Un Abbraccio Per Gli Eredi

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“Ci sta lottando contro,” disse Asha dietro a Sebastian. “I suoi uccelli stanno cercando… di fare spazio… nella nebbia.”
Sembrava quasi essere impegnata a tenere una porta chiusa contro un esercito che spingeva.
“Devi resistere,” disse Sebastian. “C’è niente che posso fare per aiutarti?”
Asha rise. “Niente… che tu possa fare. Ma resisterò… per lei.”
Non disse nient’altro mentre Sebastian continuava a far avanzare il cavallo, si limitò a tenersi stretta alla sua vita con una mano, mentre la pietra cuore brillava intensamente nell’altra. Quando sentì la presa che iniziava a indebolirsi, Sebastian le afferrò il braccio, tenendolo saldamente mentre i loro cavalli avanzavano senza sosta nella brughiera.
Dopo un’altra ora, mentre si stavano facendo strada in mezzo a una sezione del terreno ricoperta di torba, troppo soffice da sostenere il loro peso, Asha cadde di sella.
Sebastian si fermò e scese accanto a lei, mentre Emeline e Cora smontavano poco avanti e accorrevano in loro aiuto portando Viola. Sebastian si inginocchiò accanto ad Asha, offrendole un sorso d’acqua dalla borraccia. La donna rispose a malapena.
“Non… ancora… arrivati,” mormorò.
“Hai fatto più del necessario,” disse Sebastian. “Siamo salvi grazie a te.”
“Viola… è…”
Si interruppe, e Sebastian vide il momento in cui la pietra cuore di Casapietra divenne opaca. Sentì la pulsazione sul collo di Asha: era assente, mentre attorno a loro la nebbia iniziava a diradarsi mentre il potere che Asha aveva emanato scompariva.
“È morta,” disse Sebastian, tutto sommato incapace di provare dolore per una persona che aveva in sé così tanta rabbia e odio come Asha, ma comunque in grado di sentire un senso di riconoscenza e rispetto per quello che aveva fatto.
“Non può essere,” disse Emeline. “Asha non avrebbe mai messo così tanto di sé nella pietra, al punto da uccidersi. Non avrebbe rinunciato a tutto per noi. Per nessuno.”
Sebastian guardò sua figlia e capì che non era vero. Asha aveva dato tutto per assicurarsi che Viola fosse al sicuro. Si era consumata trasformandosi in un guscio vuoto per mantenere la magia necessaria per proteggere sua figlia, e tutto per quello che le era apparso in una visione. Sebastian non sapeva se fosse qualcosa di ammirevole o di terrificante, in quel momento.
“Odiava tutti quelli come noi,” disse Cora, “ma ha dato la sua vita per noi.”
“Spero solo che basti,” disse Sebastian mentre la nebbia continuava a sollevarsi. Erano tanto distanti da Casapietra adesso da non poter vedere alcun segno degli uomini del Maestro dei Corvi, ma sapeva quanto poco potesse significare quando ogni uccello all’orizzonte poteva fargli rapporto.
“Posso accertarmene,” disse Emeline facendo per prendere la pietra. “Se Asha può farlo, allora io…”
Sebastian vide la mano di Cora stringersi sul suo polso. “Non osare. Non se questo potrebbe ucciderti.”
Sebastian non poteva che essere d’accordo. “Se avessi saputo che Asha avrebbe veramente continuato fino a morire, l’avrei fermata anche io. Data la situazione, è troppo pericoloso.”
Non si arrischiò a raccogliere la pietra a mani nude. Prese invece una sacca dalla cintura e ve la infilò dentro, nascondendola al mondo. Era troppo potente per lasciarla al Maestro dei Corvi.
“La seppelliamo?” chiese Cora con voce leggermente spezzata, stringendo Viola a sé come a volerla proteggere dalla vista del corpo.
“Non c’è tempo,” disse Sebastian, odiando il fatto di doverlo dire. Non voleva lasciare Asha ai corvi. Guardò verso la sezione ricoperta dalla torba. “Emeline, dammi una mano.”
Sentì Emeline sospirare. “Non sembra una fine di tutto rispetto.”
“Sempre meglio che lasciare che il Maestro dei Corvi banchetti con i suoi poteri,” disse Sebastian. “E penso che in questo momento lei avrebbe voluto che scegliessimo il modo più rapido. Scappare è il modo migliore per onorarla.”
Emeline annuì. “Mi sa di sì.”
