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Kyra si voltò verso la fonte del suono, dall’altra parte della scuderia, e improvvisamente si udì anche il rumore di legno spezzato. Vide la posta spaccarsi e pezzi di legno volare ovunque. Questo generò il caos mentre numerosi uomini accorrevano cercando di chiudere la porta spaccata. Ma c’era un cavallo che continuava a colpirla con gli zoccoli.
Kyra corse verso quella confusione.
“Dove stai andando?” le chiese Baylor. “I cavalli migliori sono qui.”
Ma Kyra lo ignorò prendendo velocità, con il cuore che le batteva sempre più forte. Sapeva che la stava chiamando.
Baylor e gli altri accorsero per raggiungerla mentre si avvicinava all’estremità delle scuderie e quando fu arrivata si girò e sussultò alla vista che aveva davanti. Lì c’era quello che sembrava essere un cavallo, ma era grande due volte gli altri e aveva le gambe spesso come tronchi. Aveva due piccoli corni affilati come rasoi dietro alle orecchie, appena visibili. Il suo manto non era nero o marrone come gli altri, ma scarlatto scuro. Gli occhi, diversamente dai suoi simili, erano verdi e luccicanti. La guardava intensamente, un’intensità che la colpiva al petto togliendole il fiato. Kyra non riusciva a muoversi.
La creatura, torreggiante su di lei, emise un suono simile a un ringhio e mostrò le zanne.
“Che cavallo è mai questo?” chiese a Baylor con voce poco più alta di un sussurro.
Lui scosse la testa con atteggiamento di disapprovazione.
“Questo non è un cavallo,” disse accigliandosi, “ma una bestia selvaggia. Molto rara. Si tratta di un solzor. Importato dai remoti confini di Pandesia. Il Lord governatore lo ha tenuto come un trofeo da mettere in mostra. Non poteva cavalcare questa creatura, nessuno poteva. I solzor sono bestie selvagge e non possono essere domati. Vieni, stai sprecando tempo prezioso. Torniamo dai cavalli.
Ma Kyra rimase ferma, radicata sul posto, incapace di distogliere lo sguardo. Il cuore le martellava nel petto capendo che quella creatura era destinata a lei.
“Scelgo questo,” disse a Baylor.
Baylor e gli altri sussultarono, tutti fissandola come se fosse pazza. Seguì in silenzio carico di stupore.
“Kyra,” iniziò Anvin. “Tuo padre non ti permetterà mai…”
“È la mia scelta, no?” rispose lei.
Lui si accigliò e si portò le mani ai fianchi.
“Quello non è un cavallo,” insistette. “È una creatura selvaggia.”
“Ti ucciderà all’istante,” aggiunse Baylor.
Kyra si voltò verso di lui.
“Non sei stato tu a dirmi di fidarmi del mio istinto?” gli chiese. “Bene, questo è ciò che il mio istinto mi dice. Questo animale e io ora ci apparteniamo.”
Il solzor tirò improvvisamente indietro le grosse gambe, calciò contro un altro cancello di legno e fece volare schegge ovunque addosso agli uomini. Kyra era impressionata. Era selvaggio e indomito, magnifico, un animale troppo grande per quel posto, troppo grande per stare in cattività e molto superiore agli altri.
“Perché dovrebbe ottenerlo?” chiese Brandon facendosi avanti e spingendo gli altri da parte. “Io sono più grande, dopotutto. Lo voglio io.”
Prima che lei potesse rispondere, Brandon si fece avanti come per prenderlo. Fece per saltargli in groppa e quando fece così il solzor sgroppò selvaggiamente e lo disarcionò. Brandon volò dall’altra parte della scuderia e andò a sbattere contro una parete.
Allora accorse Braxton, anche lui come per impossessarsene e subito la bestia fece ruotare la testa di lato e gli ferì un braccio con le affilate zanne.
Sanguinante Braxton gridò e scappò correndo dalla scuderia tenendosi stretto il braccio. Brandon si rimise in piedi e lo seguì dappresso mentre il solzor lo mancava per un pelo nel tentativo di morderlo.
Kyra rimase al suo posto, come ipnotizzata, ma in qualche modo senza provare alcuna paura. Sapeva che per lei sarebbe stato diverso. Provava un collegamento con quella bestia, lo stesso legame che aveva con Theo.
Improvvisamente si fece avanti coraggiosamente portandosi dritto davanti a lui, alla portata delle sue fauci letali. Voleva dimostrare al solzor che poteva fidarsi di lei.
