamo tornare indietro.”
“Abbiamo bisogno di provviste,” disse Luna, iniziando a contare le cose sulle punte delle dita. “Ci servono cibo, forse strumenti per entrare, maschere…”
“Chloe ha detto che il vapore non c’è più,” sottolineò Kevin.
“E come fa lei a saperlo?” ribatté Luna. “Ok, ma preferisco averne una con me, giusto in caso. Tu puoi avere l’incarico di dirle che andiamo.”
“Magari vorrà venire con noi,” disse Kevin.
Luna fece una smorfia. “Direi che è meglio che lasciarla qua e chiederci se ci permetterà di rientrare dopo. Io inizio a mettere insieme le scorte. Tu vai a parlarle.”
***
Kevin attraversò il complesso sotterraneo alla ricerca di Chloe. Gli ci volle un po’ per trovarla negli intricati corridoi e magazzini, ma alla fine sentì la sua voce poco avanti. Sembrava parlare con se stessa.
“Non posso farlo… non posso farlo…”
Kevin guardò cautamente dalla porta del magazzino e vide Chloe seduta sul pavimento. C’erano delle cose sparpagliate attorno a lei in un modo che non sembrava accidentale. Era come se avesse colpito con un braccio un ripiano dello scaffale, sbattendo tutto a terra. Teneva la testa tra le mani e pareva stesse piangendo.
“Chloe?”
Sollevò lo sguardo mentre Kevin si avvicinavano, asciugandosi le lacrime come se avesse paura che potessero essere usate contro di lei.
“Sto bene,” disse, prima ancora che Kevin potesse chiederle se era tutto ok. “Sto bene.”
“Dicevo sempre che stavo bene quando la gente mi chiedeva della mia malattia,” disse Kevin, sedendosi accanto a lei. “Per lo più significava che non era così.”
“È solo che… mi arrabbio… a volte,” disse Chloe, e Kevin immaginò che avesse scelto con attenzione quella parola tra tutte quelle che le erano venute in mente. “Faccio delle cose senza pensarci davvero. È in parte il motivo per cui la gente diceva che ero pazza.”
“Io non penso che tu sia pazza,” disse Kevin.
Chloe sospirò. “Non mi conosci ancora. Sei venuto qui solo per sapere quanto casino stessi facendo?”
“No, certo che no,” disse Kevin. “Noi… io… penso che si debba tornare all’istituto di ricerca della Nasa. Con quello che ho visto, potrebbe esserci un messaggio, e potrebbe essere importante.”
“Vuoi andare nel mezzo della città, in un posto che potrebbe essere pieno di loro?” rispose Chloe. “È… non ha senso. Potremmo andare da qualsiasi parte. Ci sono i Sopravvissuti a LA, o mio cugino a nord…”
“Dobbiamo farlo,” disse Kevin. “Luna sta raccogliendo provviste, ed escogiteremo un piano per arrivare lì sani e salvi. Potresti restare qui se vuoi. Non serve che tu venga con noi se non pensi che sia abbastanza sicuro.”
“Non vuoi che venga con voi?” disse Chloe, e ora sembrava irritata come prima.
“Non è questo che ho detto,” disse Kevin.
“Ma è quello che intendevi, no?” ribatté Chloe.
“No,” rispose Kevin. “Ho solo pensato che poteva essere che tu non volessi venire. L’hai detto tu stessa che potrebbe essere pericoloso.”
Chloe scrollò le spalle. “Come vuoi.”
“Chloe,” disse Kevin, “non voglio…”
“Come vuoi,” ripeté Chloe con tono neutro. “Fate quello che volete. Non me ne frega niente. Vai a fare i tuoi stupidi preparativi.”
“Chloe…”
“Vai!” esclamò seccamente.
Kevin obbedì, sperando che lasciare Chloe da sola per un po’ la rendesse propensa a dialogare meglio più tardi, o qualcosa del genere. Era questo che faceva la gente, no? Parlavano delle cose e sistemavano tutto?
Per ora sapeva di dove probabilmente aiutare Luna a trovare le scorte per il loro viaggio. Avrebbero avuto bisogno di ogni genere di cose, dal gas per l’auto che avevano lasciato fuori, a vestiti e mappe. Passò oltre una porta con la parola “Armeria” stampata sopra e provò la maniglia, ma era chiusa a chiave. Forse era meglio così. Dubitava che lui e Luna potessero farsi strada in mezzo a un’orda di gente controllata, indipendentemente da quante armi avessero. E poi, solo il pensiero gli faceva venire in mente sua madre che correva verso di lui, o gli scienziati dell’istituto, o i genitori di Luna. Non pensava di essere in grado di poter fare del male a nessuno di loro.
Ci stava ancora pensando quando sentì degli allarmi scattare in direzione della stanza di controllo.
