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“E il tuo amichetto, non dimenticartelo,” aveva risposto Luna.
“Fai la furba solo perché pensi che non le darei a una ragazza! Beh…”
Luna gli aveva dato un pugno sul naso, soprattutto perché si stava stancando ad aspettare che quello sbruffone facesse qualcosa. Il ragazzo aveva ringhiato e si era messo a rincorrerla. Ma lei era scattata via velocissima.
Non lo aveva ricondotto verso dove era venuta, perché quella era una sua strada, ma conosceva tanti altri posti. Per puro divertimento era passata in mezzo a un giardino dove c’era sempre la piscina piena, e aveva sentito uno splash alle proprie spalle quando uno dei ragazzi non era riuscito a fermarsi in tempo. Da lì Luna si era arrampicata su uno dei tetti vicini, poi aveva proseguito verso il parco, entrando in un giardino dove viveva un grosso cane rabbioso, attenta a camminare solo negli spazi che erano fuori dal raggio della sua catena. Un ringhio e un grido di paura dietro di lei le avevano fatto capire che anche il secondo ragazzo era finito in trappola.
“Ti prenderò!” le aveva gridato.
Luna si era messa a ridere. “Però dovrai spiegare alla gente come sono riuscita a darti un pugno sul naso e a passarla liscia!”
Era tornata di corsa verso Kevin, che la stava aspettando con la sicurezza di qualcuno che aveva già visto quel giochetto.
“Sai, avresti potuto prenderlo,” gli disse, cercando di apparire duro.
Luna riuscì a non ridere. “Ma è più divertente così. Andiamo, puoi pagarmi la pizza per averti salvato.”
“Ma non mi hai salvato. Avrei potuto prenderlo…”
***
Luna sorrise al ricordo, o lo avrebbe fatto se fosse stata capace di muovere la faccia. Cercò di pensare al nome del bullo, perché era certa di conoscerlo. Ma quale bullo? A cosa stava pensando un secondo fa? Il fatto di non poterlo ricordare la fece fermare inorridita. Ci stava pensando solo un momento fa, e ora era sparito, come… come…
Luna cercò di afferrare i ricordi, ci provò davvero. Sapeva di avere dei ricordi, un’intera vita di memorie. Aveva amici, e una vita, e dei genitori… ovviamente aveva dei genitori, quindi perché non riusciva a ricordare i loro volti? Forse non aveva dei genitori. Forse tutto questo era solo un gioco malato. Forse lei era sempre stata così, ed era solo in qualche modo difettosa, convinta di essere stata diversa come distrazione dal lavoro che gli alieni volevano farle…
No, pensò Luna con forza. Io sono io. Sono Luna. Mi hanno trasformata loro, e ho dei veri ricordi… da qualche parte.
Però non era sicura di dove fossero. Ogni volta che tentava di afferrare quello che sembrava essere l’inizio di un ricordo, quello le scivolava via in una grande nebbia di pensieri che parevano consumare ogni parte di lei. Luna cercò di trascinarsi fuori da quella nebbia, ma quella avanzava sempre più attorno alla propria coscienza, riempiendo ogni cosa, portando via piccoli pezzi di ricordi, di parole, di personalità.
All’improvviso vide qualcosa. Era semplicemente tanto diverso dal resto da risvegliarla, anche se solo per un secondo.
C’era un uomo che si stava avvicinando. Avanzava senza paura. Un uomo vero. Non controllato.
Come poteva essere?
Laddove Luna e gli altri si muovevano con sincronia quasi meccanica, lui avanzava a piccoli scatti furtivi, tenendo in mano quella che sembrava una pistola.
Non sembrava un soldato però. Assomigliava più a un pirata incrociato con un professore. Aveva i capelli spettinati e arruffati, una mezza dozzina di orecchini su un orecchio e gli inizi di una barba. Indossava una giacca in tweed e una camicia con dei jeans e scarponcini da montagna. Non indossava una maschera, e la cosa non aveva per niente senso.
Luna si spostò andandogli incontro, le mani che si allungavano per afferrarlo, tanto veloce che lui non poté neanche saltare indietro. O forse era semplicemente che non voleva neppure provarci. Anche se lui era un adulto e lei solo una ragazzina, Luna aveva sufficiente forza da tenerlo fermo mentre la sua bocca si apriva sempre più e una grande nuvola di vapore le usciva dalla gola. Sentendosi quasi in colpa, Luna soffiò il vapore verso l’uomo, avvolgendolo in una nube tanto densa da farlo tossire.
