Psicologia clinica. Corso Accademico di Lezioni

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Tra le questioni bioetiche rientra anche il problema dell’eutanasia, che solitamente sorge quando il paziente ha irreversibilmente perso coscienza e sperimenta sofferenze intense e intollerabili, costringendo il personale medico a mantenerlo in vita in stato inconscio mediante supporto farmacologico. In Russia è legale la cosiddetta eutanasia passiva, che applica il principio dell’interruzione delle cure, escludendo un atto diretto di soppressione. Ad esempio, se una persona si trova in coma profondo senza possibilità di recupero, il personale sanitario è tenuto a sostenerne le funzioni vitali, poiché l’eutanasia attiva contrasta con i principi bioetici del paese.
Seguendo questa logica, in neuropsicologia, anche se un individuo ha subito tre ictus ma conserva parzialmente almeno una consapevolezza elementare, il neuropsicologo o lo psicologo clinico ha l’obbligo di assumersi la responsabilità del lavoro volto al recupero delle funzioni psichiche superiori (quali il linguaggio e la memoria). Anche se il paziente versa in una condizione di allettamento grave ma mantiene un contatto con la realtà, gli specialisti non hanno il diritto di interrompere il lavoro con lui.
Le norme che definiscono i confini della relazione tra psicologo e paziente sono estremamente chiare. La psicologia clinica contemporanea, in tutti i suoi ambiti, si fonda sui principi etici medici generali, nonostante gli specialisti si trovino periodicamente ad affrontare dilemmi etici complessi e specifici.
Dal punto di vista della psicologia clinica, il lavoro con casi complessi richiede un algoritmo d’azione preciso, basato su standard professionali e principi etici. Pertanto, di seguito vengono presentati i possibili piani di lavoro per situazioni specifiche.
Caso 1: Adolescente con autolesionismo in contesto di violenza familiare
Situazione: Si presenta in consultazione anonima un adolescente che riferisce episodi di autolesionismo. La causa di questo comportamento è attribuita a violenza psicologica e/o fisica quotidiana perpetrata dal padre naturale.
Algoritmo d’intervento per lo psicologo clinico:
– Intervento di crisi e stabilizzazione del rapporto: Innanzitutto, lo psicologo garantisce la sicurezza psicologica e stabilizza lo stato emotivo dell’adolescente. È fondamentale dimostrare accettazione incondizionata ed empatia, creando un’alleanza terapeutica basata sulla fiducia.
– Valutazione dei rischi: Lo specialista valuta il livello di rischio suicidario e la gravità del comportamento autolesionista. Si accertano frequenza, modalità e finalità delle condotte autolesive.
– Informazione sui limiti della riservatezza: Lo psicologo spiega in modo chiaro e delicato all’adolescente i limiti della riservatezza. Viene sottolineato che le informazioni relative a violenze su minorenni, secondo quanto previsto dalla legge, non possono rimanere confidenziali e devono essere segnalate ai servizi sociali e tutelari per la protezione dei diritti e della vita del minore.
– Motivazione alla divulgazione delle informazioni: Lo specialista motiva con delicatezza l’adolescente a consentire il ricorso alle autorità competenti, spiegando che si tratta di un passo necessario per interrompere la violenza e garantire la sua incolumità.
– Segnalazione alle autorità: In caso di consenso dell’adolescente o in presenza di una minaccia immediata alla vita e alla salute (forme gravi di violenza), lo psicologo contatta i servizi sociali e le forze dell’ordine. Le azioni vengono coordinate secondo il regolamento interno dell’istituzione.
– Elaborazione di un piano di sicurezza: In collaborazione con l’adolescente, viene sviluppato un piano di emergenza psicologica e di sicurezza che includa tecniche di autoregolazione, una lista di numeri di telefono di supporto e un protocollo d’azione nel momento in cui emerga l’impulso acuto di ledersi.
Caso 2: Utente suicida alla linea di assistenza telefonica
Situazione: Un anonimo contatta la linea di supporto psicologico esprimendo una ferma intenzione di suicidarsi (lanciandosi dal balcone) immediatamente dopo la conclusione della conversazione. La localizzazione e i dati personali del chiamante non sono noti.