“Kyra!” gridò Anvin con voce preoccupata. “Stai indietro!”
Ma Kyra lo ignorò. Rimase lì guardando la bestia negli occhi.
Il solzor ricambiò lo sguardo emanando un sommesso ringhio dalla gola, come se dibattuto sul da farsi. Kyra tremava dalla paura, ma non lo diede a vedere.
Si sforzò invece di dimostrare il suo coraggio. Sollevò lentamente una mano, fece un passo in avanti e toccò il pelo scarlatto. La bestia ringhiò con maggiore vigore, mostrando le zanne, e Kyra poté sentire la sua rabbia e frustrazione.
“Slegatelo,” ordinò agli altri.
“Cosa?” chiese uno degli altri.
“Non è una saggia decisione,” esclamò Baylor con voce colma di paura.
“Fate come dico!” insistette lei sentendo la forza salire dentro di sé, come se la volontà della creatura le passasse attraverso.
Dietro di lei i soldati si affrettarono con le chiavi e aprirono le catene. Per tutto il tempo la bestia non le levò mai gli occhi di dosso, ringhiando come se la stesse chiamando, come per sfidarla.
Non appena si trovò slegata, la creatura pestò le gambe a terra come a minacciare un attacco.
Ma stranamente non fece nulla. Invece continuò a guardare Kyra fissando i propri occhi nei suoi e il suo sguardo di rabbia lentamente si trasformò in un’occhiata di tolleranza. Forse addirittura di gratitudine.
Sebbene leggermente, sembrò abbassare la testa: si trattava di un gesto di sottomissione, quasi impercettibile eppure tale che lei potesse scorgerlo.
Kyra si fece avanti, si tenne alla criniera e con una rapida mossa montò in sella.
Tutti nella stanza sussultarono.
Inizialmente la bestia rabbrividì e iniziò a scalpitare. Ma Kyra sentiva che lo faceva per mettersi in mostra. Non voleva veramente disarcionarla. Voleva solo far capire chi comandava e farla stare sulle spine. Voleva farle sapere che lui era una creatura selvaggia, una creatura che non poteva essere domata da nessuno.
Non ho alcuna intenzione di domarti, disse Kyra con il pensiero. Desidero solo essere tua compagna in battaglia.
Il solzor si calmò, continuando a scalpitare ma non così selvaggiamente, come se l’avesse udita. Presto smise di muoversi, perfettamente immobile sotto di lei, soffiando nei confronti degli altri come a volerla proteggere.
Kyra, seduta sul dorso del solzor, ora calmo, abbassò lo sguardo e osservò gli altri. Un mare di volti scioccati e bocche aperte la guardavano.
Kyra mostrò un largo sorriso provando un enorme senso di trionfo.
“Questo,” disse, “è quello che scelgo. E si chiama Andor.”
*Kyra cavalcava Andor al passo verso il centro del cortile di Argos e tutti gli uomini di suo padre, forti soldati, si fermavano a guardarla con ammirazione mentre avanzava. Chiaramente non avevano mai visto una cosa del genere.
Kyra si teneva delicatamente alla criniera cercando di tenerlo calmo mentre lui ringhiava sommessamente verso tutti, guardandoli torvo, come a volersi vendicare di essere stato tenuto prigioniero. Kyra si teneva in perfetto equilibrio dopo che Baylor aveva sistemato una sella completamente nuova su di lui e si stava cercando di abituare a cavalcare da quell’altezza. Si sentiva più potente che mai con quella bestia sotto di sé.
Accanto a lei Dierdre cavalcava una bellissima giumenta, una cavalla che Baylor aveva scelto per lei, e le due camminavano nella neve fino a che Kyra scorse suo padre in lontananza, in piedi accanto al cancello in attesa. Era lì con i suoi uomini, tutti aspettando di vederla partire e anche loro sollevarono lo sguardo con paura e ammirazione, impressionati che potesse cavalcare quell’animale. Kyra vide l’ammirazione nei loro occhi e questo le diede coraggio per il viaggio che aveva davanti a sé. Se Theo non fosse tornato da lei almeno avrebbe avuto quella magnifica creatura con sé.
Quando raggiunse suo padre Kyra scese e guidò Andor per la criniera vedendo la preoccupazione negli occhi dell’uomo. Non sapeva se fosse per quella bestia o per il viaggio che la attendeva. Il suo sguardo di preoccupazione la rassicurò, le fece capire che non era l’unica ad avere paura di ciò che la aspettava e dopotutto si preoccupava per lei. Per un brevissimo istante lasciò andare la tensione e le rivolse uno sguardo che solo lei poteva riconoscer: l’amore di un padre. Capì che era combattuto nel mandarla a compiere quell’impresa.