Luna fece un passo indietro. Era evidente che gli alieni che la controllavano stavano aspettando la trasformazione. L’uomo rimase fermo, sollevando la pistola che teneva in mano, e Luna provò un’ondata di paura. Magari non avrebbe provato dolore, ma era piuttosto sicura che se qualcuno le avesse causato sufficienti danni, sarebbe potuta comunque morire. Per un momento si trovò a pensare che il vapore che aveva esalato si impossessasse di lui prima che potesse sparare. Non voleva morire. Poi si sentì in colpa per averlo anche solo pensato. Non avrebbe dovuto augurare a nessuno una cosa del genere.
Ma la pistola non sparò.
Ne uscì invece una nuvola di vapore verde-blu che si riversò nei suoi polmoni a ciascuno respiro. Lei fece per allungare le mani e deviare il getto della pistola, e probabilmente per fare a lui lo stesso, ma accadde una stranezza quando le sue braccia si erano sollevate solo di metà.
Luna si fermò.
Con un movimento unico rimase immobile sul posto, il battito cardiaco che si faceva sempre più forte. Sentì il mondo che le ruotava attorno.
Cadde involontariamente in ginocchio. Sentì la pelle che si sbucciava contro il terreno duro, lo sentì sul serio, e la sensazione si presentò simile a quando il sangue riprende a scorrere in una gamba o in un braccio dopo che sono stati intorpiditi. Faceva male, e Luna gridò.
Non ci poteva credere.
Era tornata.
Era di nuovo se stessa. Non era più controllata.
Scavò nei propri ricordi per accertarsi che fossero lì, che non fossero andati perduti per sempre. Immaginò il volto di Kevin, e i suoi genitori come erano stati nel primo compleanno che poteva ricordare. Fece un sospiro di sollievo, e non solo per se stessa. Significava che la gente che era stata trasformata non era perduta.
Avrebbe voluto gridare di gioia. Abbracciare quell’uomo e non lasciarlo andare più.
Lo fissò meravigliata.
Lui le sorrise curioso, in modo quasi accademico.
“Cavolo,” disse, “sembri rispondere molto più velocemente degli altri soggetti con cui ho provato. Oh, perdonami, che maniere. Mi chiamo Ignazio Gable. Il vapore che hai appena respirato è un vaccino che ho creato per controbattere agli effetti del controllo alieno. Dovresti avere a breve il pieno controllo di te. Ora immagino che avrai un sacco di domande su cosa stia succedendo, ma non siamo esattamente nel posto giusto per chiacchierare, qui. Quindi, a meno che non vogliamo farci ammazzare tutti e due, ti suggerisco di venire con me.”
Luna sbatté le palpebre, stupefatta, e seguì il suo sguardo, vedendo un sacco di gente controllata che si avvicinava a loro.
“ORA!” gridò l’uomo.
I controllati iniziarono a calare su di loro in gruppo. Luna li guardò avvicinarsi nel tentativo di afferrarli. L’uomo li spruzzò con la pistola, ma per gli altri non parve funzionare.
Luna corse in avanti, lanciandosi nella folla e scivolando negli spazi liberi, approfittando della sua piccola statura, passando sotto le braccia e tra le gambe, afferrando il braccio di Ignazio senza lasciarlo più andare.
Luna scorse Lupetto e Orso, e il resto dei motociclisti. Quindi afferrò la pistola e ruotò su se stessa.
“Cosa stai facendo?” gridò Ignazio allarmato.
Lei spruzzò una nuvola di vapore che iniziò a rallentare i controllati che la circondavano, arrivando a Lupetto e a Orso e a tutti gli altri.
“Andiamo,” disse tenendo il dito sul grilletto. “Cambiate!”
Luna vide Lupetto sbattere le palpebre alla luce del sole, allungando le mani e fissandole.
Poi si guardò attorno fino a che vide Bobby nascosto all’ombra di un edificio e tese una mano verso di lui.
E poi si girò insieme agli altri e si mise a correre.
E non si fermò.
CAPITOLO QUATTRO
Kevin rabbrividì quando Puro Xan entrò nella stanza in cui si trovavano lui e Chloe. Stare lì appeso, solo e senza sorveglianza era già di per sé orribile, ma in qualche modo sapeva che non poteva essere peggio di quello che gli alieni avrebbero deciso di fare loro adesso.