Algoritmo d’intervento per lo psicologo della hotline:
– Intervento immediato sulla crisi: Lo psicologo riconosce la gravità delle intenzioni dell’utente, senza sminuirne la portata. L’obiettivo prioritario è mantenere la comunicazione a qualsiasi costo.
– Stabilire un contatto emotivo e ascolto attivo: L’operatore dimostra la massima empatia, cercando di comprendere le motivazioni alla base della decisione e consentendo all’utente di esprimere liberamente i propri sentimenti. È fondamentale trasmettere la sensazione di essere ascoltati e compresi.
– Domande dirette sul piano suicida: Lo psicologo formula interrogativi chiari ma discreti: «Può descrivermi cosa intende fare nello specifico?», «Si trova già sul balcone?», «C'è qualcuno nelle vicinanze che potrebbe aiutarla?».
– Mobilitazione delle risorse e ricerca di alternative: Il professionista tenta di individuare elementi di connessione con la vita: richiamare l’attenzione su affetti significativi, posticipare l’attuazione del piano («Possiamo concordare che non farà nulla finché stiamo parlando?»), proporre l’invio immediato di un’ambulanza.
– Tentativo di identificazione della localizzazione: Con delicatezza e senza insistenza, lo psicologo cerca di ottenere l’indirizzo o la posizione: «Per potervi aiutare, avrei bisogno di sapere dove vi trovate. Potreste dirmi il vostro indirizzo?».
– Gestione dell’emergenza e attivazione dei soccorsi: Se l’utente fornisce l’indirizzo o questo viene desunto da elementi indiretti (rumori di fondo, riferimenti contestuali), lo psicologo, senza interrompere la comunicazione, trasferisce a un collega le informazioni per allertare polizia e servizi di emergenza. In caso di interruzione della linea, si tentano richiamate immediate.
Caso 3: Uomo con amnesia in contesto di possibile coinvolgimento in reato grave
Situazione: Un uomo, caposquadra edile, richiede una consulenza per chiarire alcune circostanze. In seguito a un consumo collettivo di alcolici con i suoi sottoposti, è sorto un conflitto tra loro e un uomo sconosciuto. Il cliente presenta amnesia per gli eventi della serata. Il mattino seguente, l’agente di polizia locale ha comunicato che nelle vicinanze è stato rinvenuto il corpo dello sconosciuto con segni di morte violenta. Il cliente desidera accertare se abbia partecipato all’omicidio e al successivo smembramento. Questione preliminare: sindrome di Korsakoff.
Algoritmo d’intervento per lo psicologo clinico:
– Definizione chiara dei limiti professionali: Lo psicologo informa immediatamente il cliente che la sua competenza professionale consiste nella valutazione e nel recupero delle funzioni psichiche (memoria, pensiero), non nell’accertare la commissione di un reato. Si sottolinea che lo specialista non è un investigatore né un giudice.
– Valutazione dello stato psichico: Viene condotta una diagnosi preliminare per identificare sintomi caratteristici della sindrome di Korsakoff (amnesia fissativa, confabulazioni, disorientamento) o di altri disturbi organici e tossici (alcolici).
– Dilemma etico e giuridico: Lo specialista si trova di fronte a una scelta complessa. Da un lato, vige la riservatezza. Dall’altro, sussiste la conoscenza di un possibile reato grave. Le azioni dello psicologo devono rigorosamente conformarsi alle procedure interne dell’istituzione e alle norme di legge. In una simile situazione, lo psicologo è tenuto a consultare il servizio legale.
– Raccomandazione di rivolgersi alle autorità: La principale raccomandazione al cliente deve essere quella di recarsi immediatamente presso la polizia per fornire dichiarazioni e sottoporsi a perizia psicologica e psichiatrica forense, secondo le modalità previste dalla legge. Lo psicologo spiega che solo una perizia nell’ambito di un procedimento penale può valutare legittimamente il suo stato e il grado di responsabilità.