Insieme sollevarono il corpo di Asha, adagiandolo sulla torba soffice, guardando mentre il suo corpo appesantito dalla morte sprofondava. Sebastian aspettò che scomparisse dalla vista, pensando a tutte le volte in cui aveva dato un aiuto per salvare Ashton e a quanto le dovesse per aver salvato ora sua figlia.
“Dobbiamo andare,” disse Emeline alla fine. “Almeno sono capace di tenerci nascosti dalla magia, ma questo non potrà fare niente contro corvi o soldati. Dobbiamo sbrigarci.”
Sebastian annuì. “A Monthys.”
Sebastian non era sicuro di cosa avrebbero trovato quando fossero arrivati lì. Sperava solo che ci fosse qualcosa, qualsiasi cosa che permettesse loro di sopravvivere al Maestro dei Corvi.
CAPITOLO SETTE
Sofia non sapeva cosa fare, cosa dire. Per tutto quel tempo aveva cercato i suoi genitori, e in un brevissimo spazio li aveva tanto trovati quanto perduti per sempre. Poteva vedere Kate e Lucas impietriti come lei dallo shock delle loro morti, immobili, senza dare alcun segno di avere più idee di lei sul da farsi.
Il dolore sopraggiunse lentamente, come se avesse voluto metterci tanto per permetterle di iniziare a credere che tutto questo stava realmente accadendo.
“Non posso…” disse Kate accanto a lei. “Non so cosa fare.”
“Lo so,” disse Sofia, e le si strinse vicino.
Lucas si unì a loro e per la prima volta da quando lo aveva conosciuto, Sofia vide delle lacrime scorrergli lungo le guance.
“Se non fossi mai andato a cercarli, niente di tutto questo sarebbe successo,” disse. “Il veleno non avrebbe avuto la meglio.”
“Ma noi non li avremmo mai incontrati, e non avremmo mai incontrato neanche te,” disse Sofia. Non poteva immaginarlo. Un mondo in cui non incontrare mai suo fratello le sembrava del tutto inconcepibile.
Lo stesso poteva sentire quello che suo fratello e sua sorella stavano provando. Nel dolore, qualsiasi protezione avrebbero potuto erigere attorno a loro in condizioni normali, era ora impossibile da sostenere, e tutta la pena li avvolgeva indistintamente, in un groviglio capace di contenere la rabbia di Kate, il senso di mistero di Lucas e tutti i personali desideri di Sofia di conoscere i suoi genitori prima di questo momento. E soprattutto c’era il profondo pozzo di tristezza che sembrava riempire il mondo mentre se ne stavano lì.
Erano ancora tutti e tre lì in piedi quando delle figure vestite di sete dal colore cangiante entrarono nella casa dei loro genitori e si portarono dove i due ancora sedevano vicini l’uno all’altro.
“Chi siete?” chiese Sofia. Kate fu più diretta, portandosi tra loro e i genitori.
“Non abbiamo cattive intenzioni,” disse loro una donna. Era più bassa di Sofia, con i capelli scuri e la pelle ramata. “Sono Aia. Lady Cristina e Lord Alfred avevano previsto questo momento, e avevano predisposto il da farsi. Se avete bisogno di più tempo qui, aspetteremo, ma ci è stato detto di dire…” La donna fece una pausa, poi proseguì. “Mi è stato detto di dirvi che vi volevano un bene dell’anima, ma che i vostri compiti non possono aspettare, neanche per il dolore. Loro credono… credevano in voi e…” Si fermò mentre Kate tirava fuori la spada dal suo fodero.
“Kate,” disse Sofia con gentilezza. “Anche io sto soffrendo, ma lei sta solo cercando di dire quello che i nostri genitori non sono riusciti a spiegarci.”
“Non voglio sentirlo,” rispose seccamente Kate. In quel momento Sofia percepì quanto stesse soffrendo, ma vide Kate che si tirava indietro, si raddrizzava e si preparava. “Va bene. Facciamo questa cosa. Prima cominciamo, prima potrò uccidere il dannato responsabile di tutto questo.”
Si arrabbia in modo da non dover provare sentimenti, disse Lucas a Sofia con il pensiero.
Sofia avrebbe voluto che fosse così semplice. Sospettava che Kate si arrabbiasse perché nella Casa degli Indesiderati tutti i sentimenti erano stati convogliati in debolezza da poter sfruttare. La rabbia riempiva gli spazi dove non ci potevano essere altre cose.