Si fermò a qualche passo da lui e tutto rimase in silenzio mentre gli uomini si raccoglievano attorno a loro e li guardavano.
Lei gli sorrise.
“Non preoccuparti, padre,” gli disse. “Mi hai cresciuta per essere forte.”
Lui annuì, fingendo di essere rassicurato, ma lei vide che non era così. Era ancora, soprattutto, suo padre.
Lui sollevò lo sguardo scrutando il cielo.
“Se solo il tuo drago venisse da te adesso,” le disse. “Potresti attraversare Escalon in pochi minuti. O meglio ancora, potrebbe unirsi a te nel tuo viaggio e incenerire chiunque sopraggiungesse nel tuo cammino.”
Kyra sorrise tristemente.
“Theo ora se n’è andato, padre.”
Lui la guardò con occhi pieni di meraviglia.
“Per sempre?” le chiese, ponendo la domanda di un signore che doveva condurrei suoi uomini in battaglia ma che era timoroso di domandare.
Kyra chiuse gli occhi e cercò di mettersi in sintonia, di ottenere una risposta. Desiderò che Theo le rispondesse.
Ma non sopraggiunse che un intorpidito silenzio. Per questo si chiese se avesse mai avuto una connessione con Theo fin dall’inizio o se l’avesse solo immaginata.
“Non lo so, padre,” rispose onestamente.
Lui annuì, accettando, con lo sguardo di un uomo che aveva imparato ad accettare le cose com’erano e a fare affidamento su se stesso.
“Ricorda cosa…” iniziò suo padre.
“KYRA!”. Un gridò eccitato squarciò l’aria.
Kyra si voltò mentre gli uomini si facevano da parte e le si gonfiò il cuore di piacere vedendo Aidan che attraversava di corsa i cancelli della città con Leo alle calcagna, saltando giù da un carro guidato dagli uomini di suo padre. Le corse incontro barcollando nella neve, Leo ancora più veloce e ben più avanti di lui, già pronto a saltarle tra le braccia.
Kyra rise quando Leo la buttò a terra mettendole le zampe sul petto e leccandole ripetutamente la faccia. Dietro di lei Andor ringhiò, già protettivo nei suoi confronti, e Leo balzò di lato pronto ad affrontarlo, ringhiando in risposta. Erano due creature temerarie, entrambe ugualmente protettive nei suoi confronti. Kyra se ne sentiva onorata.
Balzò in piedi e si mise trai due, tenendo Leo indietro.
“Va tutto bene, Leo,” disse. “Andor è mio amico. E tu Andor,” aggiunse voltandosi verso l’altro, “anche Leo è mio amico.
Leo si fece indietro con riluttanza, mentre Andor continuava a ringhiare, sebbene in modo diverso.
“Kyra!”
Kyra si girò e Aidan le corse tra le braccia. Lei lo abbracciò stretto mentre le piccole mani del fratellino si aggrappavano alla sua schiena. Era così bello abbracciare il fratello che era stata certa di non rivedere mai più. Era il pezzetto di normalità che le era rimasto nel vortice che era diventata la sua vita, l’unica cosa che non era cambiata.
“Ho sentito che eri qui,” le disse di corsa, “e ho subito chiesto un passaggio per venire a trovarti. Sono così contento che tu sia tornata.”
Lei sorrise tristemente.
“Temo non per molto, fratello mio,” gli disse.
Un lampo di preoccupazione attraversò il volto di Aidan.
“Stai partendo?” le chiese impietrito.
Il padre si intromise.
“Sta partendo per andare a trovare suo zio,” spiegò. “Lasciala andare ora.”
Kyra notò che suo padre aveva detto suo zio e non vostro, e si chiese il perché.
“Allora vado con lei!” insistette Aidan coraggiosamente.
Suo padre scosse la testa.
“No,” rispose.
Kyra sorrise al fratellino, così coraggioso come sempre.
“Nostro padre ha bisogno di te da qualche altra parte,” gli disse.
“Sul fronte di guerra?” chiese Aidan voltandosi speranzoso verso il padre. “Stai partendo per Esefo,” aggiunse di fretta. “Ho sentito! Voglio venire con te!”
Ma lui scosse la testa.