– Astensione da attività non di competenza: Lo psicologo clinico si astiene da qualsiasi tentativo di recuperare la memoria mediante ipnosi o altri metodi, poiché ciò potrebbe alterare potenziali prove e risulta inaccettabile da un punto di vista legale. Il lavoro si concentra sullo spiegare al cliente il suo attuale stato e la necessità di attenersi alla lettera della legge.
Metodi moderni di ricerca nella psicologia clinica
I metodi della psicologia generale e clinica coincidono in larga misura, poiché tecniche come lo studio della memoria, dell’attenzione, del pensiero e del tipo di personalità trovano applicazione sia nella popolazione «sana» che in quella «clinica». Il gruppo «sano» viene spesso utilizzato come riferimento comparativo.
Una serie di metodiche è stata sviluppata specificamente per le esigenze della psicologia clinica e implementata, in particolare, presso l’Istituto Psico-Neurologico V.M. Bekhterev di San Pietroburgo. Tra queste:
– LOBI (Questionario Personale dell’Istituto Bekhterev): concepito per analizzare il benessere soggettivo dei pazienti, il loro atteggiamento verso la malattia, il trattamento, il personale sanitario, la famiglia e altri aspetti significativi;
– PDO (Questionario Diagnostico Patocaratterologico): impiegato per lo studio dei tipi di personalità negli adolescenti, l’identificazione delle accentuazioni del carattere, delle anomalie e della predisposizione a comportamenti devianti.
Esistono metodiche riservate all’uso esclusivo di psicologi o psicoterapeuti. Tuttavia, semplici procedure diagnostiche possono essere applicate anche dal personale sanitario di supporto, solitamente su indicazione del medico. Questi operatori possono condurre valutazioni di specifiche funzioni cognitive (memoria, attenzione, pensiero) e di determinati tratti della personalità (temperamento, autostima, livello d’ansia) avvalendosi di strumenti non complessi.
Nella pratica contemporanea, la maggior parte delle metodiche utilizzate in psicologia clinica sono informatizzate, con il calcolo dei risultati automatizzato. Nonostante ciò, gli psicologi clinici sono tenuti a comprendere e saper applicare i metodi «manuali» di lavoro con i protocolli cartacei, conoscerne i contenuti e i principi interpretativi.
Dal punto di vista degli psicologi clinici, le basi metodologiche della disciplina, secondo la classificazione di V.D. Mendelevič, comprendono tre gruppi principali di metodi:
– Il colloquio clinico
– I metodi di ricerca psicologico-sperimentale (esperimenti psicologici)
– I metodi di valutazione dell’efficacia degli interventi di psicocorrezione e psicoterapia
Un posto particolare è occupato dalla psicodiagnostica, senza la quale l’attività pratica dello psicologo clinico risulterebbe impossibile. L’assenza di lavoro psicodiagnostico nella pratica significa che lo specialista non sta esercitando la psicologia clinica nella sua completezza.
I principali metodi nella pratica dello psicologo clinico sono: il colloquio clinico, i metodi psicologico-sperimentali e i metodi proiettivi.
1. Il colloquio clinico
Questo metodo, in precedenza noto come «metodo conversazionale» o «osservazionale», costituisce parte integrante del processo diagnostico. Il suo obiettivo è chiarire i problemi del paziente, studiarne l’atteggiamento verso la malattia (la cosiddetta «immagine interna della malattia») e elaborare un piano di assistenza psicoterapeutica.
Un compito importante del primo colloquio è valutare la tolleranza alla frustrazione – la capacità dell’individuo di sopportare stati di frustrazione (l’esperienza di ostacoli percepiti come insormontabili, di un «limite invalicabile» nel raggiungimento degli obiettivi) senza compromettere l’adattamento psicologico e sociale. Una bassa tolleranza alla frustrazione si manifesta, ad esempio, quando una persona ai primi segni di una malattia non grave cade nel panico, tralascia i propri doveri e si immerge completamente nelle proprie sofferenze. Un esempio lampante di alta tolleranza è il comportamento di A.P. Čechov, il quale, sebbene affetto da tubercolosi incurabile, negli ultimi anni di vita creò opere letterarie eccezionali, mantenne contatti sociali e non cedette alla depressione, nonostante la consapevolezza della fine inevitabile.