Kevin la raggiunse di corsa, sperando che fosse un falso allarme o un danno minore, ma in cuor suo sapeva che non era così. Sapeva esattamente chi era il responsabile di quell’allarme, e non voleva pensare a cosa lei stesse facendo.
Vide Chloe quando arrivò nella stanza di controllo. Stava premendo pulsanti sui computer con il volto rigato di lacrime, colpendoli con le dita come se spingendoli con maggior forza lì potesse far funzionare meglio.
“Chloe, cosa stai facendo?” chiese Kevin.
“Non sono tenuta a fare quello che dici. Non sono tenuta a fare quello che chiunque dice,” disse con tono determinato. “Non puoi tenermi qui. Devo uscire!”
“Nessuno sta tentando di…”
“Pensavo di piacerti. Pensavo che potessi essere mio amico, ma sei come tutti gli altri. Me ne vado. Non puoi fermarmi!”
Premette qualcos’altro, e il tono degli allarmi mutò. Delle parole generate dal computer risuonarono dagli altoparlanti.
“Procedura di emergenza avviata. Apertura porte. Prego uscire dalla base in maniera ordinata.”
“Cosa?” disse Kevin. “Chloe, cos’hai fatto?”
“Cosa sta facendo adesso?” chiese Luna arrivando di corsa nella stanza. Aveva in spalla uno zaino che stava ovviamente usando per raccogliere le provviste, ancora mezzo aperto nella fretta di arrivare lì. Non aveva un’espressione felice.
Ma non era comunque infelice come sembrava essere Chloe. “Intendevate abbandonarmi qui come una specie di… di prigioniera,” disse, e il suo tono era ansioso, arrabbiato e spaventato allo stesso tempo. “Non mi terrete qua dentro. Me ne vado da mio cugino. Vado a vedere cosa gli è successo. E poi andrò dai Sopravvissuti.”
Dietro di lei la grossa porta che dava sull’intercapedine si stava spalancando. Con shock di Kevin, lo stesso stava facendo la porta esterna, entrambe all’unisono disegnano un chiaro percorso verso l’uscita. Kevin vide all’esterno il sentiero di montagna, e gli alberi. Peggio, vide delle figure che si muovevano là fuori e che si voltavano tutte insieme sentendo quel rumore.
Praticamente non appena il passaggio fu libero, Chloe sfrecciò attraverso la porta, verso la montagna. Kevin era troppo scioccato da tutto ciò che era successo per tentare di fermarla, e Luna si stava mettendo in fretta e furia la maschera a gas, ovviamente ancora insicura se fidarsi o meno dell’aria esterna.
“La porta, Kevin!” gridò Luna mentre si affrettava a infilare la maschera. “Dobbiamo chiudere la porta!”
Kevin annuì. “Si, adesso.”
Almeno sperava di farcela. Poteva vedere la gente all’esterno che avanzava verso la porta: erano più di quanti avrebbe immaginato, dato che aveva pensato che gli alieni avessero ormai preso la gente. C’erano soldati ed escursionisti, intere famiglie che si muovevano in una sorta di silenziosa e innaturale coordinazione.
Kevin premeva pulsanti sul computer, sperando di rimediare a ciò che era stato fatto. Niente sembrava avere alcun effetto. Non aiutava il fatto che lui non avesse la più pallida idea di come funzionasse il sistema di computer. Non era che tutto fosse etichettato per chiunque volesse utilizzarlo. E poi sospettava che un’apertura di emergenza come quella non fosse così facile da invertire, in caso la gente restasse imprigionata all’interno. Colpiva i tasti del computer, sperando di trovare una qualche combinazione che potesse generare un qualche effetto.
Niente funzionò. Le porte rimasero aperte, un chiaro passaggio nei confronti dell’esterno, e ora, lungo il sentiero, la gente controllata dagli alieni, avanzava imperturbabile.
Stavano arrivando.
E se avessero raggiunto il bunker, Kevin era terrorizzato di ciò che sarebbe potuto accadere.
CAPITOLO QUATTRO
“Scappa!” gridò Kevin mentre la gente mutata dagli alieni si avvicinava pericolosamente al bunker. Luna stava già apparentemente ascoltando il suo suggerimento, lanciandosi verso i confusi meandri di quel posto, così veloce che Kevin faceva fatica a starle dietro.
Comunque erano sempre stati bravi a scappare. Ogni volta che finivano nei guai per essere andati in qualche posto dove non dovevano andare, riuscivano sempre a tenere testa a chiunque li inseguisse. Beh, almeno la maggior parte delle volte. Beh, almeno più della metà. Questa volta però Kevin sospettava che avrebbero avuto a che fare con qualcosa di ben peggiore che una severa lavata di capo, se le creature dietro di loro li avessero raggiunti.