“La paura è una debolezza,” disse Puro Xan, le parole che arrivavano con leggero ritardo per mezzo del suo traduttore. “Semplicemente una delle tante che noi abbiamo sconfitto.”
“Cosa intendi dire?” chiese Kevin. Cercò di tenere a bada la paura che provava, perché non voleva che l’alieno la notasse.
Chloe sembrava sufficientemente spaventata per entrambi, ma pareva anche arrabbiata. Se non ci fosse stata la gravità distorta che li teneva attaccati alle cornici, Kevin immaginava che avrebbe tentato di attaccare l’alieno.
“Un tempo eravamo essere più deboli,” disse Puro Xan, facendo un gesto così che un sezione della parete divenne uno schermo che mostrava cose simili ai Puri, ma allo stesso tempo diverse. Non avevano la pelle così liscia, l’aspetto così aggraziato e perfetto, e di certo non possedevano quel senso di fredda implacabilità che era loro tipico. Erano proprio il genere di cose che i Puri dovevano essere stati molto tempo prima.
“Abbiamo lottato e fatto la guerra tra noi. Abbiamo trasformato il nostro mondo in un posto quasi invivibile con le armi che abbiamo usato.”
L’immagine sullo schermo mutò, mostrando un mondo che si presentava inizialmente verde e lussureggiante, ma dove poi le piante appassivano e morivano e le esplosioni devastavano la superficie, con fuoco e venti sferzanti che si dispiegavano dal centro delle città.
“Abbiamo dovuto trovare dei modi per adattarci.”
“Attaccando la gente di altri mondi,” disse Kevin. “Ingannandoci per indurci a farvi entrare e poter poi controllare le menti della gente.”
“Siete malvagi,” aggiunse Chloe. “Non siete nient’altro che dei mostri.”
Puro Xan li guardò con un abbozzo di emozione. Kevin dubitava che la creatura fosse capace di provarne, e questo in qualche modo faceva ancora più paura di quanto Chloe aveva affermato. Quelle creature erano perfide, o piene di odio, o determinate a spazzare via tutto ciò che temevano. Agivano con la calma e freddezza di un ghiacciaio che rotola schiacciando una città, senza curarsi delle vite presenti.
“I vostri mondi non hanno importanza,” disse Puro Xan. “Voi non appartenete all’Alveare. Non fate parte dei Puri.”
“Pensate veramente di essere le uniche cose importanti dell’universo?” chiese Chloe.
“Siamo i Puri,” rispose Xan, come se ciò desse risposta a tutto. “Abbiamo creato l’Alveare per risolvere le guerre del nostro mondo. Nel metterci insieme, abbiamo imparato ad andare oltre le debolezze delle emozioni. Abbiamo imparato dai mondi più vicini come trasformare gli inferiori in ciò che vogliamo. Abbiamo costruito le navi Alveare per portarci a raccogliere materiali con cui rigenerare il nostro mondo per i Puri.”
“Quindi non fate altro che prendere e prendere, e non date niente in cambio,” disse Kevin.
“Tutto il resto è inferiore,” disse Puro Xan. “È tutto nostro.”
“Fino a che non vi fermeremo,” disse Chloe, lottando contro la gravità che la teneva ferma. Se era come quella che bloccava Kevin tenendolo attaccato al pannello di vetro, sapeva benissimo che non aveva alcuna possibilità di liberarsi, ma immaginò che dirglielo non l’avrebbe persuasa a fermarsi. Se non altro avrebbe probabilmente solo peggiorato le cose.
“Voi siete deboli. Non potete fermare l’Alveare,” disse Puro Xan.
“E allora perché siamo ancora qui?” chiese Kevin. “Se pensi che siamo così deboli e inutili, perché non ci avete uccisi nel momento in cui siamo arrivati sulla vostra… nave?”
“Non distruggiamo ciò che è utile,” disse Pur Xan. “Lo raccogliamo. È il nostro scopo.”
Utile. Kevin non era sicuro che l’idea di essere utile a una cosa come quella gli piacesse. Da quello che aveva visto accadere alle altre creature che gli alieni avevano trovato utili, essi non facevano che rimodellare le loro carni, trasformandoli. Aveva già provato il dolore dovuto al processo con cui gli alieni gli avevano rovistato tra i pensieri. Le visioni che aveva avuto del mondo alieno erano state ancora peggio.