Il criterio di un colloquio clinico riuscito è il raggiungimento della massima confidenzialità. A tal fine si impiegano adeguate tecniche di comunicazione verbale e non verbale, tra le quali assume un ruolo chiave l’instaurazione del rapport – un legame fiduciario speciale. Il rapport si stabilisce con delicatezza, nel rispetto della distanza professionale (circa 1,5 metri, corrispondente alla zona di comunicazione sociale).
Sul processo interattivo influiscono:
– la distanza (si distinguono zone intima, personale, sociale e pubblica; la violazione dei confini provoca disagio);
– la disposizione reciproca (la posizione frontale senza scrivania favorisce la fiducia, mentre lo stare opposti con la scrivania fra loro può provocare conflitto);
– le caratteristiche ambientali (disposizione dei mobili, ora del giorno, durata del colloquio).
Lo psicologo clinico deve controllare il tono di voce, tenere sotto controllo i propri gesti ed evitare domande dirette e inopportune («Ha mai avuto allucinazioni?»). Una sequenza di domande risulta efficace se segue uno schema preliminare, e frequenti espressioni di approvazione verso il paziente favoriscono l’approfondimento del contatto.
Se in una stessa giornata sono previsti sia il colloquio che la somministrazione di test, la conversazione viene suddivisa in due parti: prima e dopo l’esperimento. Al termine del colloquio è importante verificare se il paziente ha percepito una qualche forma di aiuto e se si sente sollevato.
Durante il colloquio, lo psicologo clinico osserva costantemente l’espressività facciale, le inflessioni vocali e le reazioni del paziente, attuando una sorta di «profilazione» professionale o verifica delle emozioni. Questo lavoro richiede elevata concentrazione e dispendio energetico, nonostante l’apparente disinvoltura dello specialista.
2. Metodi psicologico-sperimentali
Questo gruppo di metodiche è estremamente diversificato e include test, questionari, tecniche proiettive e ricerche psicofisiologiche. La diagnosi può essere finalizzata sia alla valutazione di singole funzioni psichiche che allo studio delle caratteristiche individuali e di personalità.
Metodi psicometrici: utilizzati per lo studio dell’intelligenza (ad esempio il test di Wechsler) e rappresentano strumenti complessi e standardizzati, applicabili esclusivamente da psicologi clinici o psichiatri.
Ricerche psicofisiologiche: condotte in tandem con esperimenti comportamentali, includono la misurazione della risposta galvanica cutanea, del ritmo cardiaco, dell’EEG in risposta a trigger specifici (ad esempio in pazienti con PTSD).
Il processo psicodiagnostico deve essere protetto da influenze casuali. Non è possibile, ad esempio, somministrare un test sull’ansia a un paziente con fobia sociale in un corridoio affollato, poiché ciò distorcerebbe i risultati. I risultati vengono classificati chiaramente in norma, stato borderline e patologia (ad esempio, nel test di Ebbinghaus sul ricordo di 10 parole, le persone sane le ricordano tutte dopo 5—7 ripetizioni).
I questionari si dividono in:
– chiusi, che prevedono una scelta tra un numero limitato di opzioni («sì/no», «più sì che no/più no che sì», scale da 1 a 4). Esempi: il test di Leonhard-Schmisek, il questionario di Eysenck;
– aperti, che consentono risposte libere. Esempio: la metodica per lo studio del livello di aspirazione, in cui si chiede al soggetto di elencare il maggior numero possibile di nomi, città, ecc.
3. Metodi proiettivi
Nell’utilizzo di metodiche proiettive (test di Rorschach, metodo delle frasi da completare) al soggetto viene presentato del materiale-stimolo ambiguo, che egli deve integrare, sviluppare o interpretare. Questi metodi consentono di ottenere una valutazione generalizzata delle pulsioni inconsce, dei conflitti intrapersonali e dei meccanismi di difesa psicologici. Attraverso di essi è possibile valutare, ad esempio, il tipo di reazione alla frustrazione:
– estrapunitiva: orientata verso l’esterno, con accuse rivolte agli altri;
– intrapunitiva: orientata verso sé stessi, con autoaccuse (autoaggressività);
– impunitiva: valutazione della situazione come poco significativa.