“C’è Volis per te,” rispose. “Starai qui, protetto dagli uomini che resteranno. Il fronte della battaglia non è posto per te ora. Un giorno.”
Aidan si fece rosso per la delusione.
“Ma io voglio combattere, padre!” protestò. “Non ho bisogno di starmene confinato in qualche forte vuoto con donne e bambini!”
Gli uomini ridacchiarono, ma suo padre era serio.
“La mia decisione è presa,” rispose brevemente.
Aidan si accigliò.
“Se non posso andare con Kyra e non posso venire con te,” disse rifiutandosi di cedere, “allora perché sto imparando come si combatte e come si usano le armi? Ha cosa serve tutto il mio allenamento?”
“Lascia che ti crescano i peli sul petto prima, fratellino,” rise Braxton facendosi avanti insieme a Brandon.
Le risate si levarono tra gli uomini e Aidan arrossì, chiaramente imbarazzato di fronte agli altri.
Kyra, sentendosi male per lui, si inginocchiò davanti a lui e gli mise una mano sulla guancia.
“Sarai un guerriero molto migliore di tutti loro,” lo rassicurò sottovoce in modo che solo lui potesse sentire. “Sii paziente. Nel frattempo sorveglia Volis. C’è bisogno anche di te. Rendimi orgogliosa di te. Tornerò, te lo prometto, e un giorno combatteremo battaglie grandiose insieme.”
Aidan parve ammorbidirsi un poco e si chinò ad abbracciarla di nuovo.
“Non voglio che tu vada via,” le disse sottovoce. “Ho fatto un sogno su di te. Ho sognato…” Sollevò lo sguardo con riluttanza, gli occhi colmi di paura. “… che morivi là fuori.”
Kyra si sentì scioccata a quelle parole, soprattutto dopo aver visto lo sguardo nei suoi occhi. Si sentì oppressa. Non sapeva cosa dire.
Anvin si fece avanti e le mise attorno alle spalle una pesante e spessa pelliccia che la scaldò subito. Kyra si alzò sentendosi quasi cinque chili più pesante, ma era riparata dal vento e dai brividi alla schiena. Sorrise.
“Le tue notti saranno lunghe e i fuochi saranno distanti,” le disse dandole un rapido abbraccio.
Suo padre si fece avanti velocemente e la abbracciò, un abbraccio forte da capitano. Lei ricambiò la stretta, persa tra i suoi muscoli, sentendosi sana e salva.
“Sei mia figlia,” le disse con fermezza, “non dimenticarlo.” Poi abbassò la voce in modo che gli altri non potessero udire e aggiunse: “Ti voglio bene.”
Kyra si sentiva sopraffatta dall’emozione, ma prima di poter rispondere lui si voltò rapidamente e si allontanò. Nello stesso istante Leo piagnucolò e le balzò addosso spingendole il naso contro il petto.
“Vuole venire con te,” disse Aidan. “Prendilo: avrai più bisogno tu di lui che io, qui confinato a Volis. In ogni caso è tuo.”
Kyra abbracciò Leo, incapace di rifiutare dato che sembrava non volerla lasciare. Si sentì confortata dall’idea che venisse con lei, dato che ne aveva sentito fortemente la mancanza. Poteva avere a disposizione altri due occhi e due orecchie e non c’era nessuno di più leale di Leo.
Pronta, Kyra montò in sella ad Andor e gli uomini di suo padre si fecero da parte. Avevano disposto delle torce in suo onore lungo tutto il ponte tenendo lontana la notte e illuminando il sentiero per lei. Guardò oltre e vide il cielo che si oscurava, le terre selvagge davanti a sé. Provava eccitazione, paura e soprattutto un senso di dovere. Una certa finalità. Davanti a lei si trovava l’impresa più importante della sua vita, un’impresa che teneva in ballo non solo la sua identità, ma il destino di tutta Escalon. Non poteva esserci posta più elevata.
Con il bastone legato attorno alla spalla, l’arco dall’altra parte, Leo e Dierdre accanto a lei, Andor sotto di lei e tutti gli uomini di suo padre che la guardavano, Kyra iniziò ad indirizzare Andor verso i cancelli della città. Inizialmente avanzò lentamente, tra le torce, oltre gli uomini, sentendosi come se stesse camminando in un sogno, verso il proprio destino. Non si guardò alle spalle non volendo perdere convinzione. Un basso corno venne fatto suonare dagli uomini di suo padre, un corno di partenza, in suono di rispetto.
Si preparò a spronare Andor, ma lui la anticipò. Si mise prima al trotto e poi ruppe al galoppo.