“Sono stati approntati dei preparativi per voi,” disse Aia. “Se siete davvero pronti ad andare…”
“Sì,” disse Kate con tono che non lasciava spazio ad alcuna contestazione.
Una parte di Sofia avrebbe desiderato rimanere e partecipare a qualsiasi forma di funerale o ricordo sarebbe stato organizzato, ma sapeva che Kate non si sarebbe trattenuta. E poi il messaggio dei loro genitori aveva fatto capire forte e chiaro che non c’era tempo. Qualsiasi cosa stesse accadendo nel mondo, sembrava che dovessero agire subito, indipendentemente da quello che provavano.
Il funerale per i vostri genitori sarà una celebrazione di grande onore, disse Aia a Sofia con il pensiero, prendendola un poco alla sprovvista.
“Tu hai la magia?” chiese Sofia.
“Certo,” rispose la donna. “Questa è la Città Dimenticata. Vi prego, seguitemi tutti al cancello.”
Si girò e Sofia le andò dietro, Sienne al suo fianco. Sofia accarezzò la pelliccia del gatto della foresta, cercando di trattenere i singhiozzi che minacciavano di sopraffarla ancora in quel momento. Doveva restare forte per sua sorella, per suo fratello, per il mondo.
Ricorda solo che ci siamo anche per te, le inviò Lucas con il pensiero.
“Non per molto,” disse Sofia, e questo le faceva male quanto la perdita dei suoi genitori. Si erano finalmente riuniti per il viaggio fino alla Città Dimenticata, e ora avrebbero dovuto dividersi per trovare le tre pietre cuore.
Sofia seguì Aia fuori e attraverso la città, fino al punto in cui si trovava il cancello. C’era un sacco di gente in mezzo alla strada ora, e sembravano tutti avviliti, come se avessero sentito la notizia della morte dei loro genitori. Stavano con le teste basse per la processione, e Sofia si costrinse ad avanzare nonostante tutto.
“Almeno abbiamo il viaggio fino a Morgassa insieme,” disse Lucas.
Aia scosse la testa. “Il cancello ci porterà dove dobbiamo andare. Non c’è bisogno di tardare le cose.”
La mano che Lucas le posò sulla spalla fu l’unica cosa a trattenerla dallo scoppiare a piangere in quel momento. Le ci volle un momento per capire ciò che Aia aveva appena detto.
“Noi?” chiese.
Aia annuì, e una serie di figure venne fuori dalla folla. Erano undici, uomini e donne, tutti con indosso armature che sembravano stranamente fuori moda e che brillavano dorate al sole. Con l’armatura che li copriva da testa a piedi, portavano uno strano assortimento di armi, come se ciascuno di loro avesse scelto quella con cui era più abile. C’erano lance e spade curve, lame dritte, coltelli da lancio e bastoni di metallo, ma curiosamente nessun moschetto o arco.
Uno si fece avanti con i pezzi di un’altra armatura dorata, e Aia procedette a sistemarne ciascuno al suo posto, fino a che anche lei fu completamente protetta come tutti gli altri, una lancia a doppia punta ora in mano.
“I vostri genitori ci hanno detto ciò che sta accadendo al mondo,” disse Aia. “Ci sono quelli che sostengono che la cosa non ci tocca, ma alcuni eventi sono ben più grandi della leggera increspatura che giunge qui.”
Lo disse tanto a voce alta che Sofia sospettò che le sue parole fossero anche per il resto della folla che ancora stava a guardare.
Aia fece un inchino. “Noi dodici siamo alcuni dei più forti della Città Dimenticata. Siamo guerrieri, e abbiamo tutta la magia del posto. Siamo al tuo servizio, Sofia. Faremo quanto necessario per proteggerti.”
Sofia non era sicura di cosa fare. Stavano succedendo troppe cose, e troppo rapidamente.
Aia allungò un braccio e le posò una mano sulla spalla. “Non serve che ci dici nulla. Saluta i tuoi fratelli. Io intanto preparerò il cancello.”
Sofia si voltò verso Lucas e Kate.
“Io… non mi ero aspettata tutto questo,” disse. “Non voglio perdere nessuno di voi due, non ora.”
“È quello che succede,” disse Kate. “Il mondo non fa che strapparci l’uno dall’altro continuamente.”
“Ma ci ritroveremo ancora,” promise Lucas. “Vi ho trovate tutte e due una volta. Posso rifarlo. Andrò in questo posto dello spirito, e Kate, tu recupererai la tua forza nel luogo delle ombre. Lo faremo.”