I metodi proiettivi si caratterizzano per l’alta complessità e l’ambiguità interpretativa, pertanto il loro utilizzo richiede allo psicologo clinico una significativa esperienza e qualificazione. Ai specialisti alle prime armi non è raccomandato fare affidamento esclusivamente su queste metodiche, poiché un errore interpretativo potrebbe avere serie conseguenze nel lavoro con disturbi borderline di personalità, dipendenze e altre condizioni complesse.
Nella pratica clinica, i metodi proiettivi non possono fungere da strumenti principali e vengono utilizzati esclusivamente in combinazione con altri strumenti diagnostici.
Al termine di un ciclo di psicocorrezione o psicoterapia, gli psicologi clinici valutano l’efficacia degli interventi intrapresi. A questo scopo, B.D. Karvasarskij ha sviluppato scale specifiche che consentono allo specialista di valutare:
– il grado di miglioramento sintomatico del paziente;
– il livello di consapevolezza dei meccanismi psicologici della malattia;
– la dinamica di cambiamento delle relazioni personali compromesse;
– il grado di miglioramento del funzionamento sociale
Per la valutazione dell’efficacia terapeutica viene generalmente utilizzato un’ampia gamma di strumenti, inclusi metodi di studio della memoria, scale per la valutazione dell’ansia e altre metodiche standardizzate.
La psicologia clinica è una disciplina scientifica basata su evidenze e risulta incompatibile con aree come la parapsicologia o la percezione extrasensoriale. Sebbene nell’arsenale dello psicologo clinico siano presenti tecniche suggestive (quali il training autogeno o l’ipnosi clinica), la loro applicazione richiede il possesso del relativo diploma e di una certificazione specialistica. Lo psicologo clinico o il neuropsicologo competente ha il dovere di mettere in guardia pazienti e loro familiari dal rivolgersi a pseudospecialisti, motivando la propria posizione con i dati della medicina basata sulle evidenze.
Dallo specialista in psicologia clinica si richiede un pensiero estremamente razionale e un’elevata competenza. Ad esempio, quando si lavora con un paziente che presenta un’accentuazione paranoide della personalità, qualsiasi menzione inappropriata o approvazione indiretta di pratiche legate alla divinazione o alla percezione extrasensoriale potrebbe provocare la manifestazione di schizofrenia paranoide.
L’ambito di attività dello psicologo clinico è estremamente ampio e comprende la neuropsicologia, la patopsicologia, la psicoterapia familiare, il lavoro con dipendenze sessuali, disturbi post-traumatici, anomalie dello sviluppo e malattie psicosomatiche. L’attività professionale non si limita al colloquio clinico e alla psicodiagnosi; include inoltre la conduzione di programmi di training, la supervisione obbligatoria o l’intervisione, nonché una costante terapia personale.
La terapia personale è considerata un requisito necessario per mantenere la salute mentale dello psicologo stesso, sviluppare una sana autostima e prevenire il burnout professionale. Consente allo specialista di valutare i casi clinici in modo appropriato, senza proiettare su di essi i propri problemi irrisolti.
La supervisione rappresenta un elemento cruciale per la crescita professionale, specialmente per gli psicologi clinici alle prime armi. Offre l’opportunità di analizzare casi complessi sotto la guida di un collega più esperto, favorendo il miglioramento delle competenze e prevenendo errori. Esistono vari formati per ricevere supporto supervisionale, dal lavoro individuale ai gruppi di intervisione economicamente più accessibili.
Un posto particolare nella struttura della psicologia clinica è occupato dalla patopsicologia – il ramo che studia le regolarità della disintegrazione dell’attività psichica e delle proprietà della personalità, confrontandole con le regolarità della formazione e del decorso dei processi mentali nella norma. Il termine fu introdotto da V.M. Bekhterev nel 1903.