Nel giro di pochi istanti Kyra si trovò a correre in mezzo alla neve, oltre i cancelli di Argos, sopra al ponte, nei prati aperti, il vento freddo nei capelli e niente davanti a lei se non una lunga strada, creature selvagge e la notte che incombeva buia.
CAPITOLO QUATTRO
Merk correva in mezzo al bosco, barcollando lungo la discesa polverosa, facendosi strada tra gli alberi con le foglie di Boscobianco che scricchiolavano sotto i suoi piedi mentre correva con tutto se stesso. Guardava davanti a sé senza perdere di vista le lontane nubi di fumo che riempivano l’orizzonte oscurando il tramonto rosso sangue. Provava un crescente senso di urgenza. Sapeva che la ragazza si trovava laggiù da qualche parte, probabilmente rischiando di essere assassinata da un momento all’altro, ma non riusciva a far sì che le sue gambe corressero più velocemente.
Sembrava che la necessità di uccidere lo trovasse ovunque, lo incontrasse a ogni svolta, quasi ogni giorno, proprio allo stesso modo in cui gli uomini venivano chiamati a casa per la cena. Aveva un appuntamento con la morte, diceva sempre sua madre. Quelle parole gli risuonavano nelle orecchie e lo avevano perseguitato per tutta la vita. Erano parole che semplicemente si auto-avveravano? O era forse nato sotto una cattiva stella?
Per Merk uccidere era una parte naturale della sua vita, come respirare o pranzare, non importava per chi lo stesse facendo o come. Più ci pensava e più provava un forte senso di disgusto, come se volesse vomitare tutta la sua vita. Ma mentre dentro di sé tutto gli gridava di tornare indietro, di iniziare una nuova vita, di continuare il suo pellegrinaggio verso la Torre di Ur, semplicemente non ci riusciva. Ancora una volta la violenza lo stava convocando e ora non era il momento di ignorare il suo richiamo.
Merk correva, le nuvole di fumo si gonfiavano e si facevano più vicine rendendogli più difficile respirare. L’odore del fumo gli pungeva le narici e una sensazione familiare iniziò ad impossessarsi di lui. Non era paura ma, dopo tutti quegli anni, neppure eccitazione. Era una sensazione di familiarità. Della macchina da guerra che stava per diventare. Questo era sempre ciò che accadeva quando andava in battaglia – la sua battaglia privata. Nella sua versione di battaglia l’avversario veniva ucciso corpo a corpo: non doveva nascondersi dietro a una visiera o a un’armatura o all’applauso di una folla come quei cavalieri mascherati. Dal suo punto di vista si trattava della battaglia più coraggiosa di tutte, riservata ai veri guerrieri come lui.
Eppure mentre correva Merk sentiva qualcosa di diverso. Non gli interessava chi vivesse o morisse, quello era solo un lavoro. Questo gli consentiva di ragionare con chiarezza, libero dall’annebbiamento delle emozioni. Ma questa volta era diverso. Per la prima volta da quando poteva averne memoria nessuno lo stava pagando per farlo. Stava procedendo per sua propria volontà, per nessun’altra ragione che la pietà per quella ragazza e il desiderio di rettificare i torti. Questo lo faceva sentire investito di un compito, e quella sensazione non gli piaceva. Ora rimpiangeva di non aver agito prima e di averla mandata via.
Merk correva con passo regolare, senza portare con sé nessuna arma dato che non ne aveva bisogno. Aveva solo il suo pugnale alla cintura e quello gli bastava. In effetti avrebbe anche potuto non usarlo. Preferiva entrare senza armi nella battaglia: questo prendeva i suoi avversari sempre alla sprovvista. E poi poteva sempre strappare le armi al proprio avversario e usarle contro di lui. Questo lo lasciava con un immediato arsenale ovunque andasse.
Merk uscì di colpo da Boscobianco e gli alberi lasciarono il posto a pianure aperte e colline ondeggianti. Un grande sole rosso lo accolse, ormai basso all’orizzonte. La vallata si apriva davanti a lui, il cielo al di sopra nero, come se arrabbiato, pieno di fumo e in fondo le fiamme infuriavano laddove poteva solo esserci la fattoria della ragazza. Merk poteva sentire da lì le agghiaccianti grida di uomini, criminali le cui voci erano piene di soddisfazione e sete di sangue. Con occhio da professionista scrutò la scena del crimine e li vide subito, una decina di uomini con i volti illuminati dalle torce che tenevano in mano mentre correvano avanti e indietro dando fuoco a ogni cosa. Alcuni correvano dalle stalle alla casa posando le torce su tetti di paglia mentre altri massacravano il bestiame innocente colpendo gli animali con delle accette. Vide che uno di loro trascinava un corpo per i capelli nel fango.