“Io non voglio esservi utile,” disse Kevin.
“Non hai altra scelta,” disse Puro Xan. “Dovresti esserci riconoscente. I prescelti di un mondo vengono generalmente distrutti, per evitare che diventino… un pericolo per noi. Voi siete sopravvissuti perché vi abbiamo permesso di farlo.”
“Perché?” insistette Kevin.
Puro Xan non rispose per un momento o due. Si mosse invece nella stanza, sistemando alcune cose attorno a un macchinario.
“Intendono guardare ancora nelle nostre teste, Kevin,” disse Chloe, terrorizzata all’idea. “Useranno ancora quelle cose con i tentacoli.”
“Non su di te,” disse Puro Xan con voce quasi sprezzante. “Ti sarai abbastanza intrigante da dissezionare e rimettere insieme. La tua mente è piuttosto interessante, ma non tanto da continuare a lavorarci.”
“Non potete vivisezionare Chloe!” gridò Kevin, lottando contro la gravità che lo imprigionava. Per quanto si dimenasse per liberarsi, la forza lo teneva attaccato alla cornice. La pressione lo teneva sdraiato, come se avesse avuto un peso di piombo schiacciato contro il petto.
“Noi facciamo quello che ci pare e piace,” disse Puro Xan. “Se questo è l’uso migliore che possiamo fare della donna per il bene dell’Alveare, allora è ciò che accadrà. Saremo generosi però. Potrai decidere ciò che le succederà.”
“Allora scelgo che non venga vivisezionata!” disse Kevin.
“Dopo che avremo finito,” disse Puro Xan. “Dopo che ti sarai unito al nostro Alveare.”
“Cosa?” disse Kevin scuotendo la testa. “Non se ne parla.”
L’alieno gli si avvicinò, i dispositivi con i tentacoli pronti alla mano.
“Il tuo cervello ha delle capacità che l’Alveare richiede,” disse Puro Xan. “Quindi verrai con noi.”
L’alieno lo fece suonare come un fatto innegabile, come se fosse semplicemente il modo in cui andava il mondo. Fece suonare l’idea ovvia e naturale, come dire che l’acqua è bagnata, o che il sole è caldo. Ma non c’era niente di naturale nelle cose con i tentacoli che Puro Xan teneva in mano.
“E allora?” chiese Kevin, più che altro perché ogni occasione per ritardare la situazione gli appariva come una buona idea. “Intendete trasformarmi in un Puro come voi? Perderò tutti i capelli e mi verranno quegli occhi assurdi?”
Magari, se Kevin fosse riuscito a infastidire abbastanza l’alieno, lo avrebbe potuto distrarre da ciò che intendeva fare. Ovviamente poi quello avrebbe potuto decidere di fargli cose totalmente peggiori, ma in quel momento a Kevin non veniva in mente niente di peggio che essere trasformato in uno di loro.
“Non appartieni ai Puri,” disse Puro Xan. “Ma puoi essere trasformato in uno dell’Alveare. Diventerai un nostro emissario, uno dei nostri prescelti. Dovresti essere felice dell’onore che ti riserviamo.”
“Pensate che per Kevin sia un onore avere il cervello invaso?” chiese Chloe.
“Non sarà un’invasione,” disse Puro Xan. “Kevin ci accoglierà. Accetterà di diventare uno di noi.”
“Perché dovrei accettare?” chiese Kevin. “Perché non lo fai e basta, visto che intendi comunque farlo, invece di continuare con i tuoi giochetti?”
L’alieno parve quasi offeso, anche se Kevin dubitava che potesse provare anche quella emozione. Dubitava che potesse provare qualsiasi cosa.
“Noi non facciamo nessun giochetto,” disse. “I cervelli della nostra specie sono delicati però, e ci serve che il tuo sia intatto per i compiti che l’Alveare ha in serbo per te. Se ti ribelli troppo durante il processo, c’è la possibilità che il tutto resti… danneggiato.”
“Mi ribellerò di certo,” promise Kevin. “Morirei piuttosto che fare qualsiasi cosa per aiutarvi.”
L’alieno rimasse fermo a fissarlo, apparentemente non comprendendo ciò che aveva appena detto. Guardò Kevin con un leggero cipiglio, piegando la testa di lato come se stesse ascoltando qualcosa che solo lui riusciva a sentire. Kevin aveva la sensazione che stesse cercando di capirlo, per decidere nel frattempo il da farsi.