La patopsicologia come parte della psicologia clinica
La fondatrice della patopsicologia russa è B.V. Zeigarnik, allieva del noto psicologo tedesco K. Lewin. A lei si deve la scoperta del cosiddetto effetto Zeigarnik, per cui gli individui tendono a ricordare meglio le azioni interrotte rispetto a quelle portate a termine. Questo fenomeno è concettualmente vicino al popolare concetto di «Gestalt incompiuta». B.V. Zeigarnik sviluppò le basi teoriche della patopsicologia, descrisse i disturbi dei processi mentali e formulò i principi operativi del patopsicologo, successivamente sviluppati dai suoi allievi (tra cui Ju. F. Poljakov, S.J. Rubinštejn, B.S. Bratuš).
Mentre la psicopatologia clinica identifica e sistematizza le manifestazioni delle funzioni psichiche alterate, la patopsicologia rivela le caratteristiche del decorso e della struttura dei processi mentali che conducono ai disturbi osservati. Nonostante l’iniziale forte connessione con la psichiatria, i metodi patopsicologici trovano oggi applicazione anche in cliniche di medicina generale.
I concetti chiave in patopsicologia sono il sintomo, come indicatore singolo di uno stato patologico, e la sindrome, intesa come combinazione coerente di sintomi uniti da un meccanismo patogenetico comune. La diagnosi sindromica possiede maggiore specificità e valore poiché lo stesso sintomo, ad esempio le allucinazioni, può presentarsi in condizioni diverse come intossicazioni, deprivazione di sonno e disturbi d’ansia, mentre la sindrome rappresenta un quadro più definito.
La sindrome patopsicologica include non solo gli indicatori di deficit, ma anche gli aspetti preservati del funzionamento mentale, consentendo la formulazione di una diagnosi funzionale. Questa diagnosi riflette le caratteristiche dinamiche della condizione dell’individuo, le sue relazioni con l’ambiente sociale e il potenziale di compensazione dei deficit. La ricerca patopsicologica risulta particolarmente preziosa in assenza di chiari criteri clinici, per valutare la dinamica dello stato del paziente e l’efficacia del trattamento.
Lo psicologo clinico non è abilitato a formulare diagnosi mediche, ma elabora una diagnosi psicologica, come ad esempio «ritardo dello sviluppo psichico». La relazione redatta dallo specialista funge da base per la collaborazione con altre figure professionali: psichiatri, neurologhi, logopedisti e terapisti della riabilitazione.
La relazione psicologica, fornita su richiesta del paziente o quando necessario per l’invio a uno specialista correlato, deve includere:
– gli esiti della valutazione diagnostica e del colloquio clinico;
– un’ipotesi esplicativa delle cause dei disturbi emersi;
– raccomandazioni specifiche e le misure di psicocorrezione intraprese.
Queste informazioni assistono il medico curante nel determinare la strategia più appropriata per la gestione successiva del paziente, rendendo la collaborazione tra psicologo e medico estremamente produttiva.
Gli psicologi clinici e i neuropsicologi partecipano a varie tipologie di perizie: medico-legali per l’invalidità civile, medico-militari, medico-pedagogiche e psichiatrico-forensi. Nell’ambito giudiziario, i risultati della valutazione condotta dallo psicologo clinico possono costituire una forma autonoma di prova.
Gli specialisti in psicologia clinica, psicologi clinici, neuropsicologi, patopsicologi, partecipano attivamente alla riabilitazione dei pazienti e al lavoro psicocorrettivo. Il processo riabilitativo integra mezzi farmacobiologici, metodi di trattamento psicosociale e interventi mirati all’ottimizzazione dell’ambiente sociale e delle condizioni esterne di adattamento dell’individuo.
Nei centri gerontologici, l’operato dello psicologo clinico, del neuropsicologo o del patopsicologo rappresenta una necessità, poiché il recupero dei pazienti dopo ictus, infarti, lesioni cerebrali e interventi neurochirurgici dipende in misura significativa non solo dal supporto farmacologico, ma anche da un’adeguata strutturazione di interventi di psicocorrezione, psico-riabilitazione e psicoterapia.