Poteva sentire il tonfo dei loro piedi sul pavimento del bunker mentre li rincorrevano, il suono del loro inseguimento silenzioso eccetto che per il ticchettio degli stivali sul cemento. Non parlavano né gridavano mentre li inseguivano, non emettevano alcun suono, urlo o richiesta di fermata a Luna e Kevin. In qualche modo questo rendeva tutto più spaventoso.
“Da questa parte!” gridò Luna, conducendolo sempre più a fondo nella base. Passarono oltre l’armeria e ora Kevin provò il desiderio di avere qualche genere di arma, semplicemente perché gli sembrava l’unico modo per poter uscire da lì tutti interi. Dato che però non ne aveva una, decise di rovesciare ogni cosa incontrasse sul suo passaggio, spingendo un carrello in mezzo davanti alla gente che avanzava, chiudendo le porte dietro di sé. I colpi gli dicevano quando i loro inseguitori andavano a sbattere contro quegli ostacoli, ma fino ad ora niente di tutto questo parve essere in grado di rallentarli neanche un po’.
“Zitto adesso,” sussurrò Luna, tirando Kevin in un altro corridoio e rallentando, mettendosi a camminare in punta di piedi. Un gruppo di soldati ed escursionisti passò velocemente oltre un secondo dopo, muovendosi con tutta la velocità e la forza che sembravano derivare dall’essere controllati dagli alieni.
“Perché sono così veloci?” sussurrò Kevin cercando di trattenere il fiato. Non gli sembrava giusto che lo fossero. Il minimo che si sarebbe potuto aspettare da un’invasione aliena era di essere in grado di scappare nel modo più appropriato.
“Gli alieni li stanno probabilmente spingendo ad usare tutti i loro muscoli,” disse Luna, “senza badare a eventuali dolori. Sai, come quando le nonne sollevavano le macchine dalla gente.”
“Le nonne sollevavano le macchine dalla gente?” chiese Kevin.
Luna scrollò le spalle. Con la maschera a gas che ora teneva sul viso, era impossibile capire se stesse scherzando o no. “L’ho visto in TV. Hai ripreso fiato?”
Kevin annuì, anche se non era esattamente vero. “Dove andiamo? Se sono furbi, avranno lasciato delle persone all’entrata.”
“E allora andiamo dall’altro ingresso,” disse Luna.
L’uscita di emergenza. Kevin era stato così impegnato a pensare al bunker invaso che se ne era completamente dimenticato. Se fossero riusciti ad arrivarci, allora forse avevano una possibilità. Potevano arrivare all’auto e guidare fino alla NASA.
“Pronto?” chiese Luna. “Ok, andiamo.”
Scivolarono tra i corridoi e non poter vedere la gente controllata era in un certo senso peggio che poterla vedere. Erano così silenziosi che avrebbero potuto trovarsi dietro a ogni angolo, in attesa di afferrarli. E se l’avessero fatto, allora ciò che sarebbe successo poi non sarebbe valso…
“Scappa!” gridò Luna quando un braccio uscì di colpo da dietro un angolo per cercare di prenderla. Riuscì ad afferrarle un lembo della camicia, ma Kevin si spinse in avanti buttandosi di peso contro il braccio per bloccarlo.
Quello mollò la presa e lui e Luna si trovarono a correre ancora, svoltando e girando a caso nel tentativo di far perdere le loro tracce agli inseguitori. Non potevano correre più velocemente di loro in linea retta, quindi dovevano costantemente cercare spazi dove la gente controllata non potesse seguirli, tentando di usare la disposizione a labirinto del bunker come arma contro di loro.
“È qua dentro,” disse Luna indicando una porta.
Kevin dovette prendere le sue parole come oro colato. In quel momento si sentiva così perso da non poter neanche dire come tornare alla stanza di controllo. Si lanciò nella parte di corridoio insieme a Luna, poi chiusero la porta alle loro spalle e presero un estintore per il fuoco e tentarono di usarlo per bloccare la porta. Sembrava fragile come un pezzo di cartone confronto alla forza della gente controllata.
Ora dovevano solo aprire la botola di emergenza.
Kevin mise le mani sulla ruota e cercò di farla girare. Non successe nulla. Era così rigida che sembrava essere fatta di roccia. Tentò di nuovo, le nocche bianche per lo sforzo.
“Magari un piccolo aiuto?” le suggerì.
“Ma sembrava che ti stessi divertendo,” ribatté Luna da dietro la maschera, prima di afferrare la ruota insieme a lui tirandola. Era sempre bloccata.
“Dobbiamo provare con più forza,” disse Luna.
“Sto provando con tutta la forza che posso,” le assicurò Kevin.
“Beh, a meno che tu non voglia andare a chiedere a uno di quelli là fuori di darci una mano, dobbiamo fare di più. Al tre. Uno…”
Si sentì un colpo alla porta che Kevin aveva sbarrato.