Abbracciò Sofia, poi Kate, tenendole entrambe strette per lunghi secondi.
“Il cancello è pronto per te,” disse Aia, e Lucas vi entrò. Sofia poteva sentire il suo nervosismo, e il suo dolore, e il suo bisogno di fare tutto quello che gli veniva richiesto. Poi passò attraverso il cancello e sparì.
“Sarà pronto per te tra un momento,” disse a Kate, che non le rispose.
“Kate,” disse Sofia stringendo le braccia della sorella. “Stai bene?”
“No, non sto bene,” disse Kate. “I miei genitori sono morti, e Will è morto, e ora devo andare a compiere una stupida impresa per fermare la grande malvagità che sta per uccidere il mondo intero, e voglio solo che tutto questo finisca!”
“Non sei costretta a farlo,” disse Sofia. “Potresti restare qui, o venire con me, o…”
“No,” disse Kate scuotendo la testa. “Devo farlo. Voglio essere utile, e ci sono persone che intendo uccidere per ciò che hanno fatto!”
Guardò verso Aia e aspettò che lei facesse un cenno con la testa per poi saltare velocemente attraverso il cancello.
Era rimasta solo Sofia.
“Il cancello ci porterà a Morgassa,” disse Aia. “Quando sei pronta, andremo, e cercheremo la pietra cuore del fuoco che è stata portata via dalla nostra città.”
Pronta. Quando sarebbe stata pronta per lasciarsi alle spalle il luogo dove i suoi genitori erano morti? Quando sarebbe stata pronta per fare tutto questo? Da quando tutto aveva avuto inizio, le era sembrato di aver fatto una fatica pazzesca per restare al passo. L’unico modo per tornare dalla sua bambina, però, era di portare a compimento questa impresa. Doveva trovare la pietra a Morgassa per rendere le cose sicure per sua figlia.
Abbassò lo sguardo su Sienne. “Sei pronto?” chiese al gatto della foresta, che si strusciò contro la sua gamba senza rispondere. “Mi sa che sono pronta.”
Si portò davanti al cancello. Dall’altra parte poteva vedere quello che riconobbe come il mercato di Morgassa. Poté addirittura distinguere il volto familiare del gran mercante N’Ka in un angolo, intento a parlare a un gruppo di mercanti minori e facchini.
“Ti seguiremo non appena sarai entrata,” promise Aia.
Sofia si trattenne un altro momento, poi attraversò il cancello, passando alla luce del sole di Morgassa. Decine di occhi si voltarono a guardarla. Sienne le camminava accanto, attirando ancora più sguardi. E fu ancora più facile scorgere il momento in cui dodici guerrieri con armature dorate facevano il loro ingresso dietro di lei: tutti restarono a bocca aperta, e Sofia poté percepire la meraviglia che tracimava dalle loro menti.
Si voltò e vide il cancello che scompariva, l’arcata che luccicava un’ultima volta prima di svanire come un miraggio. Sofia se l’era in parte aspettato. Non importava. Ciò che contava era ritornare da sua figlia.
Ma prima doveva trovare la pietra cuore.
Sofia attraversò il mercato, seguendo il familiare insieme di pensieri, fino a trovare nuovamente il grande mercante N’Ka. Stava mettendo di fretta delle monete in una borsa, e si guardava attorno come se stesse tentando di calcolare il tempo che gli serviva per svignarsela da lì il più velocemente possibile.
“Gran mercante N’Ka,” disse Sofia. “È bello rivedervi.”
“Ed è bello rivedere voi, regina Sofia,” disse l’uomo con un sorriso che non si sforzò neanche di far apparire reale.
“Ed è particolarmente bello, dato che ho bisogno del vostro aiuto,” continuò Sofia. “Portatemi dal re Akar. Adesso.”
CAPITOLO OTTO
Sofia sospettava che, anche se le frettolose parole del mercante N’Ka alle guardie del palazzo potevano aver avuto un ruolo nel farle spostare dalla loro posizione di sbarramento, sicuramente l’effetto maggiore era stato sortito dalle figure rivestite d’oro che la seguivano. A ogni passo che faceva, i servitori fissavano lei e gli altri come a chiedersi cosa stesse accadendo, e i sussurri seguivano ogni loro passo.
“Hanno sentito le leggende dei guerrieri della Città Dimenticata,” mormorò Aia. “Pensano che il nostro arrivo significhi libertà per loro, e la caduta del re Akar.”