Una donna.
Il cuore di Merk iniziò a battere forte nel cuore chiedendosi se si trattasse della ragazza e se lei fosse viva o morta. La stava trascinando verso quella che sembrava essere la famiglia della ragazza, tutti legati al fienile con delle corde. C’erano il padre e la madre e accanto a loro quelli che sembravano le sue sorelle, entrambe più piccole e giovani di lei. Mentre il vento spostava una nuvola di fumo nero Merk colse uno scorcio dei lunghi capelli biondi della persona trascinata, imbrattati di terra, e capì che era lei.
Merk sentì un’ondata di adrenalina e partì di scatto correndo giù dalla collina. Entrò di corsa nel fango, correndo in mezzo alle fiamme e al fumo riuscendo finalmente a vedere ciò che stava accadendo: i familiari della ragazza, appoggiati alla parete, erano già tutti morti, con le gole tagliate e i corpi accasciati contro il muro. Provò un’ondata di sollievo vedendo che la ragazza che veniva trascinata era ancora viva e opponeva resistenza mentre la tiravano verso la sua famiglia. Vide che uno di quei delinquenti la stava aspettando con un pugnale in mano e capì che sarebbe stata la prossima vittima. Era arrivato troppo tardi per salvare la sua famiglia, ma non troppo tardi per risparmiare lei.
Merk sapeva di dover prendere quegli uomini alla sprovvista. Rallentò il passo e si mise a camminare con calma fino al centro del complesso, come se avesse tutto il tempo del mondo a disposizione, aspettando che lo notassero e intenzionato a confonderli.
Molto presto uno di essi lo vide. Il criminale si voltò immediatamente, scioccato dalla vista di un uomo che camminava con calma in mezzo a tutta quella carneficina, e avvertì i suoi compagni.
Merk percepì tutti gli occhi confusi puntarsi su di lui mentre procedeva, camminando con noncuranza verso la ragazza. L’uomo che la teneva si guardò alle spalle e si fermò vedendolo, lasciando andare la presa e facendola cadere nel fango. Si girò e si avvicinò a Merk insieme agli altri. Tutti quanti lo accerchiarono, pronti a combattere.
“Cos’abbiamo qui?” esclamò l’uomo che sembrava essere il loro capo. Era quello che aveva lasciato cadere la ragazza e non appena aveva messo gli occhi su Merk aveva sguainato una spada dalla cintura e ora si avvicinava mentre gli altri li accerchiavano.
Merk guardava solo la ragazza, controllando e assicurandosi che fosse viva e non ferita. Fu sollevato di vederla agitarsi nel fango, riprendersi lentamente, sollevare la testa e guardarlo stordita e confusa. Merk era sollevato di non essere arrivato troppo tardi almeno per salvare lei. Forse questo era il primo passo sulla lunga strada che lo avrebbe portato alla redenzione. Si rese conto che forse non doveva iniziare nella torre, ma direttamente lì.
Mentre la ragazza si girava nel fango sollevandosi sui gomiti i loro occhi si incontrarono e lui la vide illuminarsi di speranza.
“Uccidili!” gridò.
Merk rimase calmo, sempre camminando con naturalezza verso di lei come se non avesse neppure notato gli uomini attorno a sé.
“Quindi conosci la ragazza?” gli chiese il capo.
“Sei suo zio?” chiese un altro con tono derisorio.
“O un fratello perso da tempo?” rise un altro ancora.
“Sei venuto a proteggerla, vecchio mio?” lo canzonò un altro.
Gli altri scoppiarono a ridere man mano che si avvicinavano.
Senza darlo a vedere Merk stava silenziosamente osservando e considerando tutti i suoi avversari, valutandoli con la coda dell’occhio e determinandone il numero, la grandezza, la velocità alla quale si muovevano, le armi che possedevano. Analizzò quanti muscoli avessero in rapporto al grasso, cosa indossassero, quanta flessibilità avessero in quegli indumenti, quanto rapidamente avrebbero potuto ruotare su quegli stivali. Notò le loro armi – rozzi coltelli, pugnali sguainati, spade poco affilate – e considerò il modo in cui le tenevano, di fianco o davanti a loro, con quale mano.