“Tre!” disse, tirando la ruota con ogni rimasuglio di forza presente nel suo corpo. Luna parve avere la stessa idea, appendendosi completamente di peso alla manovella.
Alla fine, proprio mentre si sentiva un secondo colpo provenire dalla porta che avevano bloccato, la ruota si spostò. La fecero ruotare aprendola, mentre i muscoli di Kevin si facevano sentire dolorosamente. Poi Luna si tuffò all’esterno, non volendo vedere se Kevin volesse uscire per primo. Lui si affrettò a seguirla, chiudendo la botola dietro di sé nella speranza che il corridoio apparisse vuoto a chiunque li stesse inseguendo.
Lo spazio in cui si trovarono era stretto, piccolo come una specie di tunnel in cui strisciare. Se fossero stati degli adulti, ci sarebbero forse stati a malapena. Ma data la loro effettiva grandezza, c’era sufficiente spazio per permettere loro di avanzare carponi, dirigendosi velocemente verso un’altra botola dalla parte opposta. Fortunatamente quella non era incastrata e si aprì facilmente rivelando un versante montuoso dietro ad essa.
“Dobbiamo fare attenzione,” disse Luna sottovoce mentre tutti e due si calavano lungo il versante. “Potrebbero essere ancora qua fuori.”
E lo erano, perché Kevin poté scorgere delle figure in lontananza, che risalivano il pendio come a voler arrivare all’ingresso principale. C’erano degli alberi lì vicino, quindi lui e Luna vi si nascosero in mezzo, restando bassi in modo da non farsi vedere.
Strisciarono risalendo la montagna, cercando di capire esattamente dove avessero nascosto l’auto della dottoressa Levin. Se fossero riusciti ad arrivare all’auto, allora sarebbero riusciti ad uscire da lì, lasciandosi alle spalle la gente controllata dagli alieni e andando alla base.
Kevin scorse il veicolo poco più avanti, proprio dove l’avevano lasciato, ben nascosto. Strisciò verso di esso… e fu lì che vide Chloe che sbucava da una curva lungo la strada di montagna che conduceva dal parcheggio alla cima. C’era un gruppo di turisti che si muovevano nello strano coordinato silenzio di coloro che erano controllati dagli alieni e che la stavano inseguendo guadagnando man mano sempre più terreno.
“Dobbiamo aiutarla,” disse Kevin.
“Dopo tutto quello che lei ha appena fatto?” ribatté Luna. “Le servirà da lezione se la lasciamo diventare un’aliena. Darà probabilmente meno problemi.”
“Luna,” disse Kevin.
“Sto solo dicendo che non si merita per niente il nostro aiuto,” disse Luna.
Le persone controllate erano quasi addosso a Chloe ormai.
“Probabilmente è vero,” disse Kevin. Iniziò ad avanzare. “Ma io la aiuto lo stesso.”
Partì dirigendosi verso Chloe, e non fu tanto sorpreso di trovarsi Luna al seguito.
“Lo sto facendo per te, non per lei,” gli disse.
“Certo,” confermò Kevin, correndo più velocemente.
“E puoi smettere di fare quel sorrisino,” continuò Luna. “Lo sto facendo solo perché verresti alienizzato se non ti dessi una mano.”
“Alienizzato?” chiese Kevin.
“Penserò più tardi a una parola migliore,” disse Luna.
Erano quasi arrivati a Chloe ora. Uno degli uomini controllati fece per prenderla, ma Kevin e Luna furono più veloci e la afferrarono trascinandola fuori dal sentiero e portandola in mezzo agli alberi. La discesa era insidiosa, ma forse quello era un vantaggio, dato che uno degli individui controllati inciampò e rotolò oltre.
“Siete tornati per me,” disse Chloe. “Siete…”
“Smettila di parlare e continua a correre,” disse seccamente Luna. “La macchina è qua più avanti.”
E un altro escursionista era proprio alle loro spalle, muovendosi con la tenacia di un lupo che insegue un cervo. Kevin non voleva pensare a come andavano generalmente a finire quel genere di cose, ma continuò a correre, cambiando spesso direzione in mezzo agli alberi.
L’escursionista controllato dagli alieni fece per afferrarlo, ma Kevin riuscì a schivarlo. Con sua sorpresa Chloe era accanto a lui e spinse l’uomo di lato, facendolo inciampare più in basso lungo la discesa, incespicando per arrestare la propria caduta. Sorrise, anche se Kevin rabbrividì, perché anche se c’era un alieno a controllare quel corpo, si trattava pur sempre di una persona, e se mai fossero riusciti a riportarla indietro, lo avrebbero di certo voluto senza ossa rotte.