“La tua affermazione è da sciocchi,” disse Puro Xan. “Cedere è a tuo totale vantaggio. Così potrai continuare ad esistere.”
“Tanto morirò comunque,” disse Kevin, pensando per un momento a quando il dottore gli aveva diagnosticato la sua malattia, dicendogli quanto poco tempo gli restasse da vivere. “Pensi che le tue minacce mi importino?”
L’alieno lo fissò per un altro momento o due, e di nuovo Kevin ebbe la sensazione che stesse ricevendo consigli dagli altri della sua specie.
“Possiamo salvarti,” disse, lasciando cadere lì le parole come pesi di piombo.
Lo shock di quell’affermazione assalì Kevin come una secchiata di acqua fredda. I migliori scienziati che la Terra avesse da offrire avevano tentato di aiutarlo, fallendo. Ora questi alieni gli stavano offrendo di farlo stare bene come se non fosse niente.
“Stai mentendo,” rispose. Doveva credere che stessero mentendo. “Hai già mentito su tante cose. Pensi che ti crederò?”
Pensò a tutti i modi in cui avevano mentito per indurlo ad aiutarli con la loro invasione della Terra. Gli avevano detto di essere dei rifugiati provenienti da un altro pianeta e in cerca di salvezza. Gli avevano raccontato che erano loro quelli che stavano sfuggendo alla distruzione, non coloro che l’avevano causata.
“Hai visto quello che possiamo fare,” disse Puro Xan. “Possiamo manipolare la carne in modi che la tua mente umana non può neanche immaginare. I Puri dell’Alveare sono preservati in maniera quasi indefinita. Abbiamo ogni motivo per volerti in vita. Potremmo guarirti, se appartenessi all’Alveare.”
Cosa poteva dire Kevin di fronte a quel genere di tentazione? Era tutto ciò che aveva desiderato dal momento in cui il dottore gli aveva detto quello che gli stava succedendo. Quando era stato all’istituto della NASA, aveva segretamente sperato che uno degli scienziati lì potesse trovare un qualche modo per aiutarlo, per far fermare tutti i tremori e il dolore. Aveva pensato di poter dare praticamente ogni cosa pur di stare di nuovo bene. Fu uno sforzo enorme per lui ora scuotere la testa.
“Se devo morire impedendo quello che volete, allora è quello che farò,” disse. Lo intendeva sul serio. Voleva vivere, aveva sperato in una cura, ma ormai aveva avuto un sacco di tempo per accettare quello che gli stava succedendo. Se morire poteva aiutare a fermare gli alieni… beh, non voleva, ma l’avrebbe fatto.
“E cosa mi dici delle altre cose che l’Alveare ha da offrirti?” gli chiese Puro Xan. “Ci dicono che la vostra specie dà importanza a genitori e amici. In quanto appartenente a noi, potresti decidere cosa fare di coloro che controlliamo.”
Kevin deglutì, pensando a sua madre, pensando a Luna. C’erano così tante persone che conosceva sulla Terra, ora così lontana da non essere più visibile sullo schermo. Se avesse potuto aiutarli… no, se gli alieni volevano qualcosa da lui, questo non li avrebbe aiutati per niente.
“E poi c’è la questione della tua amica qui,” disse Puro Xan. “Come ho detto, in quanto appartenente all’Alveare, potresti determinare il suo destino. Se non lo fai, la donna subirà degli esperimenti, proprio davanti ai tuoi occhi.”
Kevin rimase impietrito, spostando lo sguardo da Chloe all’alieno più volte.
“No, Kevin. Non farlo,” disse Chloe. Kevin poteva sentire la sua disperazione. “Lascia che mi uccidano. Che facciano quello che serve!”
Kevin poteva percepire la sincerità nella sua voce, ma… non poteva farlo. Non poteva starsene lì a guardare mentre Chloe moriva. Sapeva che l’avrebbero fatto. C’era qualcosa nel modo freddo e privo di emozione in cui Xan aveva posto la sua minaccia che la rendeva qualcosa di diverso: non esattamente una minaccia, ma più una semplice dichiarazione di ciò che sarebbe successo.
“Ti modificheremo comunque,” disse Puro Xan. “È semplicemente questione di quanto ti ribelli, e di quanto faccia male. Prendi la tua decisione, Kevin McKenzie.”
“Ribellati a loro, Kevin,” disse Chloe. “Non cedere!”