“Non sono qui per iniziare una lotta,” disse Sofia. Le sue dita accarezzarono il pelo di Sienne. “Ci difenderemo se saremo attaccati, ma non c’è spazio per altro.”
“Alcuni di loro pensano che sia stato predetto,” disse Aia.
Sofia scosse la testa. “Quello che decidiamo conta ancora. Andiamo, o perderemo di vista N’Ka.”
Continuarono a marciare attraverso il palazzo fino a che raggiunsero la sala del trono che Sofia riconobbe dalla sua ultima visita. La scena che vide lì la scioccò facendola restare immobile.
C’erano dei corpi in cima a delle lance, alcuni impalati così di recente che li si poteva ancora vedere muovere, praticamente gente che moriva davanti ai suoi occhi. Non erano più in grado di chiamare aiuto, ma Sofia poteva ancora udire le loro implorazioni nella propria mente, pensieri che lentamente svanivano, come anche le loro vite. La cosa peggiore era che Sofia riconosceva quella gente. Aveva visto i loro volti e sentito le loro menti prima d’ora, nel viaggio verso la Città Dimenticata. Però questo non aveva senso. Erano passate solo poche ore.
Il tempo scorre diversamente dalle due parti del cancello, le disse Aia con il pensiero. È passato più tempo di quanto pensi.
Lo stesso, dovevano essere tornati subito indietro non appena si erano accorti che lei e i suoi fratelli erano spariti, e la loro ricompensa per quella notizia era stata… questo. Così tanti erano stati uccisi lì, e Sofia poté vedere Lani, l’interprete, trattenuta da due guardie, in attesa del palo successivo. Sembrava essere uno degli ultimi sopravvissuti.
Re Akar sedeva nel mezzo e sembrava quasi felice di tutta quella crudeltà. Sofia si sentì stringere il cuore per come l’aveva valutato erroneamente.
“Mi hai ingannato,” disse avanzando verso di lui.
Non appena i suoi dodici guerrieri entrarono nella stanza del trono, soldati armati di lance e moschetti apparvero da ogni lato. Dovevano essere una trentina, un numero sufficiente per avere la meglio sulla sua dozzina di guerrieri.
Il re Akar parlò, e Aia tradusse accanto a Sofia.
“Ho agito per proteggere il mio regno,” disse. “Sono il re qui, e hai pensato di poter attraversare le mie terre prendendo quello che volevi?”
“Perché hai ucciso tutte queste persone?” chiese Sofia indicando la galleria di cadaveri disposta attorno alla stanza del trono. “Erano tuoi sudditi.”
“Come dici, erano miei, e mi hanno tradito,” disse re Akar, sempre tradotto da Aia. “Dovevano evitare che te ne andassi a zonzo, mostrarti in modo sicuro le rovine della Città Dimenticata e assicurarsi che non rubassi nulla.”
“Non avevi neanche intenzione di mostrarci la vera Città Dimenticata, no?” chiese Sofia.
“Non sono sicura che sappia dove si trova,” disse Aia accanto a lei. “Non è stato questo re a prenderci la pietra cuore. Forse uno dei suoi antenati. Ti avrebbe mostrato il punto dove si trovava una città commerciale, davanti ai nostri vecchi cancelli, immagino, fingendo che fosse quella vera.”
“Cosa sai tu della Città Dimenticata del nostro regno?” chiese il re Akar.
Sofia rispose. “Aia e gli altri vengono da lì, dal posto dove effettivamente si nascondevano i miei genitori. Tu hai cercato di fermarmi a ogni svolta, re Akar. Hai cercato di ingannarmi, depistarmi, spiarmi. Avevo intenzione di chiudere un occhio quando pensavo che ti interessasse sinceramente il tuo regno, ma questo?”
Riportò la sua attenzione sul massacro. Non poteva immaginare come un governatore potesse fare una cosa del genere al suo popolo, e il fatto che lui l’avesse fatto qui nella sua sala lo faceva apparire come se quella cosa gli piacesse. Sofia si era davvero sbagliata così tanto?
Re Akar disse una cosa che fece esitare Aia. “Sono io il re qui, nessuno sta sopra di me. Nessuno decide vita e morte qui, se non io, eletto dagli dei! Chi sei tu per giudicarmi?”
Sofia esitò, cercando di trovare una via diplomatica. Quella era una terra diversa, con modi e abitudini diverse.
“Sono ancora la regina del mio regno,” disse. “Vorrei che ci fosse una salda amicizia tra le nostre due terre. Abbiamo così tanto da offrirci reciprocamente.”
“Forse,” disse re Akar.
Non era molto, ma pur sempre un punto d’inizio.
“E io vorrei che questo si fermasse qui, come segno di amicizia,” aggiunse Sofia, aspettando che Aia traducesse. “La tua gente non ti ha tradito: siamo stati io e i miei fratelli a scappare. Siamo difficili da tenere sotto controllo.”
“Ho sentito storie di alcune delle cose che avete fatto strada facendo,” disse re Akar. “Sembravano delle fantasie. Affermi di aver trovato la Città Dimenticata?”
“La vera Città Dimenticata,” disse Sofia, memore di ciò che aveva detto Aia.
“E hai trovato i tuoi genitori?” chiese, sempre attraverso Aia.
Questo portò un’ondata di nuovo dolore. Era tutto ancora troppo recente, le ferite delle loro morti ancora troppo vicine. Sofia avrebbe voluto poter restare di più, averli visti sepolti con onore.
Li onori con la tua presenza qui, le disse Aia con il pensiero.
“I miei genitori sono morti mentre ero nella città,” disse Sofia.
“Mi spiace sentire tale notizia,” disse re Akar. Sofia dubitava che fosse sincero.
“Ma non prima di dare un compito a me e ai miei fratelli,” disse Sofia. “Hanno detto che è in arrivo un grande male, e che per proteggerci contro di esso dobbiamo mettere insieme le pietre delle cinque case degli elementi. La Città Dimenticata una volta possedeva la pietra cuore del fuoco, ma ora mi è stato detto che essa si trova nelle tue mani.”
Re Akar parve per un momento scioccato, poi allungò la mano verso la propria corona, e fra tutti i diamanti raccolse una pietra simile a un rubino. Sembrava decorata con scene del deserto, disegni così intricati che Sofia sospettava di poter passare ore a guardarli senza comunque riuscire a vederli tutti.
L’uomo e Aia ebbero un breve scambio che Sofia non poté capire. Re Akar rise e si alzò in piedi, torreggiante sopra a Sofia.
“E come posso sapere che questi dodici sono ciò che affermano di essere?” tradusse Aia quando l’uomo parlò. “Penso che non ci vorrebbe poi molto a dipingere d’oro un po’ di armature. E per questo motivo dovrei cedere il tesoro più grande del mio regno?”
Re Akar fece silenzio per diversi secondi. Nel frattempo Sofia dispiegò i propri poteri verso la sua mente. Ciò che vide le fece serrare i pugni. Questo era un uomo che provava rabbia per il passato, e l’orgoglio di tenere libero il suo regno, un regno che era stato attaccato da quello della vedova o altri del genere. Allo stesso tempo, non si poteva negare che fosse un uomo crudele, che governava il suo popolo con il pugno di ferro. Stava immaginando come sarebbe stato prendere Sofia come prigioniera e farle guardare le morti degli altri.
“Per il bene dell’amicizia tra i nostri regni,” disse Sofia, “non ti sto chiedendo di darmi un rubino: ti sto chiedendo di prendere parte nel prevenire ciò che sta arrivando. Vieni con noi a farlo. Metti la pietra dove dovrebbe essere. Porta il tuo esercito e aiutaci a combattere.”
Il re esitò un momento, e poi parlò nella lingua del regno della vedova, senza bisogno di alcuna traduzione.
“Mi hai chiesto oggi due cose per il bene dell’amicizia,” disse. “Te ne garantisco una. In cambio dei diritti di commercio nel tuo regno, viaggerò con te, e userò la mia pietra come deve essere usata. La mia gente vedrà l’eroe che sono.”
Il breve momento di gioia di Sofia venne interrotto dal ricordo dell’altra cosa che gli aveva domandato.
“Ti ho chiesto di fermare le uccisioni, di risparmiare Lani,” disse.
“È così che si chiama?” chiese re Akar. Scrollò le spalle. “Mi ha tradito. Tu resterai qui e la vedrai giustiziare, e poi saremo alleati, va bene?”
Sofia vide i suoi occhi che la scrutavano. Guardando nella sua mente, poté vedere che stava aspettando un suo assenso, o che si dimostrasse tanto tenera di cuore da rinunciare alla pietra per il bene di una servitrice. O ancora meglio che gli desse una scusa per catturare lei e il suo seguito, sicuro delle sue trenta guardie forti e ben allenate…