Kevin la guardò, cercando di non pensare a tutte le cose che gli alieni avrebbero potuto farle. Era impossibile però fare qualsiasi cosa che non fosse immaginarsi quello che le sarebbe successo quando avessero iniziato ad eseguire esperimenti su di lei. Poteva davvero starsene a guardare mentre iniziavano a farla a pezzi per vedere come funzionava, o si mettevano a trasformarla in qualcosa che non era umano? Poteva farlo, quando questo li avrebbe solo portati a trasformarlo con la forza?
Non poteva, e lo sapeva bene.
“Va bene,” disse, odiando ogni singola parola. “Fatelo.”
“Lo avremmo fatto comunque,” gli assicurò Puro Xan. “Farà più male, tanto più ti ribellerai.”
“Kevin,” disse Chloe. “Ti prego, ribellati. Devi restare te stesso. Devi restare forte.”
Quella era sicuramente la loro unica speranza. Non potevano liberarsi. Non potevano lottare fisicamente. L’unica possibilità era diventare uno dell’Alveare e in qualche modo sperare di conservare qualcosa di sé…
Non portò neppure a termine quel pensiero che Puro Xan gli applicò i tentacoli sulla testa, e l’Alveare entrò invisibile nel suo cervello.
Kevin gridò di dolore, un dolore netto e improvviso, come se una stalattite gli fosse stata piantata in mezzo alla mente. Pensava di essersi abituato al dolore con la sua malattia; aveva pensato di aver imparato cosa fosse, ma ora si rendeva conto che non era proprio niente confronto a ciò che gli stava succedendo adesso. Poteva sentire i tentacoli che frugavano tra i suoi pensieri e i suoi ricordi, la spiacevole sensazione, fin troppo familiare ormai, di quando gli alieni gli avevano testato la mente la prima volta.
Ma questo pareva in qualche modo diverso, perché questa volta gli alieni non stavano solo guardando.
Kevin poteva sentire l’Alveare dentro ai suoi pensieri, mente sopra a mente, tutte unite e potenti. Era caldo e freddo e doloroso, tutto allo stesso tempo. Era come vetro smerigliato lavorato in mezzo ai suoi pensieri. Poteva sentire il lavaggio dei controllati ai confini, non proprio parte reale del tutto. Poteva sentire le menti affilate di cose avvezze alla guerra, e i pensieri più morbidi e lenti di bestie da soma. Poi c’erano i Puri e i loro schiavi, scie luccicanti che spiccavano in mezzo a tutta quella rete.
Vieni a noi, lo incalzavano, le voci profonde e seducenti. Diventa uno di noi.
Kevin cercò di divincolarsi, e lo sforzo gli fece più male di quanto avesse potuto immaginare. Si sentì gridare, ma il suono parve venire da lontano. C’erano come degli artigli che lo tenevano fermo, conficcati nel suo cervello, troppo potenti per poterli ignorare.
Lo stesso Kevin continuò a lottare. Poteva sentire l’Alveare che si muoveva dentro di lui, prelevando parti della sua mente nel modo in cui un esercito invasore avrebbe potuto saccheggiare campi e città. Kevin iniziò a nascondere parti di se stesso, ricordando il modo in cui nascondeva la propria paura per il bene di sua madre, cercando di nascondere quello che poteva mentre gli alieni continuavano ad avanzare all’interno del suo cervello. Se fosse riuscito a resistere abbastanza, magari avrebbe trovato un modo per tenersi staccato dall’Alveare. Per rimanere se stesso.
Sentì il momento in cui lo collegarono all’Alveare, passando dal vedere tutte le scie separate ad esserne una parte. Poteva sentire i messaggi e i pensieri degli altri, gli ordini dei Puri e l’obbedienza del resto.
Una mente che divide le cose, pensò un Puro nei suoi confronti.
Una mente che è proprio quello che ci serve, confermò un altro.
Kevin poteva sentire la presenza di Puro Xan accanto a sé. Svegliati, Kevin, entra nella tua nuova vita.
Kevin aprì gli occhi di scatto. Non ricordava di averli chiusi. Il mondo attorno a lui sembrava strano, avvolto in uno scintillio di nuovi colori, dettagli che non avrebbe mai notato prima con i suoi occhi. Era come se fosse capace di concentrarsi su ogni movimento della polvere o cambiamento di colore.